Storia e mitologia

Da un'analisi bibliografica sul "compost dei Templari" risultano due diverse scuole di pensiero: la prima è quella di Jean Pain e la seconda di Laurent Daillez.
Pain era un ex macellaio divenuto agricoltore autodidatta. Diceva di essere lo scopritore del compost realizzato esclusivamente in base a biomasse di arbusti triturati con un cippatore di sua invenzione, che non sembra avere niente di diverso rispetto ad un qualsiasi altro cippatore all'epoca esistente nel mercato. L'opera di Pain è stata pubblicata da sua moglie Ida, nel libro Les methodes de Jean Pain (versione in inglese Another kind of garden - The methods of Jean Pain, scaricabile qui).

Secondo alcune interviste a persone che l'hanno conosciuto, riportate nella tesi Antropologia del compostaggio sociale di Veronique Philippot, Pain abitava in un antico podere dei Templari nel Sud della Francia, e pare si fosse un po' fissato con delle idee teosofiche attorno alla mistica dei monaci-guerrieri, o forse tentava di costruire un'immagine di sé un po' stravagante - atteggiamento ricorrente negli anni '70 - per meglio vendere i suoi prodotti. Il fatto è che raccontava ai suoi clienti di aver ricevuto la ricetta del "suo" compost direttamente dai Templari.

Daillez era, invece, uno storico e ricercatore universitario. Rivendicava la scoperta della menzionata ricetta medievale, durante una borsa di studio, quando venne a conoscenza di alcuni manoscritti dei Templari e dei Cistercensi in una abbazia nel Sud della Spagna. Ha tradotto dal latino almeno dieci ricette di compost contenute fra le 180 pagine delle pergamene medievali, la prima delle quali sarebbe il "compost dei Templari" avente - a suo dire - qualità quasi miracolose.
Daillez aveva fatto testare le varie ricette ad un agricoltore belga di nome Ell e pubblicato le loro "scoperte" in un libro titolato Les Templiers et l'agriculture.

A parte la palese inimicizia fra i due soggetti, a quanto pare sfociata perfino in cause legali, entrambi avevano in comune tre cose:
  • Nessuno dei due aveva compiuto studi specifici in agronomia e nemmeno aveva avuto un'esperienza diretta in agricoltura. Nel linguaggio moderno, potremmo definirli come due fake experts.
  • Entrambi attribuiscono ai Templari conoscenze arcane, che in realtà molto probabilmente derivavano da una lettura dell'opera di Columella, che oggi conosciamo nella sua integrità precisamente grazie alle copie realizzate dai monaci medioevali, tra quelli gli stessi Cistercensi studiati da Daillez. Non possiamo neanche scartare la possibilità che i monaci spagnoli avessero imparato alcune tecniche agricole dagli arabi, magari combinandole con la propria tradizione latina.
  • Entrambi sostengono, a torto, che il compost si debba realizzare con biomassa "viva" - cioè, tagliata e cippata non oltre le 24 ore prima di iniziare il compostaggio - perché "è necessario restituire vita alla terra affinché questa produca ancora vita". Tale ragionamento superstizioso, frequente nelle concezioni della cosiddetta agricoltura biodinamica, è noto in antropologia come "magia simpatica" o "magia simpatetica", cioè "gli oggetti producono effetti simili al concetto che rappresentano" (Si veda Il ramo dorato di James Frazer, pietra angolare della antropologia religiosa comparata, oppure un piccolo riassunto nell'Enciclopedia Treccani).

La differenza fondamentale fra le idee di Pain e Daillez è l'approccio allo sfruttamento del thermocompost. Il primo vedeva la tecnica di produzione del "compost dei Templari" in una ottica pragmatica: una fonte energetica e nel contempo di fertilizzante, ma con la presunzione ottusa di poter applicarlo a qualsiasi coltura e terreno, solo sulla base di conoscenze mistiche attribuite ai Templari, da lui ritenuti erroneamente gli inventori del compostaggio.
Il secondo difendeva invece - giustamente - l'applicazione di ricette diverse a seconda del tipo di coltura e di suolo, ma tendeva ad esagerare alcuni aspetti "misteriosi" della preparazione del prodotto e non prendeva minimamente in considerazione la possibilità di recuperare il calore dal cumulo di biomassa in fermentazione. Sembra anche che ignorasse l'opera di Columella.
 

Cos'è un termocompostatore

Un termocompostatore, chiamato anche biomeiler  (letteralmente bio-pila o bio-cumulo in tedesco), o thermocompost in francese e inglese, non è altro che un cumulo di biomassa vegetale cippata, in alcuni casi previamente inzuppata con acqua, dentro la quale vengono disposti dei serpentini fatti con dei tubi di polietilene, nei quali si fa circolare acqua con una piccola pompa. Il calore della fermentazione aerobica riscalda l'acqua e la accumula in un serbatoio, da utilizzare come acqua calda sanitaria. Tutto lì. La disposizione costruttiva varia da un inventore all'altro, come si può apprezzare nella Foto di apertura dell'articolo e nella Figura 1.
 
