Nelle pubblicazioni tecnico-scientifiche, come anche nei siti web di alcuni costruttori di impianti di biogas, si trovano spesso delle tabelle che riportano il potenziale metanigeno, o metanogenico (Bmp = Biochemical methane potential) delle diverse biomasse. 
Perfino l’Unione Europea ha finanziato alcuni progetti di diverse università, e centri di ricerca, per l’elaborazione di veri e propri database con lo scopo di fornire una guida utile ad investitori e a costruttori di impianti di biogas per selezionare le matrici di alimentazione e sia per supportare la stesura di un business plan.

Inevitabilmente, ogni volta che viene pubblicata qualche tabella del genere, nei vari forum di discussione di alcune reti sociali, o durante i congressi del settore, scattano le diatribe.
Succede che qualcuno difende le tabelle di Bmp arrivando ad affermare, a torto, che “hanno valore ministeriale”. Qualcun altro, invece, opina che “non ci azzeccano per niente”. Addirittura , vi è perfino qualche “esperto”, autodidatta, che considera le prove di laboratorio “roba da teorici, perché l’unico modo di fare prove valide è nell’impianto".

In realtà, ognuno ha una piccola quota di ragione, ma in ultima analisi sbagliano tutti e in particolare coloro che ritengono di poter ridurre un processo complesso come la digestione anaerobica ad un’analisi basata su semplici tabelle.

Nella fattispecie, il Bmp degli insilati è quello che desta sempre le maggiori diatribe, in parte perché in Italia gli insilati sono in larga misura la base dell’alimentazione dei digestori, e in maggior misura perché la stessa natura degli insilati comporta una serie di errori procedurali al momento di misurare in laboratorio la loro resa di metano. Se non si tengono in conto, o non si è in grado di stimare, gli errori di metodo allora i risultati possono essere enormemente fuorvianti, come vedremo in seguito.

I metodi di determinazione del Bmp
Rimandiamo il lettore ad un altro nostro articolo, nel quale abbiamo definito il Bmp e spiegato le diverse cause dell’enorme variabilità dei valori riscontrabili nella letteratura tecnica e scientifica .
La determinazione del Bmp degli insilati rappresenta un caso a sé stante, in cui l’applicazione dei metodi standard da laboratorio comporta l’amplificazione degli errori di misura. Vediamo in dettaglio il perché.

L’insilaggio è un processo fermentativo durante il quale gli zuccheri e l’amido, contenuti nella sostanza vegetale fresca, vengono convertiti dai batteri -naturalmente presenti nelle foglie- in alcol etilico, acido lattico e acido acetico. Quando l’insilato viene stoccato in modo che non venga a contatto con l’aria, è normale -e anche desiderabile- che esso si mantenga “umido”, in quanto inzuppato in parte dalle suddette sostanze, agenti come da conservanti naturali delle sue proprietà nutrizionali.

La misurazione del Bmp, mediante prove di digestione anaerobica in laboratorio, comporta come primo passo la determinazione della sostanza secca. Il metodo standard, per determinare la sostanza secca, consiste appunto nell’essiccare la materia fresca, collocandola in una stufa a 105ºC (o a 60ºC, o a 80ºc, a seconda dalla norma di riferimento) e misurando periodicamente il peso del campione, fino a quando non si riscontra nessuna variazione di peso. Alternativamente, si utilizza uno strumento chiamato termobilancia, il quale realizza automaticamente la suddetta operazione. Una volta che il campione è secco, viene convertito in cenere tramite calcinazione a 550 ºC in un forno muffola. 

La differenza fra il peso del campione secco e quello della cenere è detta “solidi volatili” ed il Bmp della sostanza oggetto di valutazione sarà sempre direttamente proporzionale agli stessi. Nel momento di determinare i solidi volatili degli insilati sorge il seguente problema: siccome alcol, acido acetico e acido lattico, sono sostanze caratterizzate da un punto di ebollizione inferiore a 105 °C, evaporano assieme all’umidità presente nel campione esaminato. Poiché nel processo di digestione anaerobica gli alcoli e acidi grassi volatili sono i precursori diretti del metano, gli stessi dovrebbero essere considerati a tutti gli effetti come “solidi volatili” - anche se sono liquidi - e dunque non possono essere accomunati all’umidità. Computando l’alcol e gli acidi grassi volatili come se fossero acqua sottostimiamo il contenuto di solidi volatili dell’insilato, un errore che poi si propaga al calcolo del Bmp.

