Di cavie da sottoporre a test nei laboratori ce ne sono molteplici. Roditori, pesci, uccelli, microcrostacei acquatici, lombrichi, api e via discorrendo. Ogni tanto però vengono proposti test che lasciano decisamente perplessi.

Una ricerca pubblicata su Sciencedirect riporta i risultati ottenuti in laboratorio su Mytilus galloprovincialis, la cozza comune. Cioè quella alla base di sauté, caciucchi e paste allo scoglio che tanto fanno andare fieri i ristoratori italiani.

Tale studio, prodotto da alcuni ricercatori dell'Università di Padova, sarebbe stato eseguito su cozze esposte per 7 o 21 giorni a 100 µg/L di glifosate (microgrammi = milionesimi di grammo), oppure a 100 µg/L di Ampa, suo metabolita, oppure ancora a una miscela di 100 µg/L di glifosate più altrettanti di Ampa. Cioè 200 µg/L in due.
Come risultato, le cozze avrebbero mostrato un'alterazione a livello di microbiota. Alterazione che peraltro in termini di popolazione batterica all'interno dei mitili non pare aver portato ai disastri cui si potrebbe pensare in base alle premesse.

Gli stessi autori, in effetti, ammettono che "Likely due to the high inter-individual variability (Fig. 2B and C), no significant difference in total bacterial load was observed when comparing Ampa and GLY exposures to the CTRL group". Tradotto: forse a causa dell'elevata variabilità fra individui [testati, nda] non è stata osservata una differenza significativa nella presenza [carica] totale batterica fra le tesi con glifosate e Ampa e il non trattato. Le differenze significative sarebbero state cioè misurate solo a livello di espressione genica, a volte diminuita, altre volte aumentata.

Un risultato che non stupisce affatto, dal momento che glifosate agisce su un enzima presente solo nel mondo vegetale e nei batteri. Quindi potrebbe in effetti risultare nocivo verso la microflora dell'apparato digerente delle cozze in caso fosse somministrato a livelli efficaci allo scopo. Del resto, anche dopo una settimana di alimentazione in India, con le spezie usate a tonnellate, la flora intestinale ne esce parecchio malconcia. Quindi il risultato della prova può benissimo essere accettato così com'è, senza ulteriori approfondimenti tossicologici, seppur sottolineando come nonostante la dose da cavallo somministrata alle cozze di differenze nel "load" batterico non ve ne siano state. È semmai sulle concentrazioni utilizzate che si possono dire molte cose. Come al solito, v'è da aggiungere.

Non si comprende infatti da dove i ricercatori padovani abbiano dedotto che 100 µg/L fosse una concentrazione plausibile nelle acque in cui vive il Mytilus galloprovincialis, notoriamente marino. "Such concentrations were selected on the basis of information on both glyphosate and Ampa levels in aquatic ecosystem". Tradotto, tali concentrazioni sarebbero state utilizzate in base alle informazioni reperite circa la presenza delle due molecole negli ambienti acquatici.

Consultando però il primo dei riferimenti bibliografici citati (Skeff et al, 2015) le concentrazioni per litro rinvenute negli estuari del Mar Baltico hanno spaziato per glifosate da un minimo di 28 nanogrammi (miliardesimi di grammo) a un massimo di 1,69 microgrammi, mentre per Ampa il range sarebbe stato da 45 nanogrammi a 4,156 µg/L.

In estrema sintesi, glifosate sarebbe stato trovato negli estuari del Baltico a concentrazioni che stallano fra lo 0,028% e l'1,69% di quella testata a Padova. Invertendo il punto di osservazione, le dosi di erbicida somministrate in laboratorio ai poveri mitili sono state da 59 a 3.571 volte quelle trovate nel lavoro di Skeff e da 24 a 2.222 volte per Ampa. Numeri che vanno ovviamente raddoppiati considerando la tesi che prevedeva la somma di 100+100 µg/L di entrambe le sostanze.

Interessante sarebbe stato vedere quindi nei test padovani anche queste di dosi, oggettivamente misurate in mare. Giusto per amore di ricerca e per comprendere se glifosate, a tali valori, possa davvero arrecare danno a questi organismi acquatici oppure no.

Perché una cosa che accomuna tale test ai molti altri già valutati in passato è che mai - e si ripete: mai - si vedono riportate nelle pubblicazioni le concentrazioni reali che si possono rinvenire nell'ambiente o nell'uomo. Forse perché se così fosse, di effetti "choc" non se ne paleserebbero?
Un dubbio che sta divenendo lentamente certezza, vista la monumentale messe di ricerche che troverebbero effetti mirabolanti di glifosate sugli organismi, ma sempre a dosi che nulla hanno a che vedere con i livelli reali di esposizione.

Il secondo riferimento bibliografico (Wang et al, 2016), invece, è un lavoro incentrato più che altro sulla messa a punto di un metodo analitico per misurare glifosate e Ampa nell'acqua di mare: "The relative standard deviation was 14.0% for GLYP (1.00 mg/L) and 3.1% for AMPA (100 μg/L)". Cioè la deviazione standard del metodo è stata del 14% con glifosate a 1 mg/L (1.000 µg/L) e del 3,1% per Ampa a 100 µg/L.

Meglio quindi rifarsi a monitoraggi delle acque più capillari e significativi.
 

