Conoscere il mercato e il prodotto significa elevare il proprio livello di imprenditorialità.
Ovvio, anzi quasi banale. Se non fosse che l'agricoltura italiana si configura come un comparto per molti versi a sé, la cui tendenza è, in qualche caso, quella di curare attentamente il proprio anello di filiera con la tendenza a delegare gli altri.

Il primo febbraio scorso, il ministero delle Politiche agricole ha pubblicato una nota relativa all'incontro con la filiera cerealicola per l'esame della situazione del comparto alla luce della prossima riforma Ocm.
Occasione, questa, che ha permesso agli addetti ai lavori un confronto sulle tematiche di maggiore interesse del settore cerealicolo e ha spinto Agronotizie ad approfondire, andando oltre i numeri, le dinamiche di un mercato che si muove sull'onda di influssi non solo comunitari ma globali.

Approfittando della guida di Andrea Villani, esperto di Ager - Associazione granaria emiliana romagnola di Bologna, abbiamo partecipato di persona alla sessione del consueto mercato settimanale dei cereali del giovedì pomeriggio, che oggi si configura come uno dei principali mercati cerealicoli nazionali e punto di riferimento per quanti operano nel settore dell'agricoltura e dell'industria di trasformazione dei cereali, semi oleosi e materie prime per l'alimentazione animale.

Fanno capo alla Borsa Merci di Bologna, gestita da Ager per delibera della Camera di commercio, più di 1.200 operatori fra cui commercianti e stoccatori, mediatori, industriali del settore molitorio e zootecnico. 

Tra gli operatori della Borsa Merci - nella quale, oltre ai volumi scambiati, si forma ogni setttimana il listino prezzi  come funzione mutuata dalla Camera di commercio e che rappresenta il principale strumento di visibilità della Borsa verso la filiera -, è rara la presenza del mondo produttivo inteso come singola azienda, la cui funzione è sostituita dai Consorzi e dalla cooperazione.
Constatazione che non suscita particolare stupore in ragione del fatto che la superficie media nazionale non offre volumi produttivi proponibili al mercato dalle singole aziende. 

Il sistema produttivo cerealicolo, frammentato in termini di dimensioni, prodotti ma anche di ambienti, ha portato l'agricoltore ad approcciarsi al mercato in modo diverso da quanto fanno i cugini europei privandolo, in un certo qual senso, dell'approccio economico e di mercato che conduce ad una visione analitica delle sue dinamiche. 

"Troppo spesso -  spiega Villani - il produttore dimentica che il lavoro inizia prima della semina e non finisce con il raccolto. Tralascia per questo di osservare quanto avviene nella filiera e nel mercato all'interno del quale andrà ad inserirsi il prodotto frutto della sua attività.
Il sistema più diffuso in Italia è il conto deposito: l'agricoltore porta il prodotto in cooperativa e decide quando dovrà essere venduto. Il più delle volte questa decisione si basa sull'andamento del listino che può essere quello di Bologna ma anche di Milano o di altre piazze. 
Così facendo, conosce troppo poco dei meccanism che stanno alla base della formulazione della cifra a listino, e tende a vendere quando il prezzo scende. Mai quando sale".  


Una delle possibili cause di questo "disinteresse", va cercato nel fatto che l'Italia è un mercato deficitario, peraltro inserito in una struttura europea animata da paesi esportatori e da politiche agricole strutturate in tal senso, e per questo cullato dalla quasi certezza che la produzione nazionale venga consumata e quindi venduta.

Di contro, paesi storicamente esportatori avranno la tendenza alla valutazione delle esigenze dei mercati di riferimento e all'analisi dell'andamento di tutto il sistema, così da individuare più facilmente spiragli di inserimento in nuovi mercati o gestire mancati assorbimenti da parte dei consueti canali commerciali.
Ma, parlando 
di commodities in particoilare, conoscere le dinamiche del mercato, nazionale, europeo e globale, i contratti, le logiche e i requisiti qualitativi che influenzano il valore delle produzioni, apre la strada alla pianificazione economica dell'azienda


Gli strumenti: le analisi di laboratorio

"La conoscenza del prodotto è un atto imprenditoriale importante ed è importante non delegarlo alla controparte - spiega Villani -. Sono del tutto accessibili, 
sia in termini di costi che di tempi, le analisi qualitative (uno dei laboratori di riferimento è proprio quello di Ager), che sapranno fornire un quadro chiaro di ciò che stiamo proponendo al mercato, generando scelte consapevoli sul tipo di prodotto su cui investire.
Non esiste un grano buono e uno non buono, ma esistono grani diversi per usi diversi. Le quotazioni seguono parametri oggettivi che è bene conoscere e
ai quali si ancora il listino. I valori - conclude Villani -fissi all'interno della campagna, si muovono sulla buona media dell'annata".


