Lo scorso 15 dicembre 2021 la Commissione Ue ha pubblicato la sua Comunicazione sui Cicli del Carbonio Sostenibili (Communication from the Commission to the European Parliament and the Council - Sustainable Carbon Cycles). Il documento dovrebbe essere l'anteprima di una Direttiva che sarà presentata nel corso del 2022, la quale riconoscerà finalmente il ruolo del carbon farming, che in italiano potremmo tradurre come "carbonicoltura", nella lotta al cambiamento climatico.

L'idea di base è includere l'agricoltura europea nel meccanismo dei crediti di carbonio, oggi limitato al cosiddetto Meccanismo dello Sviluppo Pulito (Cdm, Clean Development Mechanism) che consiste nel pagare i Paesi sottosviluppati affinché coltivino le foreste che cattureranno il carbonio che i Paesi industrializzati continueranno ad emettere per mantenere la loro "crescita". Non entreremo nell'analisi delle implicazioni morali, etiche, ambientali, macroeconomiche, geopolitiche e demografiche di tale scelta, compito che lasciamo alle celebrity dei talk show serali.

In questo articolo tenteremo di capire cosa ci verrà in tasca dall'ultima frontiera del Green Deal o se, come supponevamo lo scorso ottobre, si tratta solo di "blablabla" politico e dovremmo aspettarci solo aumenti dei costi e del carico burocratico.


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In estrema sintesi, l'obiettivo dell'Ue è risparmiare l'emissione (o assorbire dall'atmosfera) di 310 milioni di tonnellate di CO2 all'anno entro il 2030. Tale livello non è un numero scelto arbitrariamente: stando al documento in questione, l'Ue avrebbe effettivamente sequestrato detta quantità di carbonio nel 2013, per poi perderla ad un ritmo di 12 Mton/anno negli anni successivi.

La colpa non è solo degli alberi abbattuti per alimentare le centrali a biomassa, come sostengono alcuni gruppi di stampo complottista, bensì di un complesso insieme di fattori: incendi boschivi, calamità naturali, aumento della produzione e delle importazioni e relative emissioni dei trasporti, ecc.

I settori in cui si pretende di agire sono tre e l'ordine in cui vengono enunziati nella Comunicazione forse indica una priorità nell'assegnazione delle risorse:

  • Carbonicoltura, intesa come un nuovo modello di business in grado di generare ecosistemi più sani. L'obiettivo esplicito assegnato a questo settore è l'aumento di 42 Mton CO2/anno rispetto all'attuale livello di "carbon sink", ma include anche altri benefici ambientali, quali la cattura dei nitrati ed il contenimento dell'erosione e del dissesto idrogeologico.
    Il concetto di carbon farming include due settori di intervento:
     • Agricoltura, mediante la promozione di pratiche agricole di sequestro del carbonio nel suolo, nella biomassa viva e nei "beni durevoli" prodotti con legno o biomateriali innovativi a base di fibre vegetali. Quest'ultima estensione del concetto di sequestro del carbonio potrebbe dare una spinta alle "colture alternative", quali canapa, lino, bambù, miscanto e canna comune. Non è definito però quanto "durevoli" debbano essere i "beni durevoli", né quali caratteristiche debbano avere. Ad esempio, un parquet di bambù di buona qualità potrebbe durare anche cinquanta anni, ma circa il 50% in peso è costituito da resine di derivazione petrolchimica: si può considerare un "carbon sink"? Il buon senso dice di no, ma in mancanza di definizioni più dettagliate, il testo della Comunicazione sembra considerare valida tale ipotesi.
     • "Carbone blu". In euroburocratese significa un insieme composto da tre sottocategorie:
     1) La creazione e il mantenimento di aree costiere lasciate incolte, ad esempio la Maremma Toscana o le barene veneziane, dove il carbonio verrà fissato dalla vegetazione e nei sedimenti.
     2) L'acquacoltura e la molluschicoltura rigenerativa. Non è spiegato perché sarebbero da incentivare. Forse perché i molluschi fissano la CO2 disciolta nel mare sotto forma di carbonato di calcio o, più banalmente, perché è una attività economica molto importante per Belgio e Paesi Bassi, che hanno poco territorio a disposizione per grandi progetti forestali. Anche la fantomatica coltivazione di alghe marine, da sempre foraggiata a suon di milioni per ricerche dai risultati inconcludenti, è inclusa in questo filone.
     3) La permacoltura marina. L'idea sembra quella di creare foreste di alghe marine che cattureranno la CO2 e l'azoto per compensare l'impatto degli allevamenti di pesci. Stessi commenti di cui sopra.
  • Cattura, uso e accumulo industriale della CO2.

