Terza puntata della serie "La tossicologia spiegata semplice", logico sequel di quella precedente, anch'essa incentrata sullo spinoso tema del cancro.
Oggi si approfondirà lo stato dell'arte relativo al rischio per gli operatori professionali, agricoltori ma non solo, di sviluppare tumori a causa degli agrofarmaci impiegati. Un rischio che leggendo i dati, come si vedrà, appare molto, molto basso.
 

Rischio reale e rischio percepito

Spesso si incontrano sul web accalorate testimonianze di cittadini le cui case confinano con frutteti o vigneti, lamentando malesseri o addirittura ricoveri ospedalieri. Da ciò, il passo verso la paura di sviluppare tumori è decisamente breve.
Ora, fatta salva la prudenza da tenere nei confronti di tali testimonianze sui social network, appare comunque chiaro come un'irritazione oculare o dermale possa in effetti accadere in particolari occasioni, come pure un'irritazione alle prime vie respiratorie.
Però va ricordato come tali eventualità andrebbero ben valutate puntualmente e supportate magari anche da specifiche indagini cliniche e ambientali effettuate al momento, cercando l'effettiva correlazione fra l'uso di un agrofarmaco, la reale esposizione dell'astante e la coerenza dei sintomi col profilo tossicologico del prodotto impiegato.

Magari poi si scopre che il viticoltore segue un disciplinare di produzione biologica e quello che ha impiegato è banale zolfo, il quale per le sue caratteristiche può benissimo causare fastidi alla popolazione circostante molto più di tanti agrofarmaci di sintesi.

Ma anche se tali esposizioni fossero oggettivamente misurate, significa forse che a quei cittadini verrà un tumore? Ovviamente no. Gli aspetti oncologici sono molto più complessi da trattare di una transitoria irritazione oculare, per quanto fastidiosa questa possa essere. Per comprendere quindi cosa succede all'organismo in caso di esposizioni ripetute e prolungate nel tempo, giova analizzare alcuni studi epidemiologici svolti su chi più di ogni altro è esposto agli agrofarmaci, ovvero gli agricoltori.
 

Glifosate ma non solo

Chi conosce l'affair glifosate ricorderà forse anche una pubblicazione avvenuta nell'autunno 2017 di una ricerca epidemiologica svolta dal National Cancer Institute americano(1). Senza alcun dubbio la ricerca più ampia e robusta mai fatta sull'erbicida in chiave cancerogenesi, svolta analizzando la salute di oltre 55 mila agricoltori americani utilizzatori di glifosate. Il tutto, concludendo che glifosate non influiva non solo sui linfomi non-Hodgkin, quel tipo di tumore, per capirsi, che ha dato vita alla causa di San Francisco fra Dewayne Johnson e Monsanto, bensì nemmeno su una decina circa di tumori vari. Ma la ricerca su glifosate, indirettamente, oltre a discolpare l'erbicida ha anche lasciato intuire come il rischio oncologico generale per gli agricoltori americani sia decisamente basso, perché oltre a glifosate essi usano sicuramente altri prodotti.

Senza ovviamente dare alla ricerca americana una valenza che va oltre le sue finalità, di sicuro si può per lo meno concludere che fare gli agricoltori in Usa non pare creare problemi alla salute dal punto di vista tumorale.
 

Le nuove statistiche dicono cose buone

In un recente articolo comparso su Agrarian Science, a firma Alberto Guidorzi e Luigi Mariani, sono stati riassunti i risultati di alcuni studi epidemiologici svolti in Francia e in America. Studi dai quali pare proprio che fra gli utilizzatori di agrofarmaci di particolari problemi oncologici non vi sia netta evidenza. A sua volta, l'articolo di Guidorzi e Mariani poggia sull'analisi svolta da Philippe Stoop nella pubblicazione "Pesticides et cancers chez les agriculteurs: la fuite en avant vers l'irréfutabilité" apparso in due puntate sulla rivista online European scientist(2)(3).

I due principali studi di coorte analizzati sono conosciuti come "Ahs" e "Agrican". Il primo, acronimo di Agricultural health study, è iniziato nel 1993 e ha coinvolto gli agricoltori degli Stati americani del North Carolina e dello Yowa.
La salute di 89mila agricoltori è stata quindi analizzata per molti anni e i risultati sono alquanto confortanti. In Francia si è poi giunti ad analoghe conclusioni grazie al progetto Agrican, avviato nel 2005 e incentrato su 180mila agricoltori utilizzatori e non utilizzatori di agrofarmaci. Grazie al confronto fra questi due sotto-gruppi sono state rese possibili alcune estrapolazioni più precise circa i fattori di confusione, quali per esempio i rischi non legati direttamente all'uso di agrofarmaci, bensì alla professione agricola in quanto tale.

