Sui "pesticidi" se ne erano sentite di tutti i colori fino a ora, ma al peggio, come si sa, non v'è mai limite. Infatti alcuni media e membri di associazioni ambientaliste avrebbero rilanciato una pubblicazione del 2017 dai contenuti come al solito "inquietanti".

I suoi autori avrebbero stimato in 194 milliardi di euro i danni economici in Europa causati da ritardi nello sviluppo cognitivo. Questi sarebbero stati a loro volta indotti dall'esposizione a esteri fosforici. La ricerca porta il titolo di "Calculation of the disease burden associated with environmental chemical exposures: application of toxicological information in health economic estimation" ed è stata pubblicata su Environmental health.

La ricerca si baserebbe sul concetto di "DALY", acronimo di Disability-adjusted life year, il quale combina la durata e la qualità della vita in un'unità di misura che possa essere applicata al complesso sistema delle malattie. Una persona che spesso è malata perché esposta ad agenti nocivi, per esempio, non solo perde qualità della vita, ma perde anche capacità produttiva. Quindi la sua perdita di efficienza si traduce anche in perdita di ricchezza prodotta. Non a caso, le più evolute multinazionali al mondo spingono forte sul fronte della sicurezza: ogni giorno di assenza dal lavoro significa perdita di guadagni per la compagnia.

Come detto, gli insetticidi esteri fosforici sarebbero stati accusati di provocare da soli un danno economico di 194 miliardi di euro. Una cifra pari più o meno al Pil dell'Irlanda o della Finlandia. Già di per sé una tale dimensione economica fa sobbalzare per l'enormità. Se poi ci si interroga sulla specifica causa, le perplessità aumentano, per usare un eufemismo. Già in passato questa categoria di prodotti era stata accusata di provocare autismo. Un caso sul quale su AgroNotizie si è fornita debita analisi trovando che no: la crescita dei casi di autismo negli Usa non solo pare indipendente dagli esteri fosforici, ma non sarebbe correlabile nemmeno alle pratiche agricole in senso lato.

Ora si ritorna alla carica, sempre sugli esteri fosforici come causa di danni nello sviluppo cognitivo. Un effetto che si manifesterebbe a livello neurologico nelle prime fasi dello sviluppo del feto durante la gravidanza. Bene quindi analizzare anche questa di pubblicazione, al fine di capire quanto di attendibile vi sia in tale accusa.

1) Un primo limite di tali valutazioni è indicato proprio dagli autori stessi dell'articolo, i quali ammettono che i calcoli su tali impatti sono disponibili solo per alcuni e ben precisi fattori ambientali e che derivano per lo più da informazioni circa la mortalità o la durata dei sintomi di un'intossicazione.
Seppur si concordi con gli autori sul fatto che vi sono senza dubbio altri effetti non altrettanto misurabili, va parimenti ricordato che proprio a causa della loro imperscrutabilità, questi ulteriori fattori devono restare del tutto ipotetici fino a prova contraria. Sarebbe cioè bene evitare di avventurarsi su terreni ove i dati siano altamente deficitari o del tutto assenti, causando inutili allarmismi privi delle debite fondamenta probatorie. Non a caso, gli autori stessi ammettono anche che la loro valutazione dei rischi "overlaps only slightly", si sovrappone solo leggermente, con le altre valutazioni dei rischi finora compiute.

2) Il primo calcolo del cosiddetto "Global Burden", usato come riferimento da molti attivisti pseudo-ecologisti, risale al 1993, quando cioè l'agrochimica impiegata era alquanto differente da quella attuale, soprattutto in Europa, ove la Revisione europea negli ultimi 25 anni ha eliminato il 70% circa delle molecole precedentemente utilizzate.
In sostanza, gli scenari di quel primo report del 1993 erano molto lontani da quelli attuali. Nel report del 2013 si concludeva peraltro che in testa alle cause di perdita in DALYs fosse la pressione sanguigna troppo elevata. Sul terzo gradino del podio, del resto, vi era il sovrappeso, correlato strettamente anche all'ipertensione.