 

Focalizzando esclusivamente l'ambito di nostra pertinenza, le misure che la Ce intende adottare per incentivare gli agricoltori europei sono le seguenti:

  • La promozione del carbon farming nell'ambito della Politica Agricola Comune (Pac) e di altri programmi Ue come Life e Horizon Europe, concretamente la missione Soil Deal for Europe oltre che attraverso finanziamenti pubblici nazionali e investimenti privati.
  • La definizione di metodologie standard di monitoraggio, reporting e verifica necessarie per garantire un'adeguata certificazione e permettere lo sviluppo del mercato dei crediti di carbonio.
  • L'offerta di una gestione dei dati e di servizi di consulenza su misura per gli operatori del settore agricolo.

Vediamo in dettaglio cosa significa ciascuna delle suddette azioni dal punto di vista dell'azienda agricola italiana.


Incentivare il carbon farming

La filosofia della Ce è riconoscere ai "gestori di terreni" una ricompensa proporzionale alla quantità di CO2 assorbita o accumulata o semplicemente risparmiata per l'adozione di pratiche produttive più ecocompatibili (ad esempio, la semina su sodo).

Prima osservazione: la sottigliezza di linguaggio del legislatore europeo. Benché non ci sia una definizione esplicita di che cosa si deve intendere per land manager, in senso lato tale dicitura accomuna le aziende agricole, i proprietari terrieri (senza distinzione tra latifondisti e piccoli proprietari e a prescindere che sfruttino i loro terreni a scopi produttivi o no), le amministrazioni pubbliche che gestiscono un territorio, le industrie e perfino le Ong che possiedono terreni. L'erogatore della ricompensa può essere un ente pubblico o un soggetto privato. Fin qui sembra tutto perfettamente condivisibile nel merito, anche se il linguaggio politically correct del legislatore europeo apre la porta alle ingiustizie sociali. Senza un'adeguata definizione formale, l'etichetta "land manager" include anche il proprietario di una tenuta di caccia privata, come ce ne sono tante in Europa, tipicamente in mano ai discendenti dei casati nobiliari, alle celebrity e ai grandi nomi della finanza e l'industria. È giusto premiare con soldi pubblici chi è già abbastanza ricco da possedere vaste estensioni di terra a scopo puramente voluttuario?

Un'altra apparente fallacia logica è l'affermazione a pagina 5 della Comunicazione: "il cibo prodotto con basse emissioni di CO2 ha un maggiore valore riconosciuto dal consumatore". In un periodo di crisi economica come quello che viviamo, sembra utopico pensare che le grandi firme dell'industria alimentare o della distribuzione organizzata siano disposte a pagare di più il produttore in funzione dei risparmi di CO2 conseguiti, riversando tale maggiore costo in un maggiore prezzo del prodotto. Il prezzo al consumatore potrà rimanere stabile solo qualora le future normative prevedano sgravi fiscali per le industrie agroalimentari che riducano le emissioni dell'intera filiera. Comunque alla fine pagheranno i cittadini perché si dovrà compensare con altre tasse il minore gettito fiscale. Comunque la si veda, sembra quanto meno difficile pensare che la carbonicoltura possa diventare un nuovo business senza un cospicuo finanziamento pubblico, cioè dalle nostre tasche.

