Da anni assistiamo ad un acceso dibattito tra i sostenitori di due distinte fazioni: delle coltivazioni energetiche e delle coltivazioni alimentari. Ma quale delle due posizioni è sostenibile?
La risposta è semplice: nessuna ed entrambe, in quanto la sostenibilità di un determinato progetto, alimentare o energetico che sia, dipende dalle condizioni al contorno.
In altre parole, in certe condizioni la coltivazione di specie alimentari non è sostenibile, mentre potrebbe esserlo per quella di biomasse ad uso energetico, e viceversa.

Una costante in tutti i dibattiti sull’argomento è che entrambe le posizioni dimenticano che la società umana non si sviluppa con solo energia o solo alimenti: sono inoltre necessari i legnami da costruzione e da arredamento, fibra tessile, carta (anche igienica!) superfici boschive permanenti per la salvaguardIa della biodiversità e, perché no?, anche le carbonelle per la grigliata del fine settimana.

Consideriamo ad esempio la coltivazione di tabacco: la produzione di questa pianta è pari a 7,1 M ton/anno (dati Fao, 2010, tratti da http://en.wikipedia.org/wiki/Cultivation_of_tobacco)  quindi il suo consumo genera 13 M ton di CO2/anno immesse nell'atmosfera, alle quali dobbiamo aggiungere lo scempio di 857 milioni di alberi tagliati ogni anno, solo per produrre la carta e le scatole delle sigarette, e la sottrazione di terreno e di risorse idriche alla produzione alimentare nei principali Paesi produttori (nei quali però una fetta consistente della popolazione soffre di malnutrizione).
Nonostante tutti gli scempi etici e ambientali citati, non si sono mai visti comitati cittadini che chiedano il divieto di commercializzazione del tabacco.

Ricordando la saggezza del Buddha, “La retta via sta nel mezzo”, è possibile ipotizzare un ciclo sostenibile di produzione sinergica di biomasse alimentari ed energetiche.
 

Sistemi di controllo del pelo d’acqua per impianti di drenaggioed irrigazione subssuperficiale
(Fonte: 
innotag.com/fiche-produit/systeme-de-controle-de-drainage-scd)


Negli Usa, l'Environmental defense fund (Edf) ha premiato un'idea basata sull'impiego, con qualche modifica, di una tecnica di coltivazione diffusa in quel Paese da quasi un secolo: il drenaggio controllato delle acque piovane con irrigazione subsuperficiale. È risaputo che le piante soffrono lo stress idrico sia per difetto che per eccesso di acqua. Il drenaggio controllato del terreno viene attuato interrando a certa profondità dei tubi traforati o di materiale poroso. I suddetti tubi convergono in uno o più collettori, i cui scarichi sono regolati da sifoni o valvole regolabili in funzione dell'altezza desiderata della falda, la quale dipende dalla profondità delle radici delle piante coltivate.
In questo modo, si trattiene acqua nei pori del suolo durante i mesi di pioggia, mantenendo il pelo d'acqua alla profondità giusta per non soffocare le radici quando piove troppo e risparmiando energia e risorse idriche nei periodi di secca, perché, durante gli stessi, l'acqua irrigua viene pompata attraverso i tubi interrati e arriva alle radici per la capillarità del suolo, senza evaporare.

Si riscontra che i sistemi con drenaggio e irrigazione subsuperficiale, oltre ad essere idricamente più efficienti, aumentano la resa delle colture, in media di un 10%. 
Il punto debole della tecnica descritta è dato dalle piogge eccessive, poiché assieme all'acqua tracimano i nutrienti (tipicamente nitrati e fosfati), che vanno a finire nei canali di scolo e, in ultima istanza, nei fiumi, laghi e mari, dove possono provocare fenomeni di eutrofizzazione.
La soluzione a questo problema, ora in prova dall'Edf, è semplice: poiché la produttività di un terreno agricolo dotato di sistema di drenaggio e di irrigazione subsuperficiale aumenta del 10% rispetto a quella del terreno coltivato in modo tradizionale, se si destina il 10% dello stesso terreno alla coltivazione di qualche specie con elevata capacità di assorbimento dell'acqua e dei nutrienti, la resa finale del campo non ne risentirà (e l'agricoltore avrà anche risparmiato 10% del costo abituale di aratura, semina e raccolta).
Questa specie esiste: si tratta del bambù gigante (Phillostachys pubescens), il quale è capace di assorbire oltre 1000 kg di N/ha e oltre 1500 mm di precipitazioni, in un anno.
Da prove realizzate in Cina in un bosco di bambù, la quantità d’acqua accumulata nelle canne durante un temporale è risultata compresa fra 1,3 ed 1,4 volte il peso delle canne prima dell’evento piovoso, quasi come una spugna. 
Il bambù gigante produce fino a 100 ha di biomassa per ha/anno, la quale si può utilizzare per diversi scopi industriali, mentre gli scarti da essa derivati possono essere impiegati per scopi energetici.

Se attuata razionalmente nel modo anzidetto, la coltivazione sinergica di specie alimentari e bambù comporterà i seguenti benefici all'agricoltore, alla società ed all'ambiente:

  • Risparmio di energia e fertilizzanti per coltivare solo il 90% con la coltura alimentare, senza diminuzione della resa di quest'ultima rispetto al metodo tradizionale.
  • Riduzione del consumo di acqua irrigua ed energia di pompaggio durante i periodi di scarse piogge.
  • Produzione addizionale di biomassa di bambù a scopo industriale e/o energetico.
  • Intercettazione dell'eccesso d'acqua piovana e dei nutrienti prima che questi raggiungano i corpi idrici, con conseguente effetto di mitigazione degli alluvioni ed eutrofizzazione.
  • Effetto protettivo per le colture tradizionali perché le canne, se coltivate a modo di cinturone sul perimetro del campo, frenano i venti.
  • Riduzione dell'erosione del terreno arato causata dalle piogge.
  • Se attuata in modo massivo, la presenza dei cinturoni di bambù attorno alle superfici arate e coltivate costituirà dei corridoi per gli spostamenti della microfauna fra le zone boschive, soggette oggi al fenomeno di “isolamento”, che ne determina la loro graduale ed inesorabile perdita di biodiversità.
  • La produzione di biomassa di P. pubescens richiede solo un investimento iniziale, a partire dal 4º anno diventa un reddito continuo addizionale per il coltivatore. Comparato con altre coltivazioni tradizionali, come ad esempio il pioppo, che ne richiede 10 anni, e comunque un costo ricorrente di piantumazione, il bambù diventa concretamente molto più redditizio.
  • La qualità industriale della biomassa di P. pubescens è di gran lunga superiore a quella del pioppo, i vimini, il salice e altre piante che tipicamente si coltivano lungo i fossati di scolo.
  • Nel caso di terreni coltivabili vicini a strade con molto traffico, la presenza del bambù attorno alla coltivazione tradizionale costituisce una barriera alla deposizione di metalli pesanti ed altri inquinanti.

Gli unici veri ostacoli alla realizzazione di una piccola rivoluzione, capace di rendere sostenibile il mondo agricolo e quello energetico allo stesso tempo, sono l’inerzia delle consuetudini e la resistenza alle nuove idee.