La Sardegna è una regione vocata dal punto di vista climatico per la coltivazione del riso, ma sconta una cronica carenza di risorsa idrica. Perché allora non provare a coltivare questa pianta con metodi alternativi alla sommersione continua? E' questa la sfida raccolta da Antonino Spanu e Gavino Sanna, professori dell'Università di Sassari, che hanno pubblicato - prima su Environmental Science & Technology e poi su Science of the Total Environment - studi in cui descrivono le potenzialità produttive del riso irrigato col metodo dell'aspersione.

"Nella sommersione continua il terreno è, per tutta la durata della coltivazione, costantemente coperto da una coltre d'acqua mediamente compresa tra cinque e dieci centimetri. E' evidente che il metodo presenta elevate perdite d'acqua sia per evaporazione che per percolazione. Per contro, nell'irrigazione per aspersione, il terreno è non solo mai allagato, ma neanche mai saturo d'acqua. In questa tecnica irrigua intermittente, il volume d'acqua da distribuire in campo è predeterminato in funzione della fase fenologica della coltura e dell'andamento meteo-climatico", spiegano ad AgroNotizie i due docenti.
"Stabilito il volume idrico che il terreno può trattenere sulla base della tessitura, si irriga ogniqualvolta la somma dell'evapotraspirazione giornaliera raggiunge tale volume. L'intervallo tra gli interventi irrigui può variare da un minimo di due ad un massimo di cinque giorni".

Potete quantificare i volumi da erogare per ciascun metodo irriguo?
"Si passa dagli almeno 20mila metri cubi per ettaro, che è lo standard mondiale di riferimento per le produzioni in sommersione, ai 7-8mila metri cubi di un metodo per aspersione condotto in maniera ottimale. Si ha quindi un vistoso risparmio economico connesso ai costi idrici, permettendo nel contempo la coltivazione del riso in regioni, quali ad esempio la nostra isola, dove di acqua ce n'è sempre poca".

Le produzioni non risentono di questo metodo?
"Assolutamente no. I quantitativi di riso prodotti con l'aspersione sono in genere sovrapponibili a quelli ottenuti con gli stessi genotipi in risaia convenzionale. E' tuttavia essenziale che la pianta non vada mai in condizione di stress idrico che, come avviene per qualsiasi altra coltivazione, può determinare anche rilevanti cali di produzione".

Ci sono altri aspetti favorevoli?
"Certamente. La degradazione della sostanza organica promossa nelle risaie in sommersione dai microrganismi anaerobici produce grandi quantitativi di metano, un gas dotato di effetto serra trenta volte maggiore di quello dell'anidride carbonica. Con il metodo dell'aspersione invece, il continuo contatto tra suolo ed atmosfera favorisce i processi di ossidazione, ed in questo modo la formazione di metano è pressoché azzerata".

La non necessità di allagare i campi può rendere coltivabili anche terreni non perfettamente in piano?
"Certamente, l'irrigazione per aspersione può essere realizzata anche su terreni non perfettamente pianeggianti. Cessa quindi di esser necessario il costoso e delicato lavoro di predisposizione del terreno da adibire a risaia, con risparmio di tempo e di denaro".

Questo permetterebbe anche di coltivare suoli mai impiegati in risicoltura?
"Esatto, l'adozione dell'irrigazione per aspersione consentirebbe l'ampliamento della superficie coltivabile a riso. C'è comunque da rilevare che la reiterazione negli anni della monocoltura, così come accade nella tradizionale risaia, porta con sé grossi svantaggi. Come ad esempio un impoverimento selettivo del suolo aggravato da un accumulo di inquinanti inorganici ed organici, e l'insorgenza di infestanti resistenti agli erbicidi".

Avete parlato d'inquinanti nel suolo. Ci sono delle situazioni di particolare rischio per la sicurezza alimentare del riso?
"Purtroppo sì. Da circa tre decenni la comunità scientifica ha evidenziato la capacità del riso di bioconcentrare nel chicco elevati quantitativi di elementi fortemente tossici, quali ad esempio arsenico e cadmio. Il problema è assai grave soprattutto per le popolazioni che consumano forti quantitativi di riso (nel Sud Est asiatico si può arrivare anche a consumi ben oltre i 200 chili pro capite annui, ndr) e per il riso prodotto da suoli e da acque inquinate".

L'arsenico è un veleno che fa paura…
"Il chicco di riso bioaccumula arsenico anche da suoli ed acque che ne contengono scarsi quantitativi. Ovviamente, in questo caso, le concentrazioni saranno assai inferiori a quelle che si misurano in riso coltivato in ambienti inquinati. La concentrazione massima di arsenico ammessa per il riso è, per la Comunità europea, pari a 200 parti per miliardo, ma anche in Europa è non infrequente trovare riso che supera questa concentrazione".

