Gentile Direttore,
 
il tuo articolo del 19 dicembre scorso sui fertilizzanti a base di rame non può che trovare piena condivisione e apprezzamento da parte mia, anche se contiene qualche imprecisione.

Per chi legge e interpreta correttamente la normativa vigente in agricoltura biologica nessun mezzo tecnico che integra o sostituisce scelte opportune sulla genetica e di tecnica agronomica, ovvero di approccio agro ecologico nella gestione agronomica dell’azienda, può essere impiegato “liberamente”. L’impiego infatti deve essere giustificato tecnicamente come necessario e quindi approvato dall’organismo di certificazione, che fin dall’ingresso dell’azienda nel sistema di certificazione ha il compito di valutare, rettificare e se del caso validare la “relazione tecnica” o piano di gestione di cui all’art. 63 del Reg. CE 889/2008 presentato dall’azienda e possibilmente firmato da tecnico abilitato. Documento fondamentale, anche se dai più in Italia bellamente ignorato o banalizzato, che deve essere allegato alla notifica di attività e rappresenta la sede prima e continuativa del confronto fra organismo di certificazione e operatore per il mantenimento della conformità della gestione aziendale alla normativa vigente. Documento tecnico che deve contenere, fra l’altro, il piano di gestione del suolo e delle colture rispetto alle condizioni sito specifiche dell’azienda e agli obiettivi di produzione fissati, in funzione della rotazione agraria o della coltura prescelta, che deve essere costantemente aggiornato in contraddittorio fra operatore e organismo di certificazione in relazione alla variabilità degli elementi che influiscono sulla gestione aziendale.

In altri termini e venendo alla questione del rame, nessun fertilizzante rameico può essere impiegato legittimamente se l’agricoltore non dimostra all’organismo di certificazione uno stato di carenza non altrimenti risolvibile, dunque la necessità inevitabile dell’impiego. Le asportazioni di rame delle colture agrarie sono del resto note, per cui è sufficiente fare un bilancio fra l’asportato e l’apportato per comprendere che i 6 Kg/Ha soddisfano qualunque fabbisogno nutrizionale, anche qualora il terreno fosse del tutto privo del metallo in questione. Ergo, i fertilizzanti rameici non sono impiegabili in agricoltura biologica, a prescindere dalla loro conformità formale sancita da un elenco ministeriale che è più pericoloso che altro.

Questa posizione è stata chiarita da tempo in ambito FederBio anzitutto con gli organismi di certificazione e più volte ribadita formalmente alle Autorità nazionali e regionali, che vigilano sul corretto funzionamento del sistema di certificazione. Nessuno l’ha mai contestata, dunque chissà che questo scambio pubblico non ci consenta finalmente di stanare i furbetti del rame, ovvero tutti quelli che fino a ora hanno anche solo chiuso gli occhi rispetto a uno scandalo che va a danno certamente dell’erario (l’IVA e le imposte di registrazione non versate), ma anche della ricerca per il biologico, visto che viene elusa anche la tassa del 2% sui fitofarmaci, che alimenta l’apposito fondo ministeriale.

L’ipocrisia dell’elenco ministeriale dei fertilizzanti consentiti in agricoltura biologica ha forse nell’abnorme e ingiustificata presenza di prodotti rameici l’elemento più vistoso di una degenerazione, che vede complici ditte produttrici prive di etica e a volte mendaci nelle autodichiarazioni necessarie (ma sufficienti) per l’inserimento dei formulati nel registro, uffici ministeriali incapaci di un efficace coordinamento e che si rifiutano di effettuare controlli, consulenti la cui unica abilità è quella di arzigogolare sulle etichette e organismi di certificazione incapaci di esercitare correttamente il loro dovere.