I contratti tipo

Sono stati lo strumento cardine per le contrattazioni dei cereali in Italia caratterizzata fino a qualche settimana fa, quando il lancio in borsa del future Agrex per il grano duro ha aperto la strada ai mercati a termine offrendo un ulteriore strumento previsionale, da un mercato definito del 'fisico'.
I contratti sono costituiti da un insieme di regole di commercializzazione del prodotto, definite dagli stessi operatori della filiera e articolate in una parte generale, contenente le condizioni di esecuzione contrattuale valide per tutti i prodotti, una speciale e una particolare.

La parte speciale rappresenta i singoli contratti. Contraddistinta da un riferimento numerico, fissa i requisiti qualitativi di ogni prodotto e gli abbuoni in caso di caratteristiche qualitative diverse dal convenuto.
La sezione particolare rappresenta il richiamo all'arbitrato cui si ricorre in caso di controversia, e che permette di dirimere la questione avvalendosi di una giustizia privata - l'istituto dell'arbitrato irrituale con sede presso la Camera arbitrale della Borsa Merci -, tecnicamente preparata così da facilitare la soluzione del contenzioso mediante la produzione del lodo arbitrale.


Andamenti di mercato

La diffusione degli strumenti informatici anche nel comparto agricolo agevola il recepimento di dati utili al monitoraggio e alla definizione degli andamenti di mercato. Ne è un esempio il sito del Dipartimento per l'agricoltura statunitense (Usda) che entro i primi dieci giorni di ogni mese pubblica le previsioni di mercato per i cereali o ancora dell'International grains council. L'esercizio e la buona volontà faranno il resto. 


Mercato nazionale 2012 e primo trimestre 2013

Doverosa, a questo punto, una breve analisi di mercato.
A livello mondiale, come evidenzia Villani, ci muoviamo in un mercato caratterizzato da prezzi che rispetto a tre anni fa sono in crescita anche se caratterizzati da una volatilità costante.
Le produzioni di cereali - poco meno di 1800milioni di tonnellate, stando ai dati dell'Usda - sono in calo come conseguenza dell'andamento climatico; al contrario, i consumi crescono.
A livello di volumi prodotti nel mondo, il mais - 845 milioni di tonnellate - strappa il primato ma in quanto a volumi di scambiati - 93 milioni di tonnellate - il grano - 137 milioni di tonnellate - si posiziona al primo posto pur avendo una produzione di 656 milioni di tonnellate.
Correlati da una intercambiabilità nell'impiego zootecnico, i mercati di questi due cereali si influenzano reciprocamente.
Il riso, 464 milioni di tonnellate, è caratterizzato da bassi volumi di scambio - 36 milioni di tonnellate - in quanto consumato prevalentemente nei luoghi di produzione.
La soia che, come sfarinato, rappresenta la principale fonte proteica delle razioni alimentari, ha subito un calo produttivo di circa 20 tonnellate.


Italia

Osservando il contesto nazionale, i dati diffusi dal Mipaaf sull'andamento dei prezzi nel 2012, segnano per il grano duro una situazione piuttosto stabile anche rispetto allo scorso anno, con oscillazioni da un minimo di 241 euro a tonnellata ad un massimo di 292 euro a tonnellata. Simile l'andamento per l'orzo.
Il grano duro, pur avendo un mercato pari a circa un ventesimo di quello del tenero - vera commodity -, si caratterizza per una maggiore rigidità del mercato imputabile ad una produzione localizzata per l'80 per cento nel bacino mediterraneo.

La quota italiana rappresenta il 10% di quella mondiale a garanzia di un grado di autosufficenza pari al 60 per cento. Viene destinato principalmente alla produzione di pasta, della quale ne esportiamo circa la metà.
Per quanto riguarda il grano tenero, in leggero calo sullo scorso anno, le quotazioni del prezzo si collocano in un ventaglio che va da 208 euro a tonnellata ad inizio anno fino a 274 euro a tonnellata alla fine dell'anno. La produzione nazionale di circa 3milioni di tonnellate copre poco meno della metà fabbisogno interno che si attesta sulle 7 milioni di tonnellate di cui 1,5-1,8 tonnellate sono destinate ad uso zootecnico.

Il mais ha subito un calo produttivo negli ultimi tre anni che ci ha portato al di sotto degli 8milioni di tonnellate prodotte.
Se a ciò aggiungiamo i problemi sanitari contingenti - aflatossine - constatiamo un volume di importazione che si attesta sulle 3milioni di tonnellate. In calo sullo scorso anno, i prezzi del mais hanno registrato delle turbative di mercato passando da un minimo annuale di 190 euro a tonnellata ad un massimo annuale di 283 euro a tonnellata.

Un range caratterizzato da un primo semestre stabile intorno a 200 euro a tonnellata cui è seguita un'impennata dei prezzi che ha raggiunto in qualche mese la quota di 283 euro a tonnellata per poi scendere nuovamente a 250 euro a tonnellata.