Conoscere la variabilità del suolo per poterla gestire. È questo uno dei principi fondanti sui quali si basa l'agricoltura di precisione, un approccio al campo che ha come obiettivo quello di dare alle piante ciò di cui hanno bisogno quando ne hanno bisogno. Il risultato è una agricoltura maggiormente efficiente, che produce derrate di qualità in quantità minimizzando gli sprechi (con ricadute ambientali positive).

Tradizionalmente i campi vengono approcciati come appezzamenti omogenei, ignorando invece le profonde differenze che possono esserci tra zona e zona: vene di ghiaia, parti sabbiose, aree ricche di sostanza organica, zone in cui l'acqua ristagna, etc... Ma conoscendo queste differenze l'agricoltore può, in linea di principio, prendersi cura in maniera variabile del proprio campo. Ad esempio somministrando input (semi, concimi e in futuro agrofarmaci) a dosi differenti.


La mappatura dei terreni

Ma come fare a mappare i terreni? Negli anni passati sono state sviluppate diverse metodologie, alcune delle quali indirette e imperniate sulla misura della produttività del campo. Altre dirette tramite analisi del suolo e l'utilizzo di strumenti come sensori elettromagnetici. Sensori che, in parole povere, registrando la conducibilità elettrica nel terreno a diverse profondità sono in grado di identificare aree omogenee che vengono poi caratterizzate grazie a campionamenti mirati.

Si tratta tuttavia di una metodologia non infallibile e che può essere resa più precisa. A questo obiettivo mirano i partner del progetto Pignoletto, uno dei vincitori del bando Call hub ricerca e innovazione (Por-Fesr) della Regione Lombardia. Un progetto coordinato dall'Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare) e che vede come partner ben cinque dipartimenti dell'Università di Milano Bicocca, l'Istituto nazionale di astrofisica e sei ditte lombarde (Aermatica 3d, Blu Electronic, Else Nuclear, FEM2 Ambiente, Nuclear Instruments, Redcat Devices).

Come spiegato da Roberto Comolli, professore del dipartimento Scienze dell'ambiente e della terra (Università Milano Bicocca), il progetto prevede di utilizzare diverse tipologie di sensori per raccogliere dati dettagliati sui campi. Non solo dunque i tradizionali sensori elettromagnetici, ma anche apparecchi in grado di captare i raggi gamma emessi da alcuni elementi radioattivi presenti nel suolo (come il Cesio o il 40K-Potassio40) che sono contenuti in alcune tipologie di rocce.

I sensori possono essere montati su quod o trattori, in modo da avere un grado di dettaglio elevatissimo del terreno. Oppure essere installati sui droni, velivoli che possono coprire grandi estensioni in poco tempo. Infine il progetto prevede anche l'utilizzo di sensori trasportati da satelliti, in grado quindi di assicurare una fotografia molto ampia, ma meno precisa, del suolo.


Di quanta precisione ha bisogno l'agricoltore?

Oggi l'agricoltura di precisione è poco diffusa in Italia. Circa l'1% della Sau nazionale è gestita con questo approccio (Linee guida per lo sviluppo dell'agricoltura di precisione, 2015). Gli agricoltori più evoluti si basano sulle mappe del suolo e su quelle di produttività per la gestione a rateo variabile del campo. Già con questo metodo è possibile differenziare diverse aree omogenee che però solitamente vengono ridotte a tre-quattro.

Mappe con un numero superiore di ratei introducono infatti una complessità elevata, difficile da gestire anche a livello di attrezzature, che non genererebbe incrementi sensibili di produttività. Ma, come sottolinea Roberto Comolli, la ricerca non guarda all'oggi, ma al domani, quando l'Adp sarà ampiamente diffusa e le attrezzature saranno ancora più precise e in grado di gestire il campo metro per metro.

"Il grosso vantaggio di Pignoletto è quello di non ricorrere ad un solo parametro per mappare il terreno, ma di mettere insieme più fonti di dati per avere un livello di accuratezza elevato", sottolinea Comolli. "Non dimentichiamoci però che i sensori non possono dirci tutto e che comunque sono necessari sopralluoghi e campionamenti del terreno".