Il metano (CH4), dopo l'anidride carbonica (CO2), è il secondo gas serra emesso in atmosfera dalle azioni antropiche causanti il cambiamento climatico. Il motivo del suo importante contributo al riscaldamento globale è duplice: fisico e chimico. Dal punto di vista fisico, la molecola di CH4 è più opaca ai raggi infrarossi di quella della CO2, e quindi impedisce alla Terra di dissipare il calore verso lo spazio. Dal punto di vista chimico, il CH4 non si dissolve nell'acqua né viene assimilato dalle piante, quindi si accumula nell'atmosfera dove, ossidandosi lentamente, libera CO2 e vapore d'acqua.

La sua incidenza sul riscaldamento globale è maggiore quanto più vicino sia l'orizzonte temporale considerato. Ad esempio, l'impatto di una tonnellata di CH4 emessa oggi si ripercuote sul clima globale per cento anni, come se fossero state emesse ventotto tonnellate di CO2. Se invece si considera l'effetto in un orizzonte di venti anni, il fattore d'equivalenza sale a 85 tonnellate CO2. Questo è il motivo per il quale le statistiche di emissioni di gas climalteranti riportano sempre il dato di "tonnellate equivalenti di CO2", e spiega il perché spesso i numeri differiscano notevolmente da uno studio all'altro, a seconda che si consideri il fattore di equivalenza a venti anni o a cento anni.

È dunque logico che, nell'ambito degli impegni internazionali nella lotta al cambiamento climatico, l'Ue si prepari a legiferare anche su questo argomento e che, in vista dell'incremento del riscaldamento globale nell'ultimo decennio, abbia adottato come criterio di valutazione l'effetto climalterante a venti anni. Il 14 ottobre del 2020 è stata pubblicata la Strategia per ridurre le emissioni di metano (comunicazione al Parlamento europeo COM (2020) 663 final, 14/10/2020). Vediamo gli aspetti più importanti del documento, analizzando opportunità e minacce per gli allevatori di bovini e per l'industria del biogas, senza tralasciare la segnalazione di qualche vizio ideologico.


Le fonti di metano antropogenico

La strategia della Ce identifica alcuni macrosettori nei quali agire per contenere le emissioni di CH4 nell'atmosfera:
  • Industria del petrolio e del gas. È la principale fonte di emissioni, che possono essere intenzionali (CH4 liberato nell'atmosfera nei campi petroliferi perché l'industria non ritiene redditizio il suo sfruttamento) o accidentali (perdite nei gasdotti, reti di distribuzione ed impianti di liquefazione/rigassificazione).
  • Industria del carbone. Il grisù, gas tragicamente noto ai minatori, è perlopiù CH4 imprigionato nei pori del carbone. Le miniere dismesse e non adeguatamente sigillate sono dei punti di emissione di CH4. Le miniere attive sono talvolta dotate di sistemi di cattura del CH4, che oltre a renderle più sicure ne consentono il suo sfruttamento. Quest'ultima tecnologia è per ora poco diffusa.
  • Combustione incontrollata di biomasse. Rientrano in questa categoria gli incendi forestali (spesso causati dall'uomo), la combustione in aperta campagna dei residui agricoli, il riscaldamento domestico a legna (Rif. [i]), i forni a legna delle pizzerie, i ristoranti con grill a carbonella e, in genere, qualsiasi processo di combustione di biomasse o di carbone di legna in condizioni non controllate (Rif. [ii]). La combustione di biomasse, all'aperto o in dispositivi senza regolazione automatica dell'aria, produce CO2 assieme ad una grande varietà di incombusti: particelle di carbone, monossido di carbonio, aromatici, e infine, CH4.
  • Smaltimento e trattamento rifiuti. La principale fonte di emissione di CH4 sono le discariche prive di sistemi di recupero.
  • Agricoltura. La Ce punta il dito contro gli allevamenti di bovini e ovini poiché considerati responsabili delle emissioni enteriche, cioè le flatulenze caratteristiche dei ruminanti. Nella Strategia per la riduzione delle emissioni di metano si segnala che l'80,7% delle emissioni di CH4 agricole sono di tipo enterico, il 17,4% deriva dalla gestione del letame e liquami e il 2,1% dalla coltivazione di riso. La Ce auspica dunque un cambio nella dieta dei ruminanti e anche in quella degli europei, in modo che la riduzione del consumo di carne e latticini comporti una riduzione del numero di capi. Nella modesta opinione dell'autore, l'atteggiamento euroburocratico nei confronti degli allevamenti ha più componenti ideologiche che fondamenti scientifici, come vedremo in seguito.


