Parigi, 23 aprile 2013 - Era il 1798 quando Thomas Robert Malthus profetizzò che presto la Terra non sarebbe stata più in grado di nutrire tutta l'Umanità(1). Ovviamente, gli scenari che aveva a disposizione erano molto diversi dagli attuali. Scienza e tecnologia muovevano i loro primi passi dell'era moderna e della materia più che sapere si intuiva, come pure la genetica doveva ancora scoprire gli ormai noti piselli lisci e rugosi di Gregor Mendel.
Non vi è quindi da stupirsi che Malthus vedesse cupi nubi addensarsi all'orizzonte.
In occasione dell'evento parigino Valagro wheat's solution, Giuseppe Natale, Chief Executive Officer di Valagro, riprende il filo del discorso 215 anni dopo, quando la popolazione ha ormai sfondato il tetto dei sette miliardi, e lo fa ricordando come la "Rivoluzione Verde" abbia contraddetto le profezie di Malthus riuscendo a nutrire più persone coltivando minori superfici. Nel 1961 per sfamare il mondo l'Umanità doveva infatti usare l'82% delle terre potenzialmente coltivabili al momento, mentre oggi ne usiamo solo il 38%.
 
La faccia oscura della Rivoluzione Verde è invece rappresentata dall'impatto ambientale che ha portato con sé: è andata persa biodiversità in ragione del 70% rispetto agli Anni 60, la deforestazione ha generato si nuove aree coltivabili, ma il prezzo da pagare si chiama estinzione di specie ed effetto serra. A questo va aggiunto un livello maggiore di inquinamento delle acque e una standardizzazione delle produzioni agricole. Attualmente il 90% del cibo proviene da sole 15 colture e da 9 tipologie di animali da allevamento. Sono quindi andate perdute infinite varietà coltivate e allevate, oppure sono state "messe in vetrina" e tenute in vita in ambienti di nicchia.
Pro e contro a parte, la Rivoluzione Verde non ha risolto solo una parte di quello che è stato battezzato il  "paradosso del cibo". A livello mondiale vi sono 950 milioni di individui che possono essere classificati come sottonutriti, mentre oltre un miliardo e 300 milioni è sovranutrito e l'obesità è divenuta uno dei problemi sanitari più seri da affrontare in futuro. Se circa 36 milioni di persone ogni anno muoiono di fame, ve ne sono ben 29,2 che muoiono di patologie legate agli eccessi alimentari.
Impressionante inoltre lo spreco di cibo che viene perpetrato dal Mondo Occidentale, il quale vanifica parte degli sforzi gli agricoltori fanno per produrre alimenti che poi finiscono nella spazzatura.
 
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L'agricoltura intensiva ha portato con sé innumerevoli vantaggi, ma anche qualche problema dal punto di vista dell'ambiente

Il futuro non pare peraltro offrire spunti per illusori ottimismi. La popolazione mondiale marcia verso i 9 miliardi di unità entro il 2050 e per il 2030 si prevede una crescita del 30% della domanda mondiale di acqua (Fonte: Ifpri), del 50% di cibo (Fonte: Fao) e di (Fonte: Iea).
Ciò non deve stupire. Lo sviluppo dei Paesi emergenti (o ex-emergenti, ormai) ha comportato la mutazione profonda degli scenari: in soli tre anni, dal 1999 e il 2002, i Cinesi hanno raddoppiato il consumo di carni. E la carne richiede per la sua produzione di input ambientali e uso di terra molto maggiori rispetto alla dieta "vegetariana".
Al mondo le maggiori colture occupano circa 217 milioni di ettari, concentrati in 120 Paesi. Ne derivano calorie sufficienti per soli 4,5 miliardi di persone. Per sostenere la popolazione globale del 2050 serve quindi un incremento del 60% nella produzione di cereali. Ogni anno si dovrebbe cioè individuare una superficie pari al Belgio da coltivare a Frumento. Ciò non è ovviamente possibile. Si devono quindi aumentare le produzioni per ettaro. Non solo in quantità, ma anche in qualità e potenzialità nutrizionali.
 
Necessario quindi uno scatto in avanti: ora si parla infatti di "Greener Revolution", un approccio strategico entro il quale alla parola innovazione si è affiancata anche quella di sostenibilità. Non basta infatti più porsi come obiettivo sfamare il mondo, ma si devono anche preservare le risorse naturali e garantire la qualità sanitaria e nutrizionale di ciò che si produce.
Al bivio fra bucoliche nostalgie di un passato più "naturale", quando di naturale aveva solo la miseria, e una scelta indiscriminata dell'uso della chimica - prosegue Natale - Valagro sceglie una via diversa, cercando nuovi modi in cui la scienza possa contribuire all'utilizzo delle risorse naturali senza comprometterle.
C'è un aspetto che infatti i sostenitori dell'approccio "bio" non considerano: producendo meno cibo per unità di superficie servirebbe più terra. E non ce l'abbiamo. Ulteriori deforestazioni il Pianeta non se le può permettere e c'è già il Land Grabbing a fare danni al mondo. La sostenibilità dell'agricoltura deve obbligatoriamente passare attraverso il collo stretto delle maggiori produzioni su minori superfici. Ciò che cambia, e in buona parte è già cambiato, è che all'intensivizzazione delle produzioni si è ora affiancata la consapevolezza che "L'Umanità non ha ereditato il Pianeta dai propri avi, bensì l'ha preso in prestito dai propri figli" (antico detto dei Nativi americani).
 
Per ottemperare quindi alle nuove esigenze nutrizionali mondiali serve un approccio olistico allo sviluppo sostenibile: al fianco di fertilizzanti e agrofarmaci dovrà crescere l'uso di mezzi naturali di controllo e di nutrizione, dei biostimolanti, di metodologie innovative di coltivazione, dell'uso più efficiente delle macchine e una gestione sensata delle acque, prima e dopo il loro utilizzo.
In questi scenari, infine, non ci si deve dimenticare che sostenibilità significa anche sostenibilità economica, oltre che ambientale e sociale: per Valagro - conclude Natale - è quindi importante offrire alla propria clientela, diretta e indiretta, valore e redditività.
 
(1) Secondo Malthus la crescita della popolazione avrebbe presto superato la capacità produttiva dei terreni agricoli. Questo perché la popolazione cresce in progressione geometrica, mentre le produzioni agrarie crescerebbero solo in progressione aritmetica. Già a fine del XVIII secolo Malthus si interrogava sulle potenzialità del Pianeta di sfamare tutti. All'epoca la popolazione era inferiore al miliardo e già i suoi incrementi venivano visti come preoccupanti. Anche perché le rese per ettaro delle colture erano infinitamente più scarse di quelle attuali.