"Comunicare la scienza: la Xylella e il deperimento rapido degli ulivi", questo il titolo del convegno tenutosi ieri, mercoledì 21 marzo, a Bari, presso Villa Rocca, di cui è già apparsa notizia sul Quotidiano di Puglia. Obiettivo dell'incontro, fare il punto della situazione e analizzare anche le supposte nuove cure alternative agli abbattimenti delle piante.

Un tema che da tempo agita le molteplici fazioni createsi in Puglia sul tema Codiro, ovvero il complesso del disseccamento rapido degli ulivi. Fra i convenuti, Donato Boscia e Maria Saponari, del Cnr, Giovanni Martelli, professore emerito dell'università di Bari, Giuseppe Silletti, ex commissario per l'emergenza Xylella, dimessosi a seguito dell'intervento della Procura di Lecce che bloccò gli abbattimenti e mise sotto inchiesta diversi membri della Task Force incaricata di arginare l'epidemia.

Ma è tramite un collegamento skype che sono giunti veri e propri strali sulle ricerche appena pubblicate dal team di Marco Scortichini, del Crea, circa gli effetti di un fertilizzante a base di zinco e rame, capace, secondo i ricercatori di contrastare l'azione patogena di Xylella, consentendo alle piante di continuare a vegetare e produrre sebbene infette.
Su tali prodotti si è peraltro da tempo coagulata l'attenzione di tutti coloro i quali, in Puglia, hanno da subito contrastato gli abbattimenti degli ulivi adducendo argomentazioni dal fatuo al nullo, come le accuse rivolte o agli agrofarmaci, glifosate in primis, o alla mancanza di sostanza organica nel terreno. Una fronda di ostruzionisti, quella di cui sopra, che spesso si è sovrapposta con i più beceri complottismi locali, come quelli anti-Tap, il metanodotto pugliese in via di realizzazione, o su fantomatici ulivi ogm messi a punto da Monsanto. Ipotesi che se non ci fosse da piangere, vi sarebbe solo che da riderne.

È in tale contesto al vetriolo, con furibonde battaglie sui social fra razionalisti e cospirazionisti, che è giunta quindi la pubblicazione di Marco Scortichini e del suo team. Pubblicata su Phytopatologia Mediterranea, la ricerca porta il titolo "A zinc, copper and citric acid biocomplex shows promise for control of Xylella fastidiosa subsp. pauca in olive trees in Apulia region (southern Italy)".
Tradotto in italiano: un biocomplesso a base di zinco, rame e acido citrico come si mostra promettente nel controllo di Xylella fastidiosa subsp. pauca negli ulivi della regione Puglia.

La sua diffusione è apparsa subito come la prova provata, per i negazionisti, che gli abbattimenti sono inutili e che si sarebbe finalmente trovata la cura. Ma le cose stanno davvero così?
Mica tanto, perché a un'analisi attenta della pubblicazione sarebbero emerse diverse anomalie e criticità sostanziali, sia per quanto riguarda l'impostazione metodologica, sia per quanto concerne i risultati. A mettere tutto ciò a nudo è stato appunto il succitato collegamento via skype, tramite il quale un ricercatore ha fatto le pulci alla ricerca.
Si chiama Enrico Bucci e dopo il dottorato di ricerca è divenuto adjunct professor in systems biology presso la Sbarro health research organization della Temple University di Philadelphia, negli Stati Uniti. Oltre alle sue attività come ricercatore, Bucci si "diletta" anche nel dare la caccia alle frodi scientifiche, una piaga sempre più diffusa nel settore delle riviste e pubblicazioni specializzate.

Plagi, falsi, studi farlocchi. Queste cose qui, insomma. Cioè quelle su cui si basano in buona parte le accuse all'agricoltura di avvelenare il pianeta e chi ci vive.