La fallacia ideologica

La Tabella 1, tratta da una comunicazione della Ce al Parlamento (EU 2030 climate target plan - Impact assessment), peraltro citata nella strategia, mostra le emissioni di CH4 per settore. La Tabella 2, tratta dallo stesso studio d'impatto, mostra il totale delle emissioni di gas di effetto serra per settore. A dispetto delle affermazioni di gruppi ambientalisti, vegani, "comitati del no" e alcuni esponenti del M5S, una valutazione attenta dei dati della Ce dimostra che l'agricoltura incide relativamente poco nel bilancio complessivo dei contribuenti al cambio climatico. Fino al 2015, il comparto agricolo emetteva il 52% dei gas "non CO2", i quali però rappresentavano solo il 18% delle emissioni climalteranti totali. Quindi le emissioni effettivamente imputabili all'agricoltura sono solo il 9,4% del totale.

I gruppi politici menzionati e la stessa Ce sorvolano sistematicamente sul fatto che l'agricoltura (intesa come un unico comparto, cioè compresa la silvicoltura) compensa circa l'8% delle emissioni totali (i numeri negativi di Lulucf nella Tabella 2). Quindi, il settore economico che più si avvicina alla tanto auspicata carbon neutrality è precisamente l'agricoltura: emette il 9,4% del totale dei gas d'effetto serra ma ne compensa l'8%.

Tabella 1: Emissioni storiche di gas serra non-CO2 per settore economico
Tabella 1: Emissioni storiche di gas serra non-CO2 per settore economico (tratta dalla pagina 85 dello studio d'impatto citato, omesse le estrapolazioni al 2030, in Mton di CO2 equiv., calcolate con la metodologia AR5 dell'Ipcc (International panel for climate change), l'autore ha aggiunto le percentuali ed i totali per facilitare la comparazione)
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Tabella 2: Emissioni totali di gas ad effetto serra per settore economico (estratta da pagina 48 dello studio d'impatto citato, in Mton di CO2 equiv., ommesse le estrapolazioni). Nb: Le percentuali non sono additive, alcune categorie sono state disaggregate
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Allo scopo di riattivare l'economia agricola, piuttosto che auspicare il cambio di dieta dei ruminanti e dei consumatori, sarebbe molto più semplice e più utile se la Ce promuovesse la semplice digestione anaerobica di letame e liquami in lagoni coperti ed il recupero del biogas per l'autoconsumo dell'azienda agricola. Tale tecnica costa solo una frazione di un impianto di biogas convenzionale. Certamente produce meno biometano o energia elettrica, ma è molto più facile da costruire e gestire di un digestore alimentato a insilati o sottoprodotti. Ovviamente, né ai costruttori di impianti di biogas, rappresentati dalla Eba (European biogas association) e né alle utilities interessa fare pressione sulla Ce per promuovere una soluzione che comporta i maggiori vantaggi per l'azienda agricola e per l'ambiente, quindi tale opzione non viene nominata esplicitamente nella strategia. Il lagone coperto ha in genere un grande volume, quindi un tempo di digestione sufficientemente lungo da garantire un digestato di qualità comparabile a quella di un impianto di biogas. Ricordiamo che l'utilizzo corretto del digestato -rivoltando la terra subito dopo la sua applicazione - restituisce carbonio al terreno, limita le emissioni di ammoniaca e riduce il consumo di fertilizzanti chimici, fattori che contribuiscono a ridurre ulteriormente le emissioni totali dell'attività agricola.

In ultima analisi, la promozione del biogas è una delle vie indicate dalla Strategia di riduzione delle emissioni di metano. Tuttavia, non è chiara la politica degli incentivi, né se sarà definita a livello comunitario o si lascerà ai singoli Stati la potestà di legiferare in merito. In quest'ultima ipotesi, non è chiaro se la strategia servirà come leva per favorire l'ulteriore sviluppo della digestione anaerobica in piccoli impianti, perché è nota l'avversione del M5S nei confronti della digestione anaerobica.
 
Tuttavia il neo-ministro dell'Agricoltura, Stefano Patuanelli, sembra invece favorevole al rilancio, almeno da quanto riporta l'agenzia Ansa.
 


Più adempimenti burocratici per gli allevatori?

Una delle azioni indicate nella strategia è l'utilizzo del "carbon navigator" per l'analisi del ciclo produttivo degli allevamenti di bovini. Si tratta di un software sviluppato in Irlanda che consiste in un database nazionale, generato con informazione che gli stessi allevatori devono fornire. Senza entrare nel merito dell'efficacia che tale strumento possa aver raggiunto in Irlanda, nella modesta opinione dell'autore, pretendere la sua applicazione a livello europeo è fuorviante.

La zootecnia irlandese ha una serie di peculiarità che la rendono unica e quindi difficilmente estrapolabile al continente:
  • È quasi esclusivamente dedicata all'allevamento di bovini e ovini.
  • L'allevamento è quasi esclusivamente al pascolo, conseguenza di un clima piovoso e senza estremi di temperatura, nel quale l'erba è verde durante tutto l'anno.
  • Si tratta del paese con la percentuale di superficie boschiva minima dell'intera Unione, e inoltre relativamente poco industrializzato. È dunque logico che l'incidenza percentuale delle emissioni climalteranti imputabili all'agricoltura sia alta, perché è praticamente l'unico comparto ad emettere CH4 (Tabella 3 e Foto 1), senza però avere l'effetto di carbon sink della silvicoltura.