Come hai giustamente argomentato probabilmente i fertilizzanti a base di rame non sono un illecito formale, di certo però in quell’elenco ministeriale continuano a esserci fitofarmaci e biocidi in alcun modo confondibili normativamente con dei fertilizzanti e prodotti di cui nessuno ha mai verificato l’esatta e vera composizione, anche quando è lo stesso nome commerciale a denunciare composizione assai differente da quella dichiarata (potrà mai un “BrassOil” essere un olio a base di alghe?). O vogliamo parlare dei tanti “Stop” con davanti a chiare lettere il nome del patogeno o del parassita anche animale?

Infine chiariamo una volta per tutte che il limite di apporto di rame per ettaro e per anno non può che essere cumulativo, non fosse altro perché i presunti fertilizzanti rameici altro non sono che i prodotti impiegabili anche per la difesa e quindi con medesime residualità e rischi per l’ambiente che il limite imposto da tempo agli agricoltori biologici e, speriamo fra breve, anche agli agricoltori “integrati”, intende evitare. Ciò vale in particolare per Regioni come l’Emilia Romagna, dove il limite per la quantità di rame previsto per la produzione integrata è già stato esplicitamente esteso, come cumulo, anche al rame fertilizzante. È vero che questa disposizione è più facilmente attuabile per le produzioni integrate, che dispongono anche di alternative di sintesi e sistemiche al rame, e che la superficie fogliare da trattare in alcune zone della pianura Padana anche su vite può essere assai rilevante, tuttavia non in tutte le condizioni è possibile fare agricoltura biologica con le attuali conoscenze e mezzi tecnici disponibili, dunque meglio aspettare qualche anno per convertire qualche ettaro in più a biologico che aggirare la normativa vigente, a danno dei produttori onesti e del mercato. Oltre che dell’ambiente. E per le annate catastrofiche da un punto di vista meteoclimatico pensiamo piuttosto a prodotti e tabelle assicurative dedicati e a contratti di coltivazione che tengano conto dei rischi più elevati nella conduzione biologica, così sarà anche più facile spiegare ai consumatori i prezzi comunque alti sullo scaffale dei prodotti bio.

FederBio da anni chiede al Mipaaf di porre fine a questo scandalo, se lo ritieni opportuno posso mettere a disposizione dei tuoi lettori tutte le note inviate a cui non è stato dato alcun seguito concreto. Siamo del resto a fronte di una bizzarra situazione, nella quale ICQRF ha una convenzione con l’associazione dei produttori di fertilizzanti per la gestione di un marchio privato dell’associazione, ma non ha evidentemente tempo e risorse da dedicare alla sua attività istituzionale di prevenzione e repressione delle frodi in questo particolare ambito della produzione biologica. Un po’ come l’Ente Risi, che di tutto si occupa tranne che di verificare il comparto del riso biologico. Ma questa è già un’altra storia.

FederBio ha contribuito a far emergere lo scandalo dei fertilizzanti contenenti illecitamente matrina, proposti da aziende senza scrupoli a agricoltori convenzionali e biologici; inoltre abbiamo denunciato frodi e fatto avviare indagini giudiziarie anche in altri comparti e siamo l’unica associazione di settore che è parte civile nei processi che vedono imputati operatori o funzionari di organismi di certificazione.

Non siamo dunque noi che dobbiamo temere i servizi giornalistici o gli scandali, ma certamente non intendiamo nemmeno assistere inermi ai danni che incapacità, conflitto d’interessi e interessi illeciti procurano anzitutto agli operatori onesti e a tutta l’immagine del settore biologico. Il vero cancro che rischia di uccidere il nostro settore è infatti l’omertà e il “finché la barca va lasciala andare” che paiono essere l’atteggiamento di troppi, dunque siamo e intendiamo essere sempre più “estremisti” della legalità e della trasparenza.

Lo dobbiamo anzitutto ai tanti agricoltori biologici che fanno fatica a portare a casa la produzione, senza il supporto adeguato di formazione, ricerca e consulenza, ma assediati da un numero crescente di offerte commerciali non di rado ingannevoli.
 
Cordialmente.

Paolo Carnemolla
Presidente di FederBio