Variante statunitense, tratta dal sito dell’associazione tedesca Native Power
Figura 1: Variante statunitense, tratta dal sito dell'associazione tedesca Native Power
 

Resa energetica del termocompostatore

Non abbiamo trovato alcuno studio universitario o pubblicazione peer reviewed sull'argomento. Tutta l'informazione presente in internet proviene da prove amatoriali o dai blog di "esperti" autoreferenziati.
Secondo il sito della Native Power un mucchio di cippato di 60 m3 sarebbe capace di produrre 4 kW di potenza termica costante durante un intervallo di tempo compreso tra 12 e 18 mesi, ciò corrisponde almeno a 35.040 kWh/anno.  Tale affermazione desta un po' di perplessità perché, osservando la Figura 1 della Prima parte di questo articolo, la temperatura di un mucchio di biomassa legnosa, in fermentazione, si mantiene oltre i 40 °C per un mese circa e poi si raffredda man mano che si esaurisce il carbonio.
Se è vero che il biomeiler in questione non viene rivoltato mai, allora il processo dovrebbe durare più di un mese. E' altrettanto vero però che, in tali condizioni, i microrganismi faticherebbero a produrre calore per l'insufficiente ossigenazione.

Supponendo che l'idea funzioni, allora quale sarebbe il suo rendimento energetico? E' facile calcolarlo con i dati presentati nella Prima parte di questo articolo (o nel testo di riferimento: La Tecnologia del Compostaggio, Arpa Veneto e Università di Udine, 2002). Il compostaggio di 1 kg di biomassa fresca, in condizioni ideali, sprigiona 1,5 kWh. Orbene, consideriamo la massa volumica della biomassa lignocellulosica, cippata con la granulometria necessaria per il compostaggio, compresa fra 300 e 500 kg/m3. Successivamente, assumiamo 400 kg/m3, quindi 60 m3 di cippato equivalgono a 24mila kg e quindi il metabolismo di batteri aerobici è in grado di sprigionare, teoricamente, non più di 36mila kWh. Se fosse vero che il menzionato modello di termocompostatore producesse 35.040 kWh/anno, allora il suo rendimento risulterebbe, semplicemente così definibile:
 
η = 35.040 / 36.000 = 0,97 = 97%

Tale elevatissima efficienza energetica è fisicamente impossibile, per il semplice motivo che richiederebbe di svolgere il processo di compostaggio in un contenitore chiuso e molto ben isolato, tutto il contrario di un cumulo di biomassa in fermentazione. Il "conto della serva" è dunque già sufficiente per definire inattendibili le informazioni considerate invece dalla Native Power e da tutti gli altri "esperti", nazionali ed esteri, come fonti autorevoli.

L'autore ha verificato, inoltre, se la resa energetica e la durata siano, almeno teoricamente, ammissibili (Allegato alla fine dell'articolo per chi volesse approfondire).
I risultati operativi millantati dai promotori del thermocompost si rivelano inattendibili, in quanto violerebbero il primo principio della termodinamica. Nella migliore delle ipotesi, il modello di biomeiler da 60 m3 difficilmente potrebbe funzionare con la potenza dichiarata dai promotori tedeschi per più di tre o quattro mesi.
 

Altri svantaggi del termocompostatore

  • Rischio di sanzioni. Ricordiamo che, secondo le interpretazioni di alcune amministrazioni pubbliche, avere un mucchio di materiale di più di 20 m3 costituirebbe reato di "discarica abusiva" (Codice Ambientale 152/2006 e s.i. m.).
  • Il potere calorifico inferiore del cippato è pari a 3,5 kWh/kg, e la sua combustione in una caldaia di media qualità consente di sfruttarne almeno l'85%, quindi 2,97 kWh/kg reali, contro 1,5 kWh/kg teorici del biomeiler proposto dai tedeschi. Se si desiderasse recuperare inoltre i nutrienti della biomassa, basterebbe mischiare la cenere, raccolta nella caldaia, con del compost commerciale e/o con del letame, o meglio ancora con miscele di essi.
  • Se fosse vero che il thermocompost funzionasse come dicono i suoi promotori, allora ogni anno bisognerebbe disfare il cumulo, distribuire 7 tonnellate di compost nei campi (basta appena per concimare mezzo ettaro, secondo i dosaggi raccomandati dalla Coldiretti) e, infine, cippare e ammucchiare altri 60 m3 di ramaglie e biomasse varie.
  • Ricordiamo dalla Prima parte di questo articolo che la decomposizione delle biomasse produce CO2 e anche H2O. Dunque, tutte le biomasse producono sempre percolati durante il compostaggio, e il "compost dei Templari" non costituisce eccezione. A meno che il mucchio di thermocompost non sia installato su un'apposita superficie impermeabile, con possibilità di ricircolo dei percolati, questi ultimi potrebbero infiltrarsi nel terreno ed inquinare le falde superficiali.