Non mettiamo in dubbio che il carbon navigator sia uno strumento efficace per consentire all'Irlanda di raggiungere i propri obiettivi di contrasto al cambio climatico (Rif. [iii]), ma il beneficio della sua eventuale applicazione in Italia - la cui percentuale di emissioni agricole di CH4 è medio-bassa - sarebbe pressoché irrilevante, come si può facilmente dedurre dalla Foto 1. Dedicare una percentuale della superficie agricola dell'allevamento alla piantumazione di alberi - uno degli interventi che il carbon navigator suggerisce per migliorare il punteggio degli allevamenti di tipo estensivo - ha certamente senso in Irlanda, sia per il carbonio sequestrato nel legno che per il riparo fornito agli animali. La disponibilità di erba non verrebbe intaccata in un sistema di allevamento estensivo.

In Italia, le aziende di allevamenti intensivi devono acquistare mangimi per integrare la capacità della propria superficie a soddisfare il fabbisogno e quindi l'autosufficienza. Pertanto, obbligare gli allevatori a piantare alberi nel proprio terreno, riducendo la loro capacità produttiva alimentare, sarebbe ulteriormente penalizzante dal punto di vista economico. Li obbligherebbe ad incrementare la percentuale di mangime. Dal punto di vista del cambio climatico, li obbligherebbe ad aumentare le importazioni di mangimi e di conseguenza anche l'incremento delle emissioni climalteranti legate al trasporto e anche all'Iluc (Indirect land use change). Il problema dell'Iluc è particolarmente grave nel caso della soia importata dal Brasile, dove è in atto la devastazione della foresta amazzonica per favorirne la coltivazione.

Tabella 3: Emissioni agricole dei singoli paesi, espresse in percentuale sul totale delle emissioni di CH4
Tabella 3: Emissioni agricole dei singoli paesi, espresse in percentuale sul totale delle emissioni di CH4. Dati della Banca mondiale
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Emissioni agricole di metano, percentuale sul totale dei singoli Stati
Foto 1: Emissioni agricole di metano, percentuale sul totale dei singoli Stati. Dati della Banca mondiale, 2010
(Fonte foto in questa pagina)
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Conclusioni

La Strategia europea per la riduzione delle emissioni di metano, prevista con il Green deal, si prefigura un'ulteriore incombenza per il neo-Governo Draghi perché la riduzione delle emissioni climalteranti è una delle condizioni per poter beneficiare dei cospicui finanziamenti del Recovery fund.

Non è chiaro quale sarà l'atteggiamento del nuovo governo italiano nei confronti della promozione della digestione anaerobica, né se ci sarà una maggiore flessibilità normativa per facilitare la sostituzione delle biomasse da colture dedicate con rifiuti e residui, anche non agricoli. La stessa incertezza si riscontra nell'utilizzo della nuova tecnologia per il rilevamento ed analisi di immagini satellitari ad alta risoluzione, che consente di valutare la concentrazione di metano locale (Foto di apertura dell'articolo).

A nostro avviso, in futuro potrebbe essere utilizzata come argomento per imporre ulteriori adempimenti burocratici e limitazioni agli allevatori, sulla scia del modello irlandese. Infine, non escludiamo l'orientamento verso una politica disincentivante o addirittura proibizionista dell'utilizzo di legna in forni e camini privi di sistemi di controllo della combustione.

Bibliografia e riferimenti
[iSenem Ozgen, Stefano Caserini, Methane emissions from small residential wood combustion appliances: Experimental emission factors and warming potential, Atmospheric environment, Volume 189, 2018, Pages 164-173, ISSN 1352-2310.
[iiJoel S. Levine, Wesley R. Cofer III, Joseph P. Pinto; Biomass burning and the production of methane; Epa Report EPA/600/A-92/221.
[iii]  Murphy, P. & Crosson, Paul & O'Brien, Donal & Schulte, R.. (2013). The carbon navigator: a decision support tool to reduce greenhouse gas emissions from livestock production systems. Animal(2013), 7:s2, pp 427-436 The animal consortium.

Dati addizionali
Studio della Fao sulle emissioni agricole in Irlanda e l'uso del carbon navigator
Carbon navigator, specifiche ed istruzioni d'uso.


Didascalia foto completa: Concentrazione di metano atmosferico rilevata dal sistema satellitare Ghgsat il 25 luglio 2020. Immagine generata con il visore interattivo Pulse. Si osservi la colorazione più rossa in corrispondenza della Pianura padana, nota per l'elevata concentrazione di allevamenti bovini e risaie.