In primis, secondo Bucci, suscitano perplessità gli studi in vitro in cui si dimostrerebbe l'efficacia del fertilizzante su Xylella. Questi sarebbero stati infatti condotti non sulla subspecie pauca, quella degli ulivi, bensì sulla subspecie fastidiosa. Fra le due subspecie, ricorda Bucci, vi sarebbero infatti alcune differenze genetiche che darebbero vita a risposte molto diverse ai microelementi utilizzati nei test. I risultati su fastidiosa, cioè, non possono essere traslati tout court su pauca.

Ma è soprattutto sulle prove in campo che Bucci solleva la maggior parte delle questioni, a partire dal numero di campi sperimentali avviati a prova. Tre sarebbero stati infatti all'origine, a Galatone, a Galatina e infine a Veglie. Solo quest'ultimo sarebbe però stato utilizzato per realizzare la pubblicazione, depennando gli altri due in corso d'opera. Perché tale ablazione? Dall'analisi di alcune immagine da satellite, i due campi sperimentali non citati nel paper apparirebbero ormai praticamente disseccati dalla patologia, sebbene non sia facile contornare esattamente il perimetro delle prove. Un dubbio sostanziale, al quale si spera che il team di Marco Scortichini possa dare presto una risposta scientifica attendibile.

Anche nell'unica prova fatta valere, però, non è che le cose siano andate benissimo. Il terreno risulterebbe infatti molto povero di zinco e solo tale aspetto potrebbe giustificare un effetto positivo sulle piante trattate rispetto alle non trattate. Un effetto che però in tal caso con la Xylella nulla avrebbe a che fare.

Poi diverse perplessità emergono anche sull'impostazione in campo. Lungi dal ripartire l'appezzamento in blocchi randomizzati casuali, come le buone pratiche sperimentali imporrebbero, le piante selezionate per essere trattate con il fertilizzante sarebbero risultate fin da subito meno afflitte dai disseccamenti rispetto a quelle che poi è stato deciso di lasciare non trattate. Inoltre, lungo la tesi trattata si snoda una siepe di cipressi di importante dimensione, ulteriore fattore potenzialmente alterante i risultati finali.

Nemmeno quanto a potatura e trattamenti collaterali vi sarebbe omogeneità fra trattato e non trattato. Il primo sarebbe stato infatti regolarmente potato, al contrario delle piante non trattate. Viceversa, queste ultime sarebbero state trattate con agrofarmaci contro le più comuni patologie e parassiti, lasciando non protette le piante trattate con il fertilizzante.

Di solito, buone norme vorrebbero che tutte le variabili diverse dall'oggetto d'indagine venissero gestite in maniera uniforme fra trattato e non. Al di là dell'obbligo alla randomizzazione delle tesi, effettuare una prova su carpocapsa del melo, per esempio, implica trattare tutte le parcelle con fungicidi anti ticchiolatura, al fine di mantenere l'appezzamento omogeneo per tutto ciò che non siano le tesi insetticide da investigare. Ciò non è invece avvenuto, a quanto emergerebbe dall'analisi di Bucci, nelle prove condotte e pubblicate dal team di Scortichini.

Perfino i dati di partenza, al tempo zero, differirebbero, risultando le piante da trattare meno infette di quelle lasciate poi non trattate. A pagina 14 della pubblicazione in questione sono infatti riportati dei grafici la cui analisi lascia adito a pochi dubbi. Le piante di varietà Ogliarola, scelte per essere trattate, a inizio aprile 2015 presentavano 10 rametti infetti contro i 15 delle piante scelte come non trattato. Il rapporto è invece di 8 contro 10 per le piante della varietà Cellina. Una partenza già non omogenea, quindi.