Conclusione

Per quanto l'idea di produrre simultaneamente energia e fertilizzante sia attraente, il termocompostaggio non sembra la migliore opzione per tale scopo. Meglio ricorrere alla digestione anaerobica - se le biomasse disponibili fossero fermentescibili - oppure acquistare una caldaia pirolitica dalla quale recuperare il biochar (si veda Risparmiare acqua e fertilizzanti con il biochar) o, in ultima istanza, utilizzare una buona caldaia a cippato, reimpiegando le ceneri, miste a del normale compost commerciale, come concime.
 

Allegato - Bilancio energetico semplificato del thermocompost

Supponiamo che le informazioni pubblicate nel sito dell'associazione tedesca Native Power siano vere. Tentiamo di effettuare un bilancio di energia, supponendo che il loro biomeiler venga installato in un luogo con un clima simile a quello tedesco (Bolzano, zona climatica E).
Ricorriamo dunque alle seguenti ipotesi semplificative, molto ottimistiche:
  • Assumiamo che sia possibile regolare in qualche modo la circolazione dell'aria nel biomeiler per portare la temperatura di fermentazione ad almeno 50 °C, e che questa si mantenga per dodici mesi. Altrimenti non riuscirebbe a produrre acqua calda sanitaria a 40 °C.
  • Il termocompostatore ha 6 m di diametro (28 m2 di superficie occupata) e 2,8 m di altezza, come riportato nel sito della Native Power già citato, ed è posto in una località del N Italia, zona climatica E (ad esempio Bolzano, Torino, Vittorio Veneto…), con una temperatura media annua di 12 °C e 770 mm di precipitazioni. La potenza termica è 4 kW, quindi in un anno produrrebbe 35.040 kWh di acqua calda a 40 °C, esattamente come dichiarano i promotori del sistema.
  • Possiamo agevolmente calcolare, con buona accuratezza, le perdite metaboliche causate dalla respirazione dei batteri e il calore perso con l'acqua piovana, che inevitabilmente percolerebbe attraverso il thermocompost. La dispersione di calore all'atmosfera di un mucchio di biomassa in fermentazione è, invece, molto difficile da calcolare, per cui faremo un'ulteriore ipotesi "ottimistica": supponiamo che il compostatore in questione abbia la stessa dispersione energetica di un involucro edilizio in classe G (la peggiore prestazione energetica, uguale o maggiore di 175 kWh/m2 anno, ma sempre minore rispetto ad un oggetto posto all'aperto senza isolamento). L'ipotetico fabbricato ha le stesse dimensioni ed è posto nella stessa zona climatica del biomeiler. Osservare che, per i calcoli edilizi, si assume una temperatura interna dell'edificio pari a 20 °C. Poiché la temperatura del mucchio deve essere di almeno 50 °C per poter produrre acqua calda sanitaria, allora un fabbricato in classe G, riscaldato a tale temperatura, disperderebbe 2,5 volte di più del valore di norma, cioè 437 kWh/m2 anno. Quindi, un ipotetico edificio classe G di 28 m2 di superficie, riscaldato a 50 °C, disperderebbe come minimo:
 
D = 28 m2 x 437 kWh/m2 anno = 12.236 kWh/anno

Calcoliamo in primo luogo quanta energia disperdono i batteri con la loro respirazione. Condizione sine qua non per la produzione di calore durante la fermentazione è che i batteri abbiano sufficiente ossigeno. Sappiamo che 1 kg di cippato ne richiede 1,6 kg di ossigeno per un corretto compostaggio. Poiché l'aria contiene il 21% di ossigeno, nel biomeiler dovranno circolare 182.857 kg di aria in un anno (circa 150mila m3). Il calore specifico dell'aria è pari a 0,00028 kWh/kg °C, quindi la sola respirazione dei batteri consumerebbe:
 
Qr = 0,00028 kWh/kg °C  x (50-12) °C x 182.857 kg/anno = 1.946 kWh/anno

Il mucchio, esposto all'aperto, si bagna con le piogge, le quali asportano calore. Assumendo 770 mm/anno di precipitazioni, e 5 °C di temperatura media delle piogge, le stesse consumerebbero:
 
Qp = 0,770 m x 28 m2 x 1000 kg/m3 x 0,0012 kWh/kg°C x (50-5)°C = 1.164 kWh

Poiché per ipotesi 35.040 kWh si estraggono sotto forma di acqua calda, 1.946 kWh si perdono con la respirazione dei batteri, 1.164 kWh si perdono per causa della pioggia, e almeno 12.236 kWh/anno si disperdono inevitabilmente per conduzione, convezione e irraggiamento del cumulo installato all'aperto, il bilancio termico risulta:
 
Qent - Qusc = 36.000 kWh – 35.040 kWh – 1946 kWh – 1164 kWh - 12.236 kWh/anno = -14.386 kWh/anno

Poiché il bilancio di energia è negativo, perfino considerando condizioni operative molto ottimistiche, possiamo senza dubbio affermare che:
è fisicamente impossibile produrre 36mila kWh di energia termica in un anno con un termocompostatore da 60 m3, come quello mostrato nel sito della Native Power, posto in un luogo con clima simile a quello dove si suppone siano state eseguite le prove.