Entrambi gli studi di coorte hanno poi calcolato le incidenze e le mortalità all'interno del campione studiato, comparandole con quelle della popolazione generale. Forte appare la convergenza dei due studi circa i dati sulla mortalità fra gli agricoltori, allineata statisticamente alla mortalità generale.
Ancor meglio pare vada quando si parli di incidenza, cioè la percentuale di persone che vengono colpite da tumore. In tal caso, l'incidenza standardizzata dei vari tipi di tumore non ha ravvisato differenze significative per almeno due terzi delle localizzazioni tumorali, risultando addirittura inferiore per il rimanente terzo. Si parla per esempio di tumori alle vie respiratorie, a quelle digestive o alla vescica. Forse la vita più sana, il maggior movimento fisico, un'alimentazione diversa, possono aver influito sul complessivo beneficio di lavorare come agricoltore? Fatto possibile, ma che leggendo i due studi resta nel campo delle ipotesi, dato che essi sono stati incentrati sui soli agrofarmaci.

Uniche eccezioni rispetto a quanto detto sopra, sarebbero emerse relativamente ai tumori alla prostata, alle labbra, sul mieloma multiplo e sul linfoma non Hodgkin. Su questi tipi di tumore, parrebbe che per gli agricoltori le incidenze siano superiori al riferimento generale. Forse che Dewayne Johnson abbia quindi ragione a dare la colpa del suo tumore a glifosate? Ciò non pare, dato che vi sono alcune puntualizzazioni che permettono di analizzare i numeri raggiungendo una certa tranquillità.

Per esempio, dallo studio francese emergerebbe come l'incidenza standardizzata di tali tumori sia maggiore negli agricoltori che non utilizzano agrofarmaci, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare leggendo le molteplici contumelie che su queste molecole vengono rilanciate un po' ovunque. Di certo, tali differenze non possono far concludere che i "pesticidi" facciano bene, ma altrettanto certamente lasciano intuire come il loro uso non possa essere additato come fonte dei molteplici mali oscuri che vengono loro attribuiti.

Circa il tumore delle labbra, questo pare sia dovuto più che altro alla maggiore esposizione alla luce solare, in cui sono presenti i raggi UV, in gruppo 1 della Iarc in quanto sicuramente cancerogeni. Non a caso, gli agricoltori patirebbero di un'incidenza doppia rispetto alla popolazione in generale.

Sul tumore alla prostata ci si trova invece di fronte a un enigma. Sebbene vi sia infatti un significativo eccesso d'incidenza negli agricoltori rispetto al resto della popolazione, la mortalità risulta invece significativamente più bassa. Cioè, si ammalano di più, ma muoiono meno. Peraltro, l'incidenza dei tumori alla prostata risulterebbe maggiore negli agricoltori che non utilizzano agrofarmaci. Quindi, su tali tumori andrebbero approfonditi altri possibili fattori predisponenti, diversi dagli agrofarmaci.

Passando al mieloma multiplo, questo pare sia il tipo di tumore che più dovrebbe preoccupare. In entrambi gli studi sarebbe infatti risultata un'incidenza standardizzata nettamente superiore fra gli utilizzatori di agrofarmaci, con una chiara demarcazione tra agricoltori utilizzatori, con un +49%, e non utilizzatori, i quali mostrano addirittura un lieve calo del 2% rispetto alla media. Purtroppo, non è dato conoscere il valore relativo alla mortalità, in quanto i dati sui mielomi multipli risultano aggregati a quelli dei tumori del sistema linfatico e delle cellule sanguigne. Una categoria che peraltro secondo lo studio Agrican darebbe una mortalità nettamente inferiore (-17%) rispetto a quella della popolazione generale. Si può quindi solo dedurre che la mortalità per mielomi sia superiore alla media, ma fortemente compensata da valori sotto la media del gruppo di tumori per come sono stati aggregati. Qualcosa di simile al pollo di trilussa, in effetti, ma comunque interessante.

Infine il linfoma non Hodgkin. Oltre al già citato lavoro del National cancer institute, incentrato come detto sul solo glifosate, compare anche quello di coorte Agrican. Da questo si evincerebbe un eccesso significativo del 9% fra gli agricoltori nel loro complesso rispetto alla popolazione generale. Ancora, tale eccesso sarebbe dovuto soprattutto ai valori di incidenza rilevati fra i non utilizzatori di agrofarmaci, i quali mostrerebbero un secco + 23% rispetto alla popolazione non agricola, mentre il valore dell'incidenza risulterebbe del tutto normale fra gli utilizzatori di "pesticidi", fatto che depone a sfavore della presunta associazione fra linfoma non-Hodgkin e agrofarmaci. Resta da capire perché i non utilizzatori abbiamo valori superiori agli utilizzatori. Un punto interrogativo che ovviamente necessiterà di opportuni approfondimenti.
 