Le acque italiane

Dal Report Ispra più recente, del 2018, emergono concentrazioni alquanto inferiori a quelle utilizzate nell'esperimento padovano. Il tutto, operando su acque dolci superficiali, cioè quelle più esposte ai fenomeni di runoff che portano le sostanze attive fino a loro. In esse, nel 2015 le concentrazioni più elevate sono state infatti pari a 0,531 e 2,47 µg/L, rispettivamente per glifosate e Ampa, di cui si ricorda però l'origine non esclusivamente agricola. Nel 2016 tali valori sono stati in effetti più alti, ovvero 26 e 66 µg/L. Ma si sta parlando dei picchi massimi, cioè valori che quasi mai si incontrano nelle acque di fiumi e laghi. E comunque, sono anch'essi inferiori a 100 µg/L.

Musica che cambia parecchio, non a caso, quando si analizzino i valori relativi al 95esimo percentile, cioè quel valore sotto al quale ricade il 95% dei valori riscontrati. Questo è infatti di soli 0,547 µg/L per glifosate e 3,497 µg/L per Ampa. Tutti gli altri campioni, giocoforza, hanno mostrato valori inferiori, fino allo zero analitico.

Tali concentrazioni, alte o basse che siano, subiscono in seguito forti diluizioni una volta afferiti a corpi idrici più grandi, ultimo il Po, finendo poi dispersi definitivamente in mare in corrispondenza del delta del Grande fiume padano. In sostanza, se nemmeno nelle acque più esposte alla contaminazione da glifosate si sono riscontrate le concentrazioni impiegate dai ricercatori nel test, si dubita fortemente che in mare vi si possa giungere anche solo vicini.
 

Le dosi, maledizione, le dosi!

Le cozze, come detto, sono distribuite geograficamente lungo le coste del Mediterraneo, crescendo aggrappate agli scogli. Difficile quindi pensare che nelle gustose bestiole possa mai entrare un quantitativo di glifosate lontanamente paragonabile a quello testato. Per giunta, obbligandole a vivere in quelle concentrazioni "stellari" per una o addirittura per tre settimane consecutivamente.

Probabilmente, nella maggior parte del profilo costiero italiano non se ne troverebbe affatto, né di glifosate, né di Ampa. Al limite, se ne troverebbe in certi hot-spot in ragione di nanogrammi per litro e neanche sempre. A voler proprio esagerare, forse forse, nel punto esatto dell'immissione in mare di certi fiumiciattoli che attraversano aree agricole se ne potrebbe trovare transitoriamente qualche microgrammo. Cioè quello contenuto nell'acqua dolce prima di essere diluita da quella marina. Concentrazioni che si può supporre crollerebbero di un ordine di grandezza spostandosi solo di un centinaio di metri in su o in giù lungo la spiaggia.

Una verifica che i ricercatori di Padova potrebbero fare agevolmente - e li si invita a farlo - non essendo lontani da Codigoro, luogo ove le locali cooperative di pescatori raccolgono cozze a tonnellate. Lì almeno si potrebbe misurare l'oggettiva esposizione a glifosate e Ampa del Mytilus galloprovincialis. Con tutte le successive valutazioni del caso.

Invece, presa così com'è, quella sopra riportata resta solo l'ennesima prova atta a produrre effetti che mai si potranno verificare nella realtà, in quanto bypassa i reali livelli di esposizione cui gli organismi testati potranno mai giungere nella loro vita. Un modo di operare che onestamente risulta ogni giorno più fastidioso, dal momento che può solo generare allarmi di fatto inesistenti senza apportare alcuna informazione utile: glifosate ad alte dosi influisce sui batteri, anche quelli intestinali. Lo sappiamo, da tempo. Ad alte dosi, si ripete. Ma là fuori, nel mondo reale, di glifosate nelle acque ce n'è sì un po' dappertutto, ma davvero pochino quanto a concentrazioni assolute. Cioè troppo poco per generare nelle cozze anche solo una frazione infinitesima degli effetti riportati, peraltro già scarsi di per sé. A meno di voler fare rivoltare Paracelso nella tomba di qui al 2100, ovviamente.

Se però di glifosate e di Ampa vicini alle cozze mediterranee ce n'è davvero un ectoplasma, di pirañas della disinformazione è invece pieno. E sono tutti lì, perennemente a bocca aperta in attesa che gli arrivi il boccone da sbranare. E glifosate, in effetti, da qualche anno pare essere proprio un gran bel boccone, sia per i media che campano di allarmismo, i summenzionati pirañas, sia per molti, troppi ricercatori che sarebbe cosa buona e giusta se nelle proprie prove includessero delle tesi atte a valutare gli scenari reali, non solo quelli palesemente apocalittici. In tal modo, magari, si potrebbe davvero soppesare l'oggettivo peso della presenza di agrofarmaci nell'ambiente. Sempre che ve ne sia, di apprezzabile peso, ovviamente.

Si attende quindi che gli autori summenzionati effettuino le analisi delle acque di allevamento delle cozze e possano confermare o smentire la propria stessa ricerca. In fondo, campionare e analizzare un po' di acqua non è così difficile: io l'ho fatto per anni. E talvolta rimpiango di non avere più il ruolo e i laboratori a disposizione per farne delle altre, di analisi. Perché di test di laboratorio palesemente disconnessi dal mondo reale, se ne avrebbe anche le... riviste piene.
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