3) Altra criticità sottolineata dagli autori è poi legata alle difficoltà di isolare i differenti fattori di rischio, realizzando specifiche stime. In effetti, sapendo a quanti fattori di rischio è esposto un cittadino milanese che vive in mezzo al traffico, che magari mangia di fretta cibi grassi, con troppe carni rosse, bevendo alcolici, fumando e lavorando all'interno di ambienti chiusi come certi uffici o fabbriche, risulta un po' dura attribuire un valore preciso al colorante della sua biancheria intima, al conservante della sua busta di salumi o ai coformulanti del suo bagnoschiuma.
Figuriamoci quanto diventa difficile (e acrobatico) cercare di isolare il residuo in microgrammi di qualche fungicida sulle sue pesche. Non è quindi per caso se il GBD report del 2013 focalizza solo su ciò che è misurabile, ovvero malattie infettive, ambienti lavorativi, inquinanti ambientali domestici e non, come il Radon, i metalli pesanti o le emissioni degli autoveicoli. Eppure, nonostante ciò - e nonostante le lacune nelle informazioni specifiche - gli autori considerano arsenico e pesticidi come due delle cause principali delle perdite di ricchezza riconducibili a cause sanitarie.
A livello di alcuni specifici Paesi si può in effetti concordare con tale percezione, perché tale è - ovvero solo percezione - quando applicata all'Europa. Basti pensare agli usi barbari della chimica agraria sparsa con gli aerei nei bananeti centroamericani, o nelle coltivazioni di cotone indiane o sulla soia argentina. Di certo, le condizioni applicative, l'approccio agronomico, gli usi e la tipologia dei prodotti impiegati, differiscono molto fra tali aree del Pianeta e l'Europa. Fattori, questi, che sarebbe bene ricordare sempre, onde evitare di far pagare al maiscoltore cremonese le colpe del bananicoltore ecuadoriano.

4) Circa i ritardi nello sviluppo cognitivo, gli autori riportano la condivisa evidenza circa gli impatti di metalli pesanti come il piombo o il metili mercurio, più altri non meglio precisati "neurotoxicant". La difficoltà incontrata dagli autori è tutto sommato intuibile con facilità: se non è difficile correlare le malattie infettive alla perdita di valore economico, diviene estremamente difficile effettuare le medesime stime su aspetti legati all'ambiente, vuoi per la durata delle osservazioni, vuoi per la multifattorialità dell'esposizione. Diviene cioè quasi impossibile calcolare il cosiddetto AF, cioè l'Attributable Fraction che rientra nella formula di calcolo necessaria all'attribuzione di un valore numerico alla "Disease Burden".
L'AF è infatti la percentuale di una certa categoria di malattie che sarebbe eliminabile riducendo il fattore di rischio ambientale legato a un particolare agente. Per esempio, di quanto calerebbe l'AF se a Treviso si proibisse definitivamente glifosate o un altro qualsivoglia agrofarmaco? Impossibile stabilirlo.
Con ogni probabilità, l'AF tenderebbe asintoticamente a zero, facendo risultare quindi zero anche il valore del Disease Burden. E infatti, consci di ciò, gli autori mettono subito le mani avanti affermando che l'assenza di dati oggettivi non deve far pensare che l'AF possa anche finire col tendere a zero, come appena chi scrive ha fatto. Insomma, il danno sarebbe per loro legato a fattori imponderabili, non soppesabili singolarmente, non valutabili in termini di rischio. Ma sempre per gli autori bisognerebbe considerarlo in ogni caso tangibile. Un ragionamento che agli occhi di chi scrive appare come un triplo salto mortale carpiato con doppio avvitamento. Soprattutto pensando alle ottime statistiche sanitarie di alcune zone caratterizzate da agricoltura intensiva, come pure alle eccellenti statistiche sanitarie degli operatori professionali agricoli.
Un conto è infatti calcolare l'incidenza delle malattie causate dalla combustione di fonti fossili in ambienti domestici, come fatto dall'OMS, un altro è effettuare il medesimo calcolo per un fattore di rischio la cui esposizione è minima in valori assoluti e per giunta irregolare nel tempo e nello spazio. Un calcolo che poi diviene ulteriormente aleatorio quando trasformato in stima della perdita di capacità cognitive e di ricchezza persa in termini monetari.
In sostanza, chi si avventura in un tale crinale potrebbe concludere tutto e il contrario di tutto a seconda dell'inclinazione ideologica. Cioè il contrario del metodo scientifico.

