Una coltura preziosa ma delicata, il pomodoro da industria, sia per quanto riguarda le rese, sia per quanto concerne la redditività. Come ha spiegato Confagricoltura, la produzione di pomodoro da industria al Nord è stata nel 2019 inferiore del 15-20% rispetto all'anno precedente, con punte anche del -30%. Questo per quanto riguarda il pomodoro convenzionale, mentre sarebbe addirittura dimezzata nel biologico.

Eppure, con rese segnalate fra i 550 a i 630 quintali per ettaro, con rare punte di 720, il pomodoro da industria resta comunque una buona coltura da reddito. Per lo meno nelle zone vocate, ovvero quelle emiliane occidentali, parte di Cremona e di Ferrara, come pure il foggiano. Non particolarmente soddisfacenti i prezzi, di poco superiori agli 8 euro al quintale, tale per cui a volte non si coprono nemmeno i costi produttivi. Un po' meglio forse al Centro-Sud, ove per voce di Cia si viene a conoscenza di prezzi concordati a 105euro/tonnellata per il tondo e a 115 per il lungo, un centesimo in più rispetto alla campagna 2019.

Bene quindi adoperarsi per garantire da un lato le massime produzioni per ettaro dal punto di vista quantitativo, ma anche per consegnare prodotti eccellenti anche come qualità. Sforare infatti i capitolati dell'industria di trasformazione può costare infatti molto caro in termini di deprezzamento del consegnato. Attenzione però a non sforare nemmeno le tonnellate richieste dai trasformatori. Quindi il segreto è magari coltivare meno ettari, ma farli rendere di più, ponendosi come obiettivo il superamento dei 720 quintali per ettaro. Ciò permette di alzare il rapporto ricavi/costi entrando in campo verde e lasciando il rosso solo al pomodoro stesso.
 

Le superfici in gioco

Poco meno di 35mila ettari nel 2019, solo nel Nord Italia, con altri 30mila scarsi nel Centro-Sud, riprogrammati per il 2020 su analoghe superfici ma con produzioni ottimizzate per quantità e qualità. E qui entra in gioco la tecnica. Oltre a garantire la massima protezione della coltura dai patogeni e dai parassiti, la nutrizione appare punto chiave, anche perché può essere somministrata attraverso gli impianti di fertirrigazione, forieri quindi di somministrazioni ottimali anche della risorsa idrica.

Nel suo ciclo di circa 120 giorni, il pomodoro da industria può infatti superare perfino i mille quintali per ettaro, toccando punte di 1.200-1.300 nei casi record. Ciò perché le potenzialità genetiche della coltura possono esprimersi al massimo. In sostanza, è possibile consegnare all'industria la medesima quantità di prodotto coltivando due terzi circa della superficie teorica senza fertirrigazione. Ciò amplifica il ritorno economico sull'ettaro e quindi sui bilanci aziendali, perché nell'altro terzo di superfici possono essere coltivate colture da rotazione come mais, frumento, soia o girasole.
 

Professionalità e competenza

Nemmeno con la fertirrigazione vale la regola che se una dose fa bene due fanno meglio. Anche in tal caso il tecnico deve sapere quali elementi somministrare, tramite quali formulati commerciali, dosati adeguatamente e scaglionati nel tempo in funzione delle reali richieste della coltura. Una sorta di trasmutazione in direttore d'orchestra che il tecnico deve saper fare se si vuole estrarre il massimo dai campi e comprimere al minimo i costi. Per quanto possano questi salire per ettaro, lavorando adeguatamente possono scendere a livello aziendale, proprio grazie ai sani precetti dell'intensificazione sostenibile delle pratiche agricole.
 

Le regole auree da seguire

Primo, scegliere le cultivar ibride più consone ai propri areali, con un occhio anche alla tolleranza verso le patologie. Fondamentale poi seguire dappresso la coltura durante la fioritura e l'allegagione, fasi nelle quali si pongono le basi dei raccolti. Ecco perché la nutrizione deve essere particolarmente accorta in tali momenti e la fertirrigazione permette di microdosare più volte i nutrienti somministrandoli in modo puntuale e localizzato. Così operando si scongiurano anche gli stress idrici, causa spesso di fisiopatie e perdite di sviluppo e produzione. Insomma, la quadratura del cerchio.

Idealmente, con la sola fertirrigazione si può arrivare a coprire il 40-60% dei fabbisogni nutrizionali della coltura, operando nelle fasi più delicate una somministrazione a cadenza settimanale degli elementi necessari. Per esempio, in funzione della disponibilità di calcio del terreno, come pure di potassio e azoto, si dovranno tarare le opportune integrazioni. I benefici di una corretta fertirrigazione si sentiranno quindi soprattutto su terreni sabbiosi, con poca sostanza organica, ove anche le carenze idriche in estate sono sempre dietro l'angolo e la tempestività di intervento diventa fondamentale per difendere le rese. Se in un terreno fertile a tessitura mista si può innalzare la resa intorno al 20%, tale valore può salire fino al 40% nelle condizioni più svantaggiate, come quelle tratteggiate sopra.
 

Un piano ben riuscito

In pre-trapianto e in fase di trapianto è bene somministrare formulati granulari, meglio se localizzati, fornendo la base nutritiva ad "ampio spettro" per le prime fasi colturali. Le dosi variano ovviamente in funzione dei titoli di ogni concime, ma si può spaziare di solito fra i 400 e gli 800 chilogrammi per ettaro.

La fertirrigazione entra in gioco successivamente, a partire dal post-trapianto fino alla fioritura dei primi palchi, somministrando fosforo e azoto turnati circa settimanalmente, accorciando poi i tempi durante la fase di allegazione, in cui oltre ai due elementi di cui sopra è bene sia aggiunto potassio. Questo elemento deve poi salire ulteriormente nella fase di maturazione, tornando però a turni circa settimanali, sospendendoli del tutto a non meno di due settimane dalla data teorica di raccolta.

Tutto ciò in linea generale, ovviamente, dovendo poi adattare i principi di base alle singole realtà di campo in cui si deve operare. Così facendo, però, si possono raggiungere risultati di ottima soddisfazione imprenditoriale.