Buone notizie anche dal Canada

Oltre all'Ahs e ad Agrican, nell'articolo di Guidorzi-Mariani si può reperire anche uno studio di coorte canadese, denominato CanCHEC, svolto fra il 1991 e il 2010, dal quale emergerebbe come il rischio complessivo di cancro sia significativamente più basso per uomini e donne impiegati in occupazioni agricole, in rapporto al resto della popolazione attiva. I dati di CanCHEC confermerebbero per contro il maggior rischio di cancro alle labbra e di melanoma, attribuibili entrambi alla maggiore esposizione solare degli agricoltori.

Circa il cancro alla prostata, gli autori canadesi concludono come questo sia dovuto per lo più a fattori diversi dagli agrofarmaci, come per esempio l'età, l'etnia e la presenza di casi nella storia familiare.
 

Conclusioni

In base ai tre studi di coorte citati, più recenti rispetto ai casi "agente-testimone" sviluppati negli anni '70-'80, l'esposizione professionale agli agrofarmaci non parrebbe aumentare il rischio di sviluppare tumori. Addirittura, fra gli utilizzatori di prodotti per la difesa delle colture molti tumori mostrerebbero incidenze e mortalità più contenute rispetto ad altri gruppi di persone. Sarà forse perché negli ultimi 30 anni sono anche cambiate le molecole utilizzate? Possibile, perché la chimica agraria non è affatto statica e monolitica come spesso fa comodo rappresentarla. Si muove, cambia, si seleziona. Oggi le sostanze attive impiegate sono ampiamente meno tossiche di quelle utilizzate nei decenni passati, quelli dove la crescente richiesta di cibo nel mondo occidentale faceva sì che non si guardasse troppo per il sottile su cosa si adoperasse, come e quanto.

Ciò non significa ovviamente che le protezioni individuali siano un capriccio da mezze calzette. Anzi. Resta cosa saggia trattare le colture utilizzando trattori con cabina pressurizzata e filtri con carbone attivo, o comunque caschi, maschere, tute, guanti e occhiali specifici per questo tipo di attività. Essere "macho" non significa infatti assumere comportamenti irrispettosi delle regole di buon senso.

Infatti per gli agricoltori, categoria esposta molto, ma molto più di ogni altra agli agrofarmaci, è sempre bene ricordarsi che la protezione del proprio corpo è appunto fatto di banale buon senso. Esattamente come indossare scarpe anti infortunistica se per lavoro si manipolano oggetti pesanti. E sarà sempre tardi quando si capirà che se un agricoltore si protegge, ciò non implica affatto che vi siano rischi per il consumatore che poi acquisterà quei prodotti agricoli con i relativi residui, nel frattempo degradatisi fino a raggiungere soglie irrisorie. Né significa che l'eventuale astante corra rischi sanitari particolari, vista la discontinuità di esposizione nel corso dell'anno, come pure la dose molto bassa eventualmente assunta, visto che di tutto ciò che viene distribuito in un vigneto o in un frutteto solo una frazione infinitesima può derivare fino a lambire le case e le persone.

Un nulla, rispetto a quanto vengono sovente esposti gli agricoltori stessi, ai quali andrebbero ancor più spesso tirate le orecchie per la superficialità mostrata nel non proteggersi. Eppure, nonostante ciò, pare proprio che se la cavino benissimo ugualmente, per lo meno dal punto di vista oncologico.

E se se la cavano benissimo loro…

Bibliografia
1) Andreotti, G., Koutros, S., Hofmann, J.N., Sandler, D.P., Lubin, J.H., Lynch, C.F., Lerro, C.C., De Roos, A.J., Parks, C.G., Alavanja, M.C., Silverman, D.T., Beane Freeman, L.E. (2018). Glyphosate use and cancer incidence in the agricultural health study. JNCI, 110(5):509-516. Epub 2017 Nov 9.

2) Stoop P., 2018 (a). Pesticides et cancers chez les agriculteurs : la fuite en avant vers l'irréfutabilité – première partie, European scientist.

3) Stoop P., 2018 (b). Pesticides et cancers chez les agriculteurs : la fuite en avant vers l'irréfutabilité – deuxière partie, European scientist.

Altri riferimenti bibliografici:

Koutros et al., 2010. An update of cancer incidence in the agricultural health study J Occup Environ Med. 2010 november ; 52(11): 1098–1105 Reperibile qui

Lemarchand C. et al., 2017. Cancer incidence in the Agrican cohort study (2005-2011),Cancer Epidemiology 49 (2017) 175–185 Reperibile qui

Levêque-Morlais N, Tual S, Clin B, Adjemian A, Baldi I, Lebailly P., 2015. The agriculture and cancer (Agrican) cohort study: enrollment and causes of death for the 2005-2009 period, Int arch occup environ health. 2015 Jan;88(1):61-73. doi: 10.1007/s00420-014-0933-x. Reperibile qui

Waggoner JK, Kullman GJ, Henneberger PK et al. 2011. Mortality in the agricultural health study, 1993–2007. Am J Epidemiol 2011;173:71–83. Reperibile qui
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