Nello sport vi sono le false partenze. E giustamente vengono sanzionate con la squalifica del reo.
Anche nella gestione dei prodotti fitosanitari possono esservi false partenze, dovute all'ansia di scagliare il busto in avanti e mostrarsi i primi della classe. E anche in questo caso i problemi non tardano a palesarsi, solo che qui i responsabili della falsa partenza ritornano ai blocchetti in ordine più o meno sparso, senza purtroppo alcuna squalifica.

Appena stampato nella sua prima versione, il Piano d'azione nazionale, applicazione della Direttiva europea detta "Uso sostenibile degli agrofarmaci", aveva infatti tagliato letteralmente con la motosega la quasi totalità dei prodotti utilizzati fino a quel momento nella gestione delle aree extra agricole, in special modo di quelle "frequentate dalla popolazione".
Un'espressione che vuol dire tutto e niente, dato che non tiene conto delle infinite sfaccettature del termine "frequentazione" né della tipologia di persone che tale frequentazione manifestano. A fare da ghigliottina dei prodotti è stata una serie decisamente estesa di frasi "H", quelle che nella nuova Clp hanno sostituito le "R".
Alla fine del processo ci si è però resi conto che più che una decimazione era stata una vera e propria tabula rasa: ai gestore del verde urbano restava in mano ben poco per fare il proprio lavoro.

Un problema non trascurabile, già palesato nelle precedenti due edizioni del convegno veronese organizzato da Amia, ovvero la locale Azienda multiservizi di igiene ambientale, evento giunto nel 2018 alla sua terza edizione.
Emblematico il titolo: "Il Piano di azione nazionale e l'utilizzo dei prodotti fitosanitari nelle aree frequentate dalla popolazione". Un evento ricco di contributi, giunti da molteplici portatori di intessi, pubblici e non.
 
Da sinistra, Marco Magnano e Andrea Miglioranzi, responsabile area verde e giardini e Presidente di Amia Verona, Marco Padovani, assessore strade e giardini di Verona, Roberto Diolaiti, Presidente Aidtpg
 

Troppa foga nel proibire

Togli, togli e poi ancora togli e agli operatori comunali è infatti rimasto davvero poco da usare, specialmente nei diserbi, e con ben precise limitazioni e obblighi la cui gestione si è rivelata molto più complessa del previsto.
Capita, quando le regole vengano scritte su carta da una molteplicità di mani, salvo poi verificarne le imperfezioni una volta giunti alla fase applicativa. Di certo, se qualche mente semplice s'illudeva con tale falcidia di obbligare le multinazionali a registrare nuove molecole, da usarsi in luogo di quelle interdette a tali usi, sbagliava di grosso.
Anche perché sviluppare e poi registrare un prodotto richiede un tempo fra i 10 e i 15 anni e investimenti fra i 100 e i 200 milioni di dollari. Mica bruscolini. Evidenze che a quanto pare erano del tutto sconosciute in certi uffici e corridoi, anche di palazzi che contano.

E così, in vista della revisione del summenzionato Pan, anche la terza edizione del convegno veronese ha raccolto le crescenti criticità, emerse da più parti, rivelando purtroppo un discreto scollamento fra politica e mondo gestionale. Se infatti l'assessore strade e giardini del Comune di Verona, Marco Padovani, parla di una progressiva riduzione degli agrofarmaci fino a una loro totale eliminazione, il presidente Amia, Andrea Migliorazzi, rema in direzione opposta, ricordando che van sì bene le regole, purché siano pragmantiche.
Sono infatti decine le lettere di segnalazione o lamentela che giungono dalla stessa popolazione veronese, perché ogni singolo ciuffetto d'erba lungo strade e marciapiedi viene percepito come sintomo di degrado urbano. Quindi, o si accettano certi usi agrofarmaceutici, oppure si deve ipotizzare lo sviluppo prossimo futuro di un gran business di zappette da mettere magari in mano ai cittadini che si lamentano, proposta fra il serio e il faceto emersa più volte nel corso dell'evento veronese.