L'anno dopo, nel 2016, i rilevamenti partivano con 40 - 45 rametti infetti nei non trattati, contro 18-22 circa nei trattati. Nel 2017 tali numeri sono saliti a intorno ai 110 e 140 nei non trattati e verso i 30-50 nei trattati. Nei tre anni di prova, quindi, pur permanendo una differenza fra trattati e non trattati, vi sarebbe un incremento constante nel numero dei rametti infetti. Le tesi trattate avrebbero infatti concluso il 2015 con 5 e 7 rametti circa (Cellina e Ogliarola), chiudendo poi il 2016 con 32 e 50. A fine 2017 la chiusura ha rilevato un ulteriore incremento a 50 - 60. In soli due anni la presenza di rametti infetti nelle due varietà trattate è perciò quasi decuplicata comunque. Senza considerare che le pratiche di potatura effettuate solo nelle piante trattate può aver reso del tutto insignificanti le differenze che queste hanno mostrato rispetto ai non trattati, lasciati non potati.

Anche sulla presenza del patogeno (bacterial load) Enrico Bucci avrebbe individuato dei punti deboli. Innanzitutto, solo 4 piante sarebbero state utilizzate per effettuare queste valutazioni, di cui una sarebbe per giunta morta fra le non trattate a seguito della gelata dell'inverno 2017. Questa avrebbe ridotto la carica batterica in tutte le piante, rendendo omogenei i valori fra le due tesi a confronto. Inoltre, la variabilità all'interno di ognuna delle due tesi apparirebbe maggiore di quella fra le due tesi stesse. In altre parole, secondo Bucci non vi sarebbero dati che supporterebbero un effetto di questi fertilizzanti sull'evoluzione della patologia e sul patogeno.

Infine, anche l'analisi statistica avrebbe suscitato non poche perplessità. La deviazione standard di ogni valore, riportati in guisa di istogrammi nelle figure 7 e 8 del paper di Scortichini, sarebbe proporzionale all'altezza degli istogrammi stessi. Un'eventualità più unica che rara. Tanto rara che lo stesso Bucci la utilizza per andare a caccia di artefatti nelle pubblicazioni cui viene chiamato a fare, per così dire, le pulci.

Quindi, leggendo la pubblicazione in questione e analizzando le critiche mosse da Enrico Bucci, la conclusione parrebbe essere che no, i fertilizzanti a base di zinco, rame e acido citrico non fermano la Xylella, né salvano le piante. Forse, ne ritardano soltanto la fine. Per giunta a un costo ettaro non trascurabile. Da una breve indagine, è stato infatti trovato un prezzo all'agricoltore di circa 20 euro al litro di tale prodotto (se ve ne sono di diversi si prega di segnalarli). Dato che le dosi usate nella sperimentazione sono state di 3,9 L/ha, utilizzati sei volte, il costo finale per l'agricoltore sarebbe di 480 euro/ha. Un aggravio insostenibile, soprattutto pensando a quelle aziende agricole che più che coltivare gli ulivi si limitano a raccogliere le olive in pieno inverno, magari con le spazzolatrici dopo averle fatte cadere al suolo.

In attesa che il team di Marco Scortichini replichi alle critiche mosse, un pensiero va a tutti coloro i quali hanno cavalcato imprudentemente il sogno che esistesse un prodotto miracoloso capace di guarire le piante e di salvare dall'espianto. Perché la risposta è no: un tale prodotto ancora non esiste. E la cosa peggiore è che inseguendo tali sogni pericolosi sono state alimentate le molteplici istanze anti-abbattimento, tenendo così aperte le porte alla patologia.
Questa, forse eradicabile quando era ancora circoscritta al gallipolino, oggi ha invaso mezza Puglia, minacciando ora perfino il barese. Una gara che a questo punto può definirsi persa. Una stalla vuota, i cui buoi sono stati lasciati scappare pur di non accettare le evidenze scientifiche che cercavano disperatamente di chiudere la porta prima che fosse tardi.

Ora la stalla è infatti vuota, con la porta ancora spalancata. E l'olivicoltura pugliese spacciata.
Che i fautori di tale disastro, di ogni tipo e carica, se ne assumano finalmente la responsabilità.

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