5) I ritardi mentali. Sempre più difficile, come esclamano i giocolieri al circo: calcolare il danno economico dovuto al deficit cognitivo dei bambini esposti a fattori nocivi per la salute. Soprattutto se tale deficit viene misurato utilizzando il noto parametro del Quoziente intellettivo.
Sarebbe stato infatti calcolato che un aumento di 15 punti del QI produrrebbe un aumento fra il 12 e il 16% dei guadagni medi annui nei Paesi sviluppati, mentre tale evidenza parrebbe sfumare molto nei Paesi in via di sviluppo.
E qui si entra in un vicolo pavimentato di lana caprina. Il QI è stato infatti utilizzato in passato perfino per suddividere le razze in funzione dell'intelligenza. Studi in tal senso sono stati prodotti da Philippe Rushton, professore di psicologia all'Università del Western Ontario, nonché a capo dell'associazione Pioneer fund, creata nel 1937 con lo scopo di far progredire lo studio scientifico sulle differenze umane. Nel suo saggio del 1995 dal titolo "Race, Evolution and Behavior: A Life History Perspective", Rushton "dimostrava" che la razza orientale era più intelligente di quella bianca, la quale a sua volta sarebbe stata più intelligente di quella nera. Il tutto, utilizzando i risultati di test basati su associazioni logiche, quelli tipici appunto delle valutazioni del QI.
Ad analoghe conclusioni sarebbero poi arrivati Richard Lynn e Tatu Vanhanen, con il saggio del 2006 "IQ and global inequality", nonché Helmut Sorensen Nyborg, nel 2011, con "The decay of western civilizzation: double relaxed darwinian selection", nel quale si palesano le preoccupazioni per un calo del QI europeo dovuto alla diminuzione della natalità dei bianchi contrapposta alla iper natalità degli immigrati africani. Per chi si volesse divertire a capire in proprio quanto è "intelligente", esiste peraltro un sito in cui è possibile effettuare dei test. Tranquilli: se non vi ci raccapezzate non vuol dire che siete stupidi. Semplicemente vuol dire che siete poco avvezzi a sottoporvi a test del genere e che persone anche meno intelligenti di voi possono apparire dei geni solo per il fatto di dilettarsi periodicamente con test similari. Questione cioè di allenamento, non di genetica, né tanto meno di "intelligenza". Non è infatti possibile usare i QI ottenuti tramite un tipo di test per paragonarli ai QI ottenuti con un altro test. Cioè proprio quello che pare invece abbiano fatto gli autori dell'articolo. Figuriamoci l'aleatorietà di una stima economica basata sull'associazione di un ipotetico deficit cognitivo, misurato tramite dei test per il QI.
Nonostante ciò, fra le cause individuate dagli autori ricadrebbe la specificissima famiglia degli insetticidi organofosforati, i quali - come detto - causerebbero nella sola Europa ben 194 miliardi di perdite economiche. Tale dato deriverebbe però da un altro studio dal titolo "Neurobehavioral Deficits, Diseases, and Associated Costs of Exposure to Endocrine-Disrupting Chemicals in the European Union", pubblicato nel 2015 su The Journal of Clinical Endocrinology and Matabolism. Studio di cui uno degli autori è lo stesso Martin Bellanger che compare fra quelli dello studio del 2017 (il lavoro di un giornalista scientifico è paragonabile a quello di un salmone che risale a ritroso un torrente in piena).
Qui sarebbero riportati i calcoli relativi alla perdita di valore economico dovuti a un deficit cognitivo a sua volta misurato tramite test QI, attribuendo agli esteri fosforici una quota importante, la quale sfiora appunto i 200 miliardi di euro. Possibile che degli insetticidi usati su ben precise colture, possano indurre un tale ritardo cognitivo nella popolazione di un continente intero, tanto da far fuori il PIL di uno dei suoi Paesi membri? Va da sé che tali affermazioni si basano su stime che dovrebbero fondarsi sulla valutazione puntuale dell'esposizione umana. Stime che però gli autori non condividono, sempre che si sia azzardati a farle, ovviamente. Non compaiono cioè dati su contenuti ematici, urinari e similari. Non viene cioè misurata oggettivamente l'esposizione umana.
Un esercizio, quello relativo all'Europa e ai deficit cognitivi, che appare quindi simile a quello sopra citato, quando l'Università California Davis pubblicò una ricerca in cui si affermava che i bambini concepiti in un'area trattata con esteri fosforici aveva il 60% di probabilità in più di diventare autistico. Un lavoro che poi però non resse all'analisi puntuale dei dati ufficiali americani su base nazionale.

