In questo periodo i viticoltori sono impegnati nella vendemmia. Un'attività faticosa, che richiede molto personale se viene effettuata a mano. Ad affrontare i maggiori problemi sono gli agricoltori che praticano la viticoltura eroica, coltivando il terreno con pendenze superiori al 30%, altitudini maggiori di 500 metri sul livello del mare, in presenza di terrazzamenti oppure sulle piccole isole.

Secondo il Cervim, il Centro di ricerca, studi e valorizzazione per la viticoltura montana, in Italia ci sono circa 14mila ettari di vigneti in queste condizioni, sparsi dalla Sicilia alla Valle d'Aosta. La regione con la superficie maggiore è il Trentino Alto Adige, che da solo conta circa 5.400 ettari vitati "eroici". Seguono poi la Sicilia, con 3.200 ettari, la Liguria, con 2.100 ettari, e il Piemonte, con 1.400 ettari.
Lavorare vigneti ad alta quota o in forte pendenza significa dover effettuare tutte le lavorazioni a mano, compresa la difesa, che di solito viene effettuata con una lancia a spalla o a mano. Si tratta di un lavoro lungo, faticoso e che se non effettuato correttamente espone l'operatore alla contaminazione con i prodotti fitosanitari utilizzati in vigneto.

"L'utilizzo dei droni sarebbe per noi una grande opportunità", racconta Stefano Celi, presidente del Cervim e titolare di un'azienda vitivinicola a Saint-Pierre, in provincia di Aosta. "L'ostacolo principale è oggi normativo, visto che i trattamenti con mezzi aerei sono vietati. Ma il drone non è certo un elicottero, tratta a bassa quota e in maniera mirata. Ci aspettiamo che anche in Italia venga introdotta una deroga come in Francia".


L'impiego dei droni nella difesa della vite

I droni sono velivoli senza pilota in grado di volare in maniera autonoma, seguendo delle rotte preimpostate oppure possono essere pilotati da terra. I droni sviluppati per applicazioni agricole sono solitamente dei multirotore in grado di trasportare in aria diversi litri di miscela fitoiatrica che viene applicata attraverso degli ugelli posti nella parte inferiore del velivolo.

Il pilota del drone solitamente imposta una rotta, che di fatto segue l'andamento dei filari, e il velivolo la segue aprendo e chiudendo gli ugelli in corrispondenza della presenza della vegetazione. Le eliche provocano poi un flusso d'aria dall'alto verso il basso che, dicono i produttori, spinge le goccioline contro la parete fogliare ottimizzando la bagnatura e riducendo la deriva

I vantaggi sono indubbi: il viticoltore non dovrebbe più trasportare chili di attrezzatura lungo i pendii della montagna, ma potrebbe affidare al drone la difesa del vigneto. E proprio per valutare l'efficacia dei trattamenti la Fondazione Fojanini, centro di ricerca in provincia di Sondrio, ha svolto diversi test di utilizzo dei droni in viticoltura, l'ultimo dei quali lo scorso luglio presso l'aviosuperficie di Caiolo (So), in Valtellina, dove ci sono circa un migliaio di ettari "eroici".
Qui i tecnici della fondazione hanno allestito un simulacro di vigneto, composto da dei fili a cui sono state attaccate delle cartine idrosensibili per valutare l'efficacia di bagnatura del drone e l'eventuale deriva. Il test, che rappresenta il passo preliminare in un percorso che durerà due anni, si inserisce all'interno di un progetto (finanziato dal Gal sull'operazione 16.2.01 del Psr 2014-2020 di Regione Lombardia) che vede la partecipazione di due cooperative vitivinicole: la Vitivinicola di Montagna, Poggiridenti e Ponchiera, ente capofila, e la Cooperativa agricola di Albosaggia, Caiolo e Faedo.

Ad essere impiegato in campo è stato un drone Agras T16, prodotto dalla Dji, una ditta che si sta imponendo sulla scena globale per le sue soluzioni dedicate all'agricoltura, sia dal punto di vista del monitoraggio dei campi che per l'applicazione di prodotti fitosanitari.


Il marchio cinese ha una gamma di droni che va dall'Agras T10, con un payload di 8 litri, pensato per trattare superfici ridotte, fino ad arrivare al T30, che invece di litri ne può trasportare 30. Certo è che il viticoltore non deve pensare di usare i volumi impiegati solitamente con una irroratrice tradizionale, ma molto ridotti. Con 150 litri si dovrebbe ad esempio trattare un ettaro. I droni non solo sono in grado di volare in maniera autonoma, sulla base di rotte preimpostate e grazie ad una correzione Rtk centimetrica, ma riescono anche a riconoscere gli ostacoli.

Al termine del progetto verranno raccolti i dati relativi all'impiego dei droni per il trattamento dei vigneti che saranno utili per chiedere al legislatore un intervento in favore dell'impiego dei velivoli senza pilota in agricoltura.


Il nuovo Pan e la parziale apertura

Già, perché oggi la normativa di riferimento è il decreto legislativo 1044 n. 150/2012 che vieta l'impiego dei velivoli nei trattamenti fitosanitari (era stata in origine pensata relativamente all'impiego degli elicotteri). Nella bozza del nuovo Pan, il Piano d'Azione Nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, che è in fase di elaborazione, viene aperto però uno spiraglio.

Perché se è vero che si ribadisce che "l'utilizzo di droni per la distribuzione di prodotti fitosanitari è vietato", si specifica anche che "al fine di promuovere la sperimentazione dell'uso di droni per la distribuzione dei prodotti fitosanitari nell'ambito della difesa sostenibile, con apposito provvedimento del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo, di concerto con il Ministero della Salute e con il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, entro 24 mesi dall'entrata in vigore del piano, sono stabiliti i requisiti per l'esecuzione di attività di sperimentazione finalizzate all'utilizzo dei droni".

Insomma, il Governo si prende al massimo due anni dopo l'entrata in vigore del nuovo Pan (in ritardo di alcuni anni sulla tabella di marcia) per decidere come autorizzare le sperimentazioni e successivamente, si spera, l'impiego in campo.

Nel frattempo in Francia lo scorso aprile un emendamento alla legge agricola ha consentito l'impiego dei droni in vigneti con pendenza superiore al 30% (la viticoltura eroica, appunto) per un periodo di tre anni. Lasso di tempo che servirà a raccogliere dati e decidere se confermare l'utilizzo dei velivoli senza pilota e magari estenderlo ad altre colture ed altri contesti.