La legge nazionale n. 141 del 18/08/2015 definisce l'agricoltura sociale come: "l'insieme di tutte quelle pratiche agricole che hanno la capacità di generare benefici per le fasce più deboli della popolazione".

In questo ambito rientrano le attività che prevedono:  
  • l'inserimento socio-lavorativo di lavoratori con disabilità e lavoratori svantaggiati, persone svantaggiate e minori in età lavorativa inseriti in progetti di riabilitazione sociale;
  • prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali attraverso l'uso di risorse materiali e immateriali dell'agricoltura;
  • prestazioni e servizi terapeutici anche attraverso l'ausilio di animali e la coltivazione delle piante; 
  • iniziative di educazione ambientale e alimentare, salvaguardia della biodiversità animale, anche attraverso l'organizzazione di fattorie sociali e didattiche.

Dopo quasi quattro anni dalla sua pubblicazione, la legge 141/2015 è stata applicata solo parzialmente, perché mancano i relativi decreti attuativi: lo schema del provvedimento sembra rimasto insabbiato al Senato da marzo 2018.

Ciò nonostante, qualcosa è stato fatto, come dimostra il rapporto pubblicato dalla Rete rurale nazionale (Rrn) nel 2018. Tuttavia, non ci è dato da sapere quale percentuale dei 115 milioni di euro in dotazione alla Rrn - 60 milioni dalla Ue più i 55 milioni di fondi nazionali - siano stati effettivamente dedicati a promuovere le iniziative di agricoltura sociale.

Molto laconicamente, il rapporto specifica che:
"Poco più della metà delle aziende (intervistate durante la redazione del rapporto, N.d.A.) dichiara di aver fatto investimenti economici nell'ambito dell'attività di agricoltura sociale negli ultimi cinque anni. L'importo complessivo ammonta a 20,3 milioni di euro con una media aziendale stimabile in 430mila euro. Gli investimenti fatti negli ultimi cinque anni sono stati per il 55% dei casi finanziati in proprio o facendo ricorso a finanziamenti privati, anche tramite operazioni di crowdfunding e donazioni; un quarto delle aziende ha fatto ricorso a fondi pubblici e il 17% a fondi bancari o di fondazioni (Figura 24)".

Dal paragrafo precedente e dalla figura a suo corredo, possiamo dedurre che i due governi, succedutisi dal 2015, hanno dedicato solo 5,27 milioni di euro alla promozione dell'agricoltura sociale, ovvero un misero 4,6% dei fondi in dotazione alla Rrn. Risulta strano che solo la quarta parte delle aziende agricole sociali abbia beneficiato di aiuti pubblici. Tuttavia, il rapporto non specifica se ciò si debba alla mancanza del decreto attuativo, alla mancanza di informazione fra gli operatori del settore, oppure se - come sarebbe auspicabile - il reddito, garantito dell'attività di agricoltura sociale è sufficiente e per cui non è stato necessario richiedere un finanziamento pubblico. 

La Figura 24 menzionata nel virgolettato, tratta dalla pagina 46 del rapporto della Rrn sull'agricoltura sociale
Figura 1: La Figura 24 menzionata nel virgolettato, tratta dalla pagina 46 del rapporto della Rrn sull'agricoltura sociale
(Fonte foto: Rete rurale nazionale)

Costatiamo che la L.N. 141/2015 non menziona le parole "energia", "biomassa", "biocarburante" o "biogas", lasciando sottinteso che l'unico scopo dell'agricoltura sociale è la produzione di alimenti. Eppure, l'agricoltura sociale sarebbe un ottimo strumento per contrastare la povertà energetica.

La definizione di questa forma di povertà varia da un paese all'altro. Nell'Ue viene circoscritta alla difficoltà nel mantenere adeguate condizioni di comfort nelle abitazioni, anche se tale visione è comunque restrittiva, perché ignora tutte le altre necessità energetiche dei cittadini per poter vivere degnamente.

Il progetto OpenExp, finanziato dalla Commissione europea, ha definito due indici di povertà energetica, relativi rispettivamente ai costi delle utenze domestiche e dei carburanti, vettori energetici per ora indispensabili per gli spostamenti per lavoro e studio. Secondo il rapporto pubblicato dal suddetto ente a gennaio del 2019, l'Italia è al 22° posto fra i paesi dell'Ue in termini di misure concrete per alleviare la povertà energetica.
Il problema risiede nel fatto che il nostro paese non riconosce la povertà energetica come un problema sociale, bensì lo tratta esclusivamente nei piani energetici nazionali (Figura 2). La prova tangibile è il rapporto Istat sulla povertà: non menziona il problema specifico del fabbisogno energetico delle famiglie, includendolo nel più generico concetto di "povertà".

La disparità di criteri nell'approccio al problema della povertà energetica in Europa
Figura 2: La disparità di criteri nell'approccio al problema della povertà energetica in Europa.
Tratto dal rapporto OpenExp2019

L'unico studio in italiano, liberamente accessibile in internet, è una pubblicazione della Banca d'Italia, risalente al 2014. Qui risulta evidente il criterio adottato dal Governo di allora, e tuttora valido: l'assistenzialismo. L'approccio della politica italiana si è sempre concentrato sull'erogazione di contributi pubblici per aiutare a pagare le bollette. Bollette nelle quali, ricordiamo, meno del 30% è rappresentato dal costo dell'energia: il 70% sono tasse e contributi per coprire le inefficienze del sistema. In altre parole: lo Stato impoverisce le famiglie supertassando le bollette, e poi stanzia fondi pubblici affinché i poveri possano pagare le bollette, ivi comprese le tasse che ne hanno causato l'impoverimento.


Conclusioni

Dai un pesce ad un uomo e lo nutrirai per un giorno, insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita.

Non è chiaro se tale frase appartenga a Mao Tse-tung, a Confucio, a Lao Tse, o se sia un proverbio cinese anonimo, ma di certo rappresenta l'antitesi del ragionamento politico italiano sin dal Dopoguerra. Un vecchio contadino, ex partigiano, mi diceva sempre "Mario, assicurati sempre che a casa tua non manchino né il sale e né la legna. Con il sale rendi commestibili anche le erbe, e con la legna puoi cucinare, scaldare la casa e una pentola d'acqua per lavarti".
Oggi i politici la chiamano "resilienza" e pagano milioni ai "think tank", come OpenExp, per ottenere tabelle con indici macroeconomici che alla fine puntano su ciò che è ovvio: non esiste resilienza senza un sistema agro-alimentare-energetico integrato e capillarmente diffuso.

La gestione a scomparti stagni dei due fabbisogni fondamentali della popolazione - l'alimentazione e l'energia - ha fatto perdere all'Italia una opportunità di ottimizzare le risorse. L'agricoltura sociale, se olisticamente organizzata, potrebbe risolvere contemporaneamente i problemi nutrizionali ed energetici delle fasce più deboli della popolazione, senza pesare sul bilancio pubblico.

"Dai sovvenzioni a un uomo per pagare la luce ed il gas, e dovrai aumentare le tasse. Dagli un pezzo di terra da lavorare, e te lo leverai dal bilancio pubblico".


Approfondimenti

Dello stesso autore: Agricoltura sociale e disabilità
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Guida all'Agricoltura sociale della Sicilia
Guida dell'Agricoltura sociale - Regione Lazio