Le pratiche di carbonicoltura che la Ce prevede di premiare sono:

  • "Interventi di forestazione e riforestazione che favoriscano la biodiversità, gestione forestale sostenibile che includa pratiche rispettose delle biodiversità e adattamento delle foreste al cambiamento climatico" (Sic). Non viene chiarito quali siano tali interventi e pratiche rispettose della biodiversità né cosa significhi adattare un bosco al cambio climatico. Appare utopico l'obiettivo di piantare 1 miliardo (1 billion, Sic) di alberi: da dove proverranno le piantine? Quali specie saranno ammesse? La dichiarazione esplicita di favorire "soluzioni basate sulla natura" sembra escludere l'utilizzo di alberi geneticamente modificati e, se la interpretiamo in senso restrittivo, anche la coltivazione di alberi alloctoni.


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  • "Produzione agroforestale e altre forme di agricoltura che combinano su uno stesso lotto la coltivazione di specie arboree o arbustive con erbacee e/o l'allevamento di bestiame". Questo obiettivo sembra chiaro e relativamente facile da implementare in presenza di qualche sorta di premialità. Ne abbiamo già alcuni esempi in Italia.


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  • Praticare colture miglioratrici (catch crop, cioè coltivate per catturare i nutrienti dispersi dalla coltura principale), colture di sovescio (cover crop, cioè seminate al solo scopo di evitare l'erosione del terreno), minima lavorazione (conservation tillage) e gestione paesaggistica (protezione del suolo, riduzione della perdita per erosione ed incremento del carbonio organico nei suoli arabili degradati). Anche queste pratiche vengono sempre più spesso adottate nel nostro Paese, per cui gli eventuali incentivi futuri sicuramente aumenteranno la loro diffusione.
  • Conversione mirata dei terreni da seminativi a maggesi, o dei terreni messi a riposo in pascoli permanenti. Tali azioni forse potrebbero essere applicate dalle piccole aziende agricole delle zone montane.
  • Ripristino di torbiere e acquitrini per incrementarne il potenziale di cattura di carbonio, promozione della "paludicoltura". In Italia le torbiere sono rare (100mila ettari quasi tutti parchi naturali). Sembra improbabile che le aree paludose bonificate all'inizio del Ventesimo secolo, oggi dedicate maggiormente ad agricoltura intensiva, possano essere ripristinate al loro stato iniziale, o che si possa fare ricorso alla "paludicoltura" invocata nel documento. Questa tecnica di carbonicoltura è inapplicabile per la stragrande maggioranza delle aziende agricole italiane. Forse è stata inclusa per venire incontro all'accesso dibattito sull'uso energetico della torba in Finlandia.

Definire metodologie standard di contabilizzazione

La comunicazione riconosce anche la necessità di assicurare che le misure a sostegno del carbon farming non intacchino altri settori, vanificando i risultati. In Macroeconomia questo fenomeno si conosce come Legge di Goodheart (Foto 1): "Quando una misura diventa l'obiettivo, cessa di essere una buona misura". Con tutto rispetto per Goodheart ed i giornali americani della grande finanza, in Italia tale principio è noto da secoli come: "Fatta la legge, trovato l'inganno". Comunque sia, la Legge di Goodheart è uno dei principali argomenti dell'ideologia liberale contro le sovvenzioni statali.


La Legge di Goodheart
Foto 1: La Legge di Goodheart. Immagine con licenza CC, adattamento dell'autore
Secondo una storia (non supportata da evidenze verificabili) diffusa da Bloomberg, nella vecchia Unione Sovietica i gerarchi decisero di incentivare i lavoratori di una fabbrica di chiodi con un bonus in funzione del numero di unità prodotte. Risultato: milioni di minuscoli e inutili chiodi. Visto il risultato disastroso della prima misura, stabilirono un nuovo incentivo a peso. Nuovo risultato: pochi inutili chiodi giganti


