Usare "pesticidi" aumenterebbe del 45% il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. Questo in sostanza il messaggio diffusosi a seguito del rilancio di uno studio epidemiologico svoltosi su cittadini hawaiani.

Come spesso accade, però, a una lettura attenta dei numeri gli iniziali claim, sempre troppo facili e semplicistici, perdono pezzi e le montagne partoriscono il tradizionale topolino.
 

Lo studio hawaiano

Nel settembre 2019 sono stati pubblicati sul Journal of the American heart association i risultati di una ricerca dal titolo "Pesticide exposure may increase heart disease and stroke risk".

Subito dopo, come spesso accade in tali casi, la notizia è stata amplificata da altri canali, come per esempio US news & world report, il quale ha annunciato che "Heavy exposure to pesticides may boost stroke risk". Tradotto, un'esposizione elevata ai "pesticidi" può mettere il turbo ai rischi di ictus.

Il lavoro in questione sarebbe stato incentrato sul confronto fra cittadini non utilizzatori e utilizzatori di "pesticidi", dividendo questi ultimi in diverse categorie in funzione dell'intensità di uso.

A livello numerico, la ricerca è stata condotta su un insieme di 7.557 individui e farebbe parte dell'Honolulu heart program, partito nel 1965 e inizialmente sviluppato su un quadriennio, fino al 1968. Poi, diversi follow up sarebbero stati fissati nei decenni successivi, fino al 1999. Cioè 34 anni di osservazioni su uomini divenuti di mezza età nel frattempo.

Un'analisi dettagliata dei risultati, nonché della loro debolezza metodologica e statistica, è stata riportata su Genetic literacy project, a firma Geoffrey Kabat, epidemiologo con oltre 150 pubblicazioni peer-reviewed scientific e un libro dal titolo "Getting risk right: understanding the science of elusive health risks", incentrato sulla valutazione dei rischi per la salute umana.

In sintesi, ciò che emerge da tale analisi è:
  • vi è una forte disparità fra numero degli esposti e dei non esposti: solo il 7% circa dei monitorati (561 su 7.557) sarebbe utilizzatore di agrofarmaci. Un singolo soggetto in più o in meno nei due gruppi può quindi portare a variazioni percentuali drammaticamente differenti, anche se del tutto casuale. Dieci soli casi in più portano infatti a un incremento dell'1,8% nel gruppo degli esposti e a uno dello 0,14% nei non esposti;
  • i ricercatori hanno ulteriormente diviso l'analisi su infarti e ictus, amplificando così gli effetti di cui al punto precedente.
  • la classificazione in gruppi è stata effettuata solo in base alle affermazioni degli intervistati, senza approfondire i fattori che potrebbero permettere di stimare l'effettiva esposizione;
  • sebbene gli autori abbiano assunto il tipo di occupazione come indicatore di una potenziale esposizione ai pesticidi, non hanno presentato una ripartizione in base alle diverse occupazioni, come ci si aspetterebbe;
  • nell'indagine rientravano altre sostanze, come metalli pesanti e solventi, quindi ci si trova di fronte a un caso di esposizione multipla dove la componente specifica legata ai "pesticidi" diviene difficilissima da valutare;
  • i risultati sono al limite della significatività statistica, con il gruppo a bassa esposizione che rappresenta solo l'1,4% della coorte considerata;
  • nebulosa appare la correlazione fra ipotetici usi maggiori e minori, rispetto alle malattie considerate.
 

Non solo statistica

Al di là delle critiche mosse alla metodologia e alla significatività statistica dell'indagine, lascia perplessi come al solito l'uso generico del termine "pesticidi": Quali? Con che formulazione? Con quali modalità di applicazione? Per quanto tempo i soggetti li avrebbero adoperati in vita loro? Quante volte l'anno? Con quali protezioni individuali?

Non vi è poi alcuna distinzione fra molecole e formulati. Quindi impossibile stabilire cosa eventualmente possa aver giocato negativamente. Sempre che ciò sia davvero accaduto, ovviamente.

Si sta inoltre parlando di uno studio iniziato oltre mezzo secolo fa, quando si usavano sostanze e formulati decisamente più impattanti rispetto agli attuali, come esteri fosforici, carbammati, organoclorurati, triazinici e dicloroanilidi di vecchia concezione. Fra un insetticida moderno e un dieldrin corre infatti la differenza che sta fra la Terra e la Luna. Pure i coformulanti sono cambiati nel tempo, eliminando i più problematici dal punto di vista tossicologico. Da parte loro, anche i criteri di applicazione sono divenuti nel tempo molto diversi grazie all'avvento di nuovi mezzi agricoli e dispositivi di protezione individuale.

Sfugge quindi il senso di rilanciare nel 2019 una notizia che accusa i "pesticidi" di causare malattie cardiovascolari, poggiando su uno studio iniziato nel 1965 e conclusosi vent'anni fa. Studio il quale - anche se fosse stato sviluppato a regola d'arte - verte su molecole e formulati che oggi non esistono più da un pezzo

In sostanza, con tali rilanci di ricerche "decotte" per contenuti è un po' come demonizzare i moderni treni a levitazione magnetica riportando studi epidemiologici sui macchinisti delle locomotive a carbone del XIX secolo.

Per concludere, infarti e ictus è quindi più probabile vengano ai divulgatori scientifici cui tocca periodicamente dare spiegazioni sui perché a certe notizie non va prestata alcuna attenzione.

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