Il 19 maggio 2009 presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa, si è tenuto un convegno sul tema della brevettazione del vivente.

Un argomento di notevole attualità, che affronta questioni etiche e problemi scientifici, ed intorno al quale ruotano molti degli interrogativi dell’epoca contemporanea. Negli ultimi anni, infatti, la comunità scientifica si è interrogata e divisa circa la possibilità di brevettare piante, animali, microrganismi, ma anche i loro geni. La differenza tra la scoperta di qualcosa già esistente in natura, e perciò patrimonio dell’umanità, e l’invenzione umana potenzialmente brevettabile è l’elemento discriminante all’interno di questo dibattito.

'I geni non rappresentano un'invenzione - dice la professoressa Manuela Giovannetti, Preside della Facoltà di Agraria dell'Università di Pisa - e quindi non dovrebbero essere brevettati, poiché esistevano già prima dell’avvento dell’uomo. Quando si parla però di risorse biologiche utilizzate in agricoltura, la distinzione tra invenzione e scoperta si fa meno netta e più difficile da interpretare: essa ha prodotto varietà e razze locali che rappresentano risorse genetiche frutto di incroci e selezioni operati da diverse generazioni di esseri umani. Questo grande patrimonio di agro-biodiversità e le conoscenze legate al suo utilizzo non possono essere oggetto di brevettazione, perché appartengono alle popolazioni che hanno studiato e selezionato varietà, razze e colture. Al contrario in anni recenti stiamo assistendo alla raccolta di risorse genetiche vegetali finalizzata alla brevettazione e allo sfruttamento commerciale da parte dei Paesi industrializzati nei riguardi dei Paesi più poveri del mondo.'

Il convegno ha quindi affrontato problemi che sono al centro del dibattito nazionale e internazionale, con interventi di esperti italiani e di docenti della Facoltà che al tema della brevettazione della vita hanno dedicato i loro studi e le loro ricerche. 

 

Questioni di diritto e di mercato

'L'esplorazione del diritto fra naturale ed artificiale - spiega Prof. Alessandra Di Lauro, docente di Diritto Agrario della Facoltà di Agraria di Pisa - è innanzitutto da interpretare come evoluzione della conoscenza la quale porta a mettere in dubbio la distinzione stessa fra naturale ed artificiale: il diritto deve esplorare questa complessità con strumenti considerati spesso ingiustificati ed inadatti a disciplinare lo spazio del 'vivente'. In questo modo è in discussione la stessa logica della proprietà, alla quale risultano legati sia il sistema brevettuale che quello delle privative: nel tentativo di promuovere l’attività inventiva e di dirimere i conflitti, appare legittima la monopolizzazione dell’esistente e costruire barriere di accesso.'

Il confronto è aperto e si fanno strada nuovi approcci riconducibili, tra l’altro, ai movimenti della cosiddetta cultura libera e alla costruzione di nuovi livelli partecipativi e di sperimentalismo democratico. Nel frattempo vivace è anche la discussione sulle modalità di intervento previste dal diritto a protezione della biodiversità. Non mancano inoltre coloro che considerano ogni forma di conservazione in isolamento delle varietà alla stregua di un opera di collezionismo nell’ambito della quale il diritto appare come il guardiano di un sistema museale o di un archivio della memoria.

'I rapporti tra regimi di proprietà intellettuale, agricola e sviluppo - dice il Prof. Gianluca Brunori, docente di Economia Agraria della Facoltà di Agraria di Pisa - affrontano i dilemmi del presente ed i possibili scenari futuri, partendo dal presupposto che il mercato attuale è imperniato sulla proprietà intellettuale. La sua esistenza infatti deriva da un'imponente infrastruttura istituzionale formata da regole, istituzioni, controlli e sanzioni. La costruzione di questo mercato si basa sul principio della novità: per essere brevettata, un'opera dell'ingegno deve essere nuova. In gran parte dei casi, però, il criterio della novità esclude dal campo d'osservazione le conoscenze tradizionali, in quanto non codificate attraverso il linguaggio scientifico. Questo ha fatto sì che molte delle proprietà di specie vegetali ed animali, conosciute e in uso da secoli tra le popolazioni indigene, siano state sottoposte a brevettazione e quindi a sfruttamento commerciale. La proprietà intellettuale però rappresenta oggi un elemento fondamentale della competitività delle imprese e degli stati nazionali. Dalle norme che regolano la proprietà intellettuale dipende la distribuzione dei benefici (e dei costi) della creazione di conoscenza. In campo agricolo i principali problemi legati alla proprietà intellettuale riguardano: a) i vincoli che le regole sulle proprietà intellettuali impongono al perseguimento di finalità pubbliche da parte della ricerca pubblica; b) la difesa delle conoscenze tradizionali e la possibilità di beneficiare le popolazioni locali attraverso la loro valorizzazione; c) la difesa delle prerogative dei produttori agricoli nei confronti delle grandi imprese dell'agribusiness. Per affrontare questi problemi è necessario avviare una profonda riflessione sul rapporto tra conoscenza scientifica e conoscenza locale, sul ruolo della ricerca pubblica, sulle norme più appropriate per garantire una distribuzione equa dei benefici e favorire l'innovazione.'