Quest’ultimo, per definizione, è il quoziente fra la quantità di metano prodotta dalla digestione anaerobica e la quantità di solidi volatili utilizzati nella prova. Pertanto, un valore di solidi volatili sottostimato, rispetto al valore reale, si traduce come un Bmp più alto; in casi estremi - insilati di mais e barbabietola - può arrivare fino al 50% in più rispetto al valore calcolato in base al tenore corretto di solidi volatili. Questo spiega la ragione dei valori del Bmp degli insilati pubblicati più elevati di quelli che si possono misurare nella realtà direttamente negli impianti di biogas e pure più elevati di quelli ottenuti dalle prove di laboratorio realizzate con metodi più accurati. Un gruppo di ricercatori tedeschi, addirittura, pubblicò nel 2007 uno studio che concludeva, superficialmente, sostenendo che il processo d’insilaggio aumenterebbe il Bmp delle biomasse. La pubblicazione fu poi oggetto di critiche da parte di altri autori per il metodo adottato che non considerava, in alcun modo, la perdita degli acidi grassi volatili e degli alcoli durante l’essiccazione in forno. L’aneddoto la dice lunga sulla grande dose di cautela necessaria nella valutazione delle pubblicazioni dei valori di Bmp in riviste scientifiche, prescindendo dal contesto e dal curriculum di chi li ha pubblicati; si evidenziano inoltre le deficienze potenziali del sistema di peer reviewing.

Come minimizzare gli errori nella determinazione del Bmp degli insilati
Sono state proposte diverse metodologie per evitare il problema dell’evaporazione delle sostanze volatili assieme all’acqua durante il processo di essiccazione. Uno dei metodi consiste nell’aggiungere una quantità nota di un alcali (calce o soda caustica), il quale reagirà con gli acidi grassi volatili e formerà dei sali che non volatilizzeranno con il calore. Detto metodo funziona bene con insilati di mais e triticale (poiché ricchi di acidi lattico e acetico) ma non altrettanto bene con insilati di barbabietola (poiché ricchi di alcol, il quale non reagisce con gli alcali ed evapora facilmente). Molti anni fa si utilizzava un metodo basato sulla distillazione con toluene, ma ormai non viene più utilizzato per la tossicità di questo solvente. Un altro metodo, diventato uno standard in Canada e Usa, per il caso concreto della determinazione della sostanza secca degli insilati a scopo di alimentazione animale, consiste nell’essiccarla in una specie di lambicco, dove si raccoglie il condensato per la sua successiva analisi per la determinazione delle proporzioni di acqua e di sostanze organiche volatili. Detto metodo è estremamente accurato, ma più costoso in termini di tempo e di lavoro, pertanto è fuori dalla portata del gestore medio di impianti di biogas. Il metodo più pragmatico, proposto da due ricercatori rispettivamente irlandese ed inglese, e poi riproposto con varianti da due gruppi di ricercatori tedeschi, consiste nel realizzare la prova di essiccazione standard e poi correggere il valore di sostanza secca così ottenuto in base a delle formule empiriche. In questo caso il margine di errore, comunque inevitabile, è dell’ordine del 2%.

La corretta determinazione dei solidi volatili è solo uno dei fattori da considerare per minimizzare gli errori della misura del Bmp degli insilati e in genere di tutte le biomasse. Il secondo fattore da considerare sono le condizioni di realizzazione della prova biologica. Con lo scopo di minimizzare la seconda componente di errore nel calcolo del Bmp, cioè la misura della quantità netta di metano prodotta dalla degradazione anaerobica del campione sotto prova, è assolutamente necessario eliminare il “rumore di fondo” e cioè la quantità di metano comunque prodotta dall’inoculo anche in assenza di insilato. Allo scopo è necessario “degassare” l’inoculo, incubandolo per almeno una settimana prima di iniziare la prova. In fine, è necessario conoscere molto bene la curva di calibrazione dello strumento utilizzato per la misurazione del volume di gas, e sapere se lo stesso normalizza automaticamente il volume misurato o meno. La normalizzazione del volume consiste nel riferire il volume di metano prodotto alle condizioni di norma, cioè 0° C e 101 kPa. In strumenti privi di normalizzazione in tempo reale, l’errore indotto dalla normalizzazione “a forfait” alla fine della prova può arrivare fino al 10% del valore misurato.

Conclusioni
La misurazione del Bmp degli insilati non è di per sé una operazione difficile, e in genere risulta alla portata del gestore medio degli impianti di biogas, a condizione però che il personale sia correttamente addestrato e si utilizzino strumenti con un elevato grado di standardizzazione e di automazione, in modo che il test diventi un lavoro di routine. Agli effetti pratici, per gestire un impianto è molto più utile disporre di valori con un certo margine di errore, purché di prima mano e misurati nelle reali condizioni operative, che non affidarsi a dei valori tabellari, dei quali in genere non si conoscono né le metodologie di prova e né il loro margine d’errore.