Come mai questa concentrazione anomala?
"I composti inorganici di arsenico sono molto solubili in acqua, che ne discioglie grandi quantitativi dai minerali che li contengono. Se le acque inquinate vengono utilizzate in risaia, la scarsa ossigenazione di quell'ambiente favorisce la formazione di composti di arsenico ridotti, che vengono rapidamente assorbiti dall'apparato radicale del riso e da lì si spostano verso la parte commestibile della pianta".

Ma cosa succede al riso irrigato per aspersione?
"E' stata un'enorme sorpresa. Abbiamo coltivato, in un campo sperimentale della nostra Università, 37 differenti genotipi irrigati con la medesima acqua sia in sommersione continua che in aspersione. Le analisi hanno dimostrato che il riso irrigato per aspersione bioconcentra mediamente meno del 2% del quantitativo presente nel riso coltivato in maniera convenzionale. Stiamo parlando di concentrazioni medie pari a 2,8 parti per miliardo, contro le 163 della media delle piante coltivate in sommersione".

Come si spiega questa concentrazione così bassa?
"Lavorando per aspersione le condizioni chimico-fisiche del suolo si modificano radicalmente e per i composti ossidati dell'arsenico l'assorbimento da parte delle radici diviene molto, ma molto più difficile. Metaforicamente parlando, l'ambiente della risaia è - per i composti ridotti dell'arsenico - come un'autostrada spianata verso il chicco di riso: al confronto, l'ambiente che si crea con l'irrigazione per aspersione appare - per i composti ossidati dell'arsenico che vorrebbero bioaccumularsi nel chicco di riso - di percorrenza disagevole quale può essere una mulattiera di montagna".

Parliamo ora di cadmio. E' un elemento tossico come l'arsenico?
"E' difficile fare un paragone rigoroso tra elementi differenti, ma se si guarda ai regolamenti comunitari, la risposta non può essere che affermativa. Anche per il cadmio, infatti, la massima concentrazione ammessa nel riso è pari a 200 parti per miliardo. Tuttavia il comportamento chimico del cadmio nel suolo è, in un certo senso, opposto a quello dell'arsenico".

Dunque nel riso irrigato per aspersione ci sono concentrazioni di cadmio superiori rispetto a quelle misurate nel riso coltivato nelle risaie classiche?
"Fortunatamente no. Nel riso irrigato in maniera tradizionale il cadmio arriva in quantitativi minimi, in quanto le condizioni riducenti della risaia lo bloccano nel suolo sotto forma di composti poco solubili. Questo spiega le basse concentrazioni di elemento tossico che si misurano nel riso irrigato in sommersione continua".

E nell'irrigazione per aspersione?
"In questo caso il suolo è ossidato ed i composti del cadmio sono più solubili in acqua. Questo determina un maggiore afflusso di cadmio alle radici della pianta. Tuttavia, la pianta di riso può attivare dei meccanismi per difendersi dalla presenza del cadmio, tossico anche per i vegetali. La continua presenza di cadmio nell'apparato radicale del riso induce la pianta a sintetizzare delle molecole (le cosiddette fitochelatine, ndr) che agiscono come dei 'globuli bianchi' vegetali, sequestrandolo ed impedendogli di arrivare al resto dei tessuti".

Il risultato?
"Una diminuzione della concentrazione media del cadmio nel riso pari al 20% di quella misurata, su 26 varietà diverse di riso, in una sperimentazione durata per due anni. Tutto questo è però garantito solo quando la pianta può disporre liberamente dell'acqua che le è necessaria".

Che cosa accade se ciò non avviene?
"Se l'intervento irriguo viene ritardato può capitare che la pianta entri in una condizione di stress. In questo caso cessa la produzione di fitochelatine. Quando l'intervento irriguo viene effettuato, il suolo si trova in condizioni fortemente ossidate, ed in esso vi è un elevato quantitativo di specie solubili di cadmio, che vengono immediatamente disciolte dall'acqua ed arrivano all'apparato radicale del riso. Purtroppo le fitochelatine non sono più presenti e nel lasso di tempo intercorrente tra l'irrigazione ed il loro ripristino il cadmio è stato già traslocato a tutte le parti della pianta. Questo può determinare incrementi di concentrazione di cadmio nel riso sino a dieci volte maggiori di quelli misurabili con la tecnica tradizionale".

In ultima analisi, l'irrigazione per aspersione ha le carte in regola per soppiantare quella per sommersione continua?
"Diciamo che al momento è una opzione da prendere in seria considerazione se si vuole coltivare riso in territori poveri d'acqua irrigua. Oppure se s'intende incrementare la produttività di un sito, affiancando suoli irrigati per aspersione a quelli, preesistenti, adibiti a risaia tradizionale. L'aspersione ben si presta inoltre a quelle situazioni d'inquinamento preesistente dei siti agricoli al fine di limitare il bioaccumulo in cariosside di elementi tossici. Ma anche se, in contesti non inquinati, si intende produrre riso a basso contenuto di elementi tossici. Un prodotto ad elevato valore aggiunto idoneo per l'alimentazione di neonati, anziani e malati visto che l'irrigazione per aspersione si è mostrata attiva nella riduzione di parecchi altri elementi tossici o potenzialmente tali".

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