Ancora, si potrebbero utilizzare esclusivamente mezzi fisici e meccanici, ma ciò comporterebbe un sovraccarico di costi per i comuni in termini di manodopera e spese fisse e varie. Nessun problema, in effetti, se ai suddetti cittadini andasse bene vedersi decuplicare la voce di spesa per la gestione del verde urbano. Qualcuno la potrebbe addirittura vedere come un'opportunità per creare nuovi posti di lavoro. Ma si teme che alla popolazione non garbi affatto l'idea di sborsare molto più denaro per avere ciò di cui si potrebbe beneficiare a costi ben più ridotti.
 
La necessità di rivedere il Pan, per fortuna, è emersa proprio dal Mipaaf per bocca di Giuseppe Castiglioni, il quale ha ricordato come la salute e la sicurezza siano sì da tenere in altissima considerazione, ma anche come sia necessario dare ascolto alla scienza e ai giudizi sulla sicurezza espressi dalle Autorità e alle agenzie europee e nazionali, tenendo anche un occhio fisso sulla sostenibilità economica delle proprie scelte.

Non è chiaro se questo richiamo di Castiglioni sia riferito allo specifico caso glifosate, ma il sospetto appare lecito, visto che il grande accusato e il grande epurato è stato sicuramente lui. Dal 2015, anno in cui la Iarc l'ha piazzato fra i probabili cancerogeni, si è infatti assistito a una continua demonizzazione della molecola, causandone in primis l'esclusione immediata dagli usi urbani. Una demonizzazione del tutto inutile, almeno ascoltando le parole di Angelo Moretto, tossicologo dell'Università di Milano, il quale ha presentato una carrellata di dati scientifici ufficiali, anche di derivazione Oms e Fao, dai quali emerge come glifosate sia una molecola del tutto sicura per la popolazione. Con buona pace di chi l'ha dipinto come un Cerbero sputafuoco, causa di tumori a grappolo.
 
Angelo Moretto, direttore Icps e tossicologo dell'Università di Milano

Angelo Moretto ha colto anche l'occasione per ricordare come il corpo umano sia agnostico rispetto al tipo di molecola cui è esposto. Una risposta chiara ai diversi relatori che nel corso del convegno hanno usato le parole "biologico" e "naturale" quali panacea di tutti i mali, supposti o reali che siano.
Sconcertante infatti l'indicazione dell'acido acetico come possibile diserbante "naturale", visto che non solo è prodotto tutt'altro che innocuo e inodore, ma ancora non risulta registrato come tale in Italia. E indicare come soluzione alternativa un uso illegale di prodotti non autorizzati non pare certo la via giusta da seguire.
 
Sarebbe infatti giunta l'ora, secondo molti, di superare il limite delle frasi scritte in etichetta delle confezioni, espressione del mero pericolo intrinseco fissato per via normativa, per approdare più saggiamente alla valutazione di rischio effettivo, il quale tiene debitamente conto anche dei livelli reali di esposizione umana. Se tale esposizione è trascurabile, nessuna frase "H" dovrebbe causare il bando di un prodotto, cioè quello che si è invece continuato a fare fino a oggi, sposando tesi che sempre più appaiono miopi.
 
Di certo, sarà ora molto difficile fare passi indietro rispetto alla prima versione del Pan, decisamente abolizionista in tal senso. Dura oggi ammettere gli sbagli compiuti per un eccesso di foga ambientalista e sanitaria e andare dalla popolazione e dirle che no, certi diserbanti e certi agrofarmaci non andavano banditi dagli usi urbani. Meglio sarebbe stato partire in modo più pragmantico, chiudendo il rubinetto, se del caso, poco per volta, anziché partire lancia in resta contro i pesticidi, salvo dover ammettere a posteriori quanto questi fossero necessari e che mentre la demagogia passa, la realtà oggettiva resta.
 
Una lezione che si teme però farà molta fatica a essere ricordata.