Vini buoni e ottenuti da uve che hanno subito un decimo dei trattamenti antifungini solitamente riservati ai vitigni. Ha suscitato grande interesse, soprattutto tra i giovani studenti universitari, l'aperitivo Biotech organizzato da Assobiotec (l'associazione che riunisce le aziende biotech italiane) per discutere di miglioramento genetico, tradizionale e non, per l'ottenimento di viti resistenti a peronospora e oidio, le due principali malattie fungine contro le quali i viticoltori italiani combattono ogni anno per ottenere uve sane e in quantità.

"L'Università di Udine insieme ai Vivai cooperativi Rauscedo ha lavorato per anni attraverso incroci tradizionali alla selezione di vitigni resistenti alle malattie fungine", spiega ad AgroNotizie Michele Morgante, professore di Genetica all'Università di Udine e direttore scientifico dell'Istituto di genomica applicata. "Ad oggi l'Università ha dieci nuove varietà resistenti registrate ed altre quattro pronte per la registrazione. Sono vitigni frutto dell'incrocio di varietà tradizionali con esemplari di Vitis rupestris portatrici dei geni di resistenza".


Il ruolo dell'innovazione genetica vegetale

L'agricoltura da sempre vive di innovazione. Le varietà di mais, frumento o patate che oggi vengono coltivate e commercializzate sono molto differenti da quelle utilizzate all'inizio del secolo scorso. Questo perché il miglioramento genetico ha reso disponibili agli agricoltori piante maggiormente produttive, più resistenti alle malattie o agli insetti e capaci di adattarsi ai cambiamenti climatici che negli ultimi anni si sono fatti molto sentire.

La viticultura fa eccezione. Per ragioni storiche e culturali i vitigni che oggi vengono impiantati sono gli stessi, a livello genetico, di quelli coltivati cento anni fa. Questo ha reso la viticultura difficilmente difendibile da patogeni e stress abiotici. Basti pensare che le vigne coprono solo il 3% della superficie agricola dell'Unione europea, ma sono responsabili per il 65% del consumo di prodotti antifungini. I cambiamenti climatici inoltre hanno messo a dura prova i viticoltori che si trovano a dover gestire piante che nel corso dei secoli si sono adattate ad areali le cui caratteristiche oggi stanno mutando molto velocemente.
 

Strada in salita per i vitigni resistenti

Ecco perché, nonostante il vino degustato durante l'aperitivo Biotech fosse di ottima qualità, i ricercatori non cantano vittoria. Si tratta di nuovi vitigni, non ancora conosciuti a livello commerciale, che si devono inserire in un mercato piuttosto tradizionalista e chiuso all'innovazione.

Difficoltà arrivano anche dal punto di vista legislativo. La normativa italiana infatti prevede che per le Doc e Docg possano essere utilizzati solamente uve 100% Vitis vinifera, mentre i vini ottenuti ad Udine hanno anche parte del corredo genetico della Vitis rupestris (quella 'selvatica'). Potranno quindi essere usati per la produzione di vini da tavola e vini Igt, ma non per altre denominazioni. Una regola che in altri paesi, come la Germania, vede una soglia più bassa: il 90%.

Il confronto tra Michele Morgante e Costanza Fregoni (Le Donne della Vite)
Il confronto tra Michele Morgante e Costanza Fregoni (Donne della Vite)

Si tratta, afferma Morgante, di una chance persa anche per le grandi denominazioni di introdurre nei loro vini uve provenienti da viti maggiormente sostenibili. Viti che dovrebbero essere accolte come una manna soprattutto da chi fa biologico, in quanto richiedono solo uno o due trattamenti all'anno a base di prodotti rameici per ridurre la pressione dei funghi ed evitare l'insorgere di resistenze. Viti che potrebbero dare ossigeno agli agricoltori biologici ora che dall'Unione europea è arrivato un giro di vite sull'uso del rame.

La selezione delle viti attraverso incroci tradizionali è stata solo una parte delle difficoltà affrontate dai ricercatori. Già, perché ci sono voluti due anni prima che il ministero approvasse e registrasse le nuove varietà. La palla è passata poi alle regioni, ognuna delle quali in linea di principio dovrebbe effettuare test in campo per determinare la sicurezza delle nuove piante. Il Friuli ha già dato il suo ok, visto che sul suo territorio è avvenuta la sperimentazione. Via libera recepito dal Veneto, che ha preso per buoni i dati dei cugini friulani. Quest'anno invece dovrebbero arrivare Lombardia, Marche e Abruzzo. Ma, afferma Morgante, ci sono alcune regioni e associazioni che osteggiano la diffusione delle viti resistenti per paura che mettano nell'angolo quelle tradizionali.
 
 

La sentenza della Corte di Giustizia europea

Durante l'evento è stato dedicato un focus alla sentenza della Corte di giustizia europea che nel luglio di quest'anno ha deciso che gli organismi ottenuti attraverso genome editing debbano sottostare alla normativa europea sugli Ogm.

In questo articolo abbiamo spiegato in maniera approfondita perché, a detta della maggioranza della comunità scientifica, tali organismi non possano essere paragonati agli Ogm transgenici tradizionali. Ma al di là di queste riflessioni è però importante sottolineare come siano proprio le varietà tradizionali quelle che potrebbero ottenere il maggiore vantaggio da un miglioramento genetico tramite il genome editing o la cisgenesi.

La prima infatti sarebbe in grado di rendere resistenti le viti all'oidio, mentre la seconda alla peronospora. Con il vantaggio di non alterare in alcun modo la qualità delle uve prodotte. In questo modo le grandi denominazioni potrebbero avvantaggiarsi di vitigni resistenti e identici dal punto di vista agronomico e qualitativo a quelli coltivati oggi.

Tuttavia, anche a fronte di una eventuale legislazione favorevole, resta lo scoglio dell'accettazione sociale: cosa direbbe il consumatore di una bottiglia di vino con il marchio Ogm? In molti probabilmente non la comprerebbero, a meno che non vengano spiegati quali sono i vantaggi di utilizzare uve geneticamente modificate. In primis l'abbattimento dell'uso agrofarmaci per il controllo delle malattie fungine.