Brevettare in agricoltura e frutticoltura 

'Nell'ambito del regime di proprietà intellettuale - spiega il professor Rossano Massai, del Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose “G. Scaramuzzi” di Pisa - è in atto una rapida evoluzione che ha avuto ripercussioni sul settore della frutticoltura e del miglioramento genetico ad esso collegato. Anche il turnover varietale in questo comparto è infatti sempre più frequentemente determinato da logiche di mercato globale condizionando la scelta dei criteri di miglioramento genetico delle cultivar verso obiettivi compatibili con le esigenze della grande distribuzione organizzata e marginalizzando spesso obiettivi di selezione orientati verso la ecosostenibilità delle colture e la riduzione dell’impatto ambientale delle stesse.

Il ricorso ormai quasi indispensabile ai PBRs (titoli speciali di protezione) per la diffusione di una nuova cultivar sembra così diventato l’obiettivo stesso dell’introduzione continua e massiccia di nuove accessioni, mettendo a rischio le capacità di scelta oggettiva del frutticoltore non più supportato da sistemi locali di valutazione del comportamento agronomico e produttivo delle novità varietali. La complessità della filiera genetica necessaria per la diffusione delle novità protette ha portato poi alla realizzazione di forme di sfruttamento dei PBRs così vincolanti (le cosiddette cultivar “club”) da marginalizzare anche il ruolo stesso del frutticoltore che si trova di fatto a gestire un prodotto di cui non può controllare più neanche la fase di commercializzazione, assumendosi contemporaneamente tutti i rischi della produzione. Questa complessa situazione rischia così di rendere inaccettabili le forme di protezione varietale anche se i PBR’s possono in realtà rappresentare un'importante fonte di risorse finanziare per il proseguimento dei programmi di miglioramento genetico da parte degli enti di ricerca. Vogliamo anche ricordare i riflessi negativi che il ricorso indiscriminato ai regimi di proprietà intellettuale può avere sulla conservazione della biodiversità e sulla salvaguardia del germoplasma a rischio d'erosione genetica.'

'Il ricorso alla tutela brevettuale in Italia - dice il dottor Stefano Borrini, della Società Italiana Brevetti - non sembra in linea con la quantità e la qualità delle attività di ricerca svolta. In un primo momento è stata esplicitata la differenza tra i due principali strumenti di protezione in ambito vegetale, la privativa per novità vegetale ed il brevetto, chiarendo che mentre la prima riguarda solo le varietà vegetali, il secondo può estendersi anche a classificazioni tassonomiche superiori alla varietà. Una tale chiarezza non si riscontra nei diritti conferiti dalle due tipologie di protezione in cui esistono potenziali zone di sovrapposizione che hanno reso necessaria l'emanazione di una specifica normativa (la Direttiva sulle Invenzioni Biotecnologiche). Si chiarisce inoltre che sono brevettabili geni e microrganismi (in quanto isolati dal loro contesto biologico) e che la brevettazione non danneggia la libertà di ricerca in quanto tale anche con materiale brevettato. I problemi si porranno all'atto della commercializzazione.'

 

Le psservazioni del dottor Borrini sono state integrate dal successivo intervento su “Un caso di darwinismo giuridico: proprietà intellettuale sulle specie vegetali. Quali regole per uno sviluppo più equo?”, del dottor Fiorenzo Gimelli del Centro Servizi per la Floricoltura di Sanremo, della Regione Liguria. In questo intervento si è cercato di delineare lo sviluppo storico dei diversi sistemi di protezione nel campo dei vegetali e la modifica nel tempo di requisiti, diritti concessi, limiti, ed altro ancora, raffrontando i titoli speciali di protezione (PBRs) con i brevetti (Patent). 

I PBRs, che fanno riferimento al sistema UPOV, sono specifici per le varietà vegetali, interni al mondo agricolo e con una flessibilità maggiore dei patent, di derivazione industriale fortemente voluto dall'industria biotech. I sistemi per certe parti si sovrappongono con il rischio che il più "forte" soverchi il più "debole", da qui il titolo dell’intervento. Il dottor Gimelli ha delineato possibili scenari futuri e prospettato modifiche legislative che rendano il contemperamento di interessi contrapposti (Produttori / inventori-costitutori) meno sbilanciato, ricordando a tutti che si tratta di concessione di monopoli sulle piante che producono il cibo.

Il dottor Gimelli ha concluso il suo intervento ricordando come occorra mantenere un equilibrio che remuneri anche in qualche modo chi ha difeso e sviluppato la biodiversità. Le norme sono in evoluzione ed é opportuno che anche il mondo scientifico partecipi con cognizione sapendo che sono in ballo interessi monetari enormi.