6) Fatto salvo quanto detto sui test per il QI - e cioè che non vanno presi per oro colato - pare che altri ricercatori ed esperti abbiano anch'essi individuato un ritardo cognitivo e un calo delle capacità nei giovani, ma per ben altri motivi rispetto ai pesticidi. Per esempio, il pedagogista Daniele Novara solleva nel proprio libro profondi dubbi sulla fondatezza delle diagnosi e sul boom di certificazioni, non in linea con le statistiche internazionali. Soprattutto, attribuisce al sistema scolastico la responsabilità di aver instillato nei genitori il dubbio dell'inadeguatezza dei figli di fronte al sistema educativo.
Da altre parti si sollecita il ripristino del Latino fra gli insegnamenti scolastici, avendo notato un peggioramento degli studenti a livello di capacità espressive nella forma scritta. Infine in Norvegia un altro studio avrebbe osservato come il QI starebbe calando dagli anni ’70. Un dato tratto dall'analisi di 730mila uomini che hanno effettuato un test per il QI fra il 1970 e il 2009, mostrando un vero e proprio crollo a partire dal 1975, con la perdita di 7 punti per ogni generazione, dopo la grande crescita segnatasi dal Secondo Dopoguerra. E la Norvegia, di certo, non usa esteri fosforici a pacchi, vista l'agricoltura che la contraddistingue.
Degli stessi autori esiste peraltro un'altra pubblicazione in cui si analizzano i trend dei QI in diversi paesi: l'Inghilterra scivolerebbe sempre più in basso, sebbene il Regno Unito sia uno dei paesi europei a più basso impiego di antiparassitari, specialmente insetticidi, dato che è praticamente tutto pascolo, cereali e colza. L'Olanda, il paese con l'agricoltura più intensiva d'Europa, si mostra stabile. Gli Stati Uniti starebbero addirittura proseguendo nella crescita che li ha contradistinti negli ultimi anni. Australia e Francia mostrerebbero invece un leggero declino, mentre la Corea del Sud starebbe galoppando alla grande grazie alle migliorate condizioni di vita, foriere di più alti livelli di scolarizzazione. Peraltro, l'analisi di coorte evidenzierebbe nel tempo un calo del numero di "top scores" (i campioni), ma starebbero crescendo le abilità cognitive che si trovano sotto la mediana. In sostanza, a fronte di pochi che perdono punti, ce ne sono tanti che ne guadagnano. Sintomo forse che qualcosa che funziona nella nostra società occidentale c'è pur bene.
Secondo gli autori, infine, la colpa delle perdite di abilità cognitive andrebbe ricercato nell'uso di strumenti di comunicazione come smartphone e computer, i quali avrebbero anchilosato alcune capacità espressive e di ragionamento. E a giudicare da certi "zombi" che si vedono passeggiare per strada compulsando sui propri touchscreen, sbattendo contro i pali o finendo sotto le macchine, la teoria non appare poi così peregrina.
 

Conclusioni

Utilizzare i test del QI per stimare l'intelligenza e lo sviluppo cognitivo è già di per sé rischioso, per non dire fuorviante. Correlare poi tali esiti - già di per sé molto aleatori - con una precisa famiglia chimica, sconfina più o meno nell'acrobatico. Tradurre infine questa conclusione in euro, per giunta in modo abbastanza preciso (194 miliardi, non uno più, non uno meno), permette di avanzare pesanti dubbi sull'operato dei ricercatori in generale e sulle loro conclusioni in particolare.

Per chi però si stesse comunque preoccupando per i propri bambini, qui, in Italia, stia pure tranquillo. Negli ultimi 15 anni gli insetticidi in Italia sono calati del 50%, con un sonoro -41,9% fra il 1998 e il 2008. Gli esteri fosforici hanno anch'essi seguito tale trend al dimezzamento, finendo col rappresentare oggi circa un quinto dell'ammontare complessivo di tutti gli insetticidi impiegati in Italia. Per giunta, molti di essi sono stati pure banditi in corso della Revisione europea, come quinalfos, fenitrotion, paration, azinfos, acephate, metamidofos, fosalone, eptenofos... Tutti ricordi di un'era che fu.

Preoccuparsi di tali prodotti, quasi fossero i Cani dell'Apocalisse, appare quindi cosa abbastanza vana e inutilmente ansiogena. A meno di farcisi quotidianamente lo shampoo o di fiutare la scia fitosanitaria inseguendo per giorni un atomizzatore all'opera nei frutteti. E questa sì che sarebbe prova inconfutabile di ritardo cognitivo...
"La tossicologia spiegata semplice" è la serie di articoli con cui AgroNotizie intende fornire ai propri lettori una chiave di lettura delle notizie allarmanti sul mondo agricolo in generale e su quello fitoiatrico in particolare.

Perché la tossicologia, in fondo, è più semplice da comprendere di quanto sembri.