Benché la Comunicazione non nomini esplicitamente la Legge di Goodheart, traspare un certo timore della Ce che gli incentivi alla carbonicoltura finiscano per generare situazioni obbrobriose come quella dei chiodi sovietici. Tale timore si traduce in una lunga serie di "paletti", forieri di maggiore carico burocratico per le aziende agricole e di milioni di euro per foraggiare i soliti "think tank", assessori politici, Ong e centri di ricerca Centro Nord europei. Due pagine della Comunicazione sono dedicate ad elencare le azioni "da studiare" per definire le metodologie di misurazione dei risultati delle azioni elencate, per garantire la trasparenza ed evitare le frodi ed i "doppi conteggi" del carbonio da parte degli Stati membri, per eliminare l'incertezza normativa e coinvolgere gli investimenti privati. Si prospetta la creazione dell'ennesima Commissione di Esperti e associazioni di categoria. L'invocazione esplicita di una applicazione rigorosa del principio "chi inquina paga" sembra presagire la solita persecuzione ideologica nei confronti degli allevatori di bestiame.


Offerta di gestione dei dati e servizi di consulenza

Per gestire la mole di "paletti" normativi necessari per garantire equità e trasparenza nella gestione dei contributi, la Ce intende istituire dei servizi di consulenza al servizio di agricoltori ed enti pubblici. Tali servizi dovrebbero attingere dati dal servizio satellitare Copernicus, costato 8,2 miliardi di euro. Si prevede che detto progetto spaziale genererà fra 16,2 e 21,3 miliardi di euro di fatturato di servizi a vari comparti economici, fra i quali l'agricoltura è esplicitamente inclusa.

Quindi possiamo ragionevolmente immaginare che il Consorzio Gestore di Copernicus non fornirà servizi gratuitamente. Per poter incassare i contributi alla carbonicoltura sarà necessario certificare le superfici effettivamente piantumate e mantenute in piedi. Quindi qualcuno dovrà pagare per l'uso dei satelliti a scopo di monitoraggio. Non è chiaro se saranno i singoli Stati, che in definitiva avranno il compito di verificare prima di erogare i soldi alle aziende agricole, o se saranno le aziende stesse che dovranno pagare qualche ente certificatore per poter accedere ai contributi, e quindi sarà tale ente a pagare una quota a Copernicus.
Alternativamente, sarà necessario ricorre a ispezioni e misurazioni sul campo da parte dell'ente certificatore. A meno che gli ispettori di quest'ultimo si spostino con mezzi elettrici, c'è da chiedersi se le emissioni di CO2 causate dagli spostamenti non superino i risparmi conseguiti con la coltivazione forestale o le pratiche agricole virtuose. Comunque vada, do ut des: direttamente o indirettamente l'azienda agricola dovrà prima sborsare soldi per ottenere la certificazione delle tonnellate di CO2 assorbite, per poter poi incassare i futuri contributi.


Conclusioni

L'accoglienza che le associazioni di agricoltori e i gruppi ecologisti hanno riservato alle dichiarazioni di Frans Timmermans e Janusz Wojciechowski è stata piuttosto fredda, se non ostile.

Se la Comunicazione della Ce al Parlamento Europeo diventerà in tempi brevi una Direttiva vincolante per gli Stati membri, e se questi la recepiranno in tempi record, allora la carbonicoltura potrà diventare il nuovo modello di business agricolo entro la fine del 2022, come richiede la Ce. Ma verosimilmente le aziende agricole dovranno far fronte ad una mole di dichiarazioni, accertamenti, ricorsi a consulenti ed enti certificatori, per cui è probabile che, a conti fatti, saranno pochi ad aderire all'iniziativa.

Quindi l'emanazione di una Direttiva sulla carbonicoltura è un'azione da portare avanti per la lotta al cambiamento climatico "con se e con ma". Un proclama di cambiamento radicale, redatto nel pomposo gergo euroburocratese, che ha tutta l'aria di non essere in grado di cambiare niente. A quanto pare, i discendenti del Principe di Salina oggi vivono a Bruxelles.