Nel tentare di ragionare sul futuro della frutta in una stagione strategica come l'estate è impossibile non pensare alle vittime dell'alluvione che ha colpito Faenza, dove ci sono la sede di Image Line® e la redazione di AgroNotizie®, e la Romagna. A loro il nostro pensiero, le preghiere e l'auspicio che tutto il territorio possa risollevarsi da questa tragedia.

 

A farne le spese anche l'ortofrutta. Vedere migliaia di piante sommerse dall'acqua o completamente sradicate ci porta inevitabilmente a pensare al "poi", visto che per un albero da frutto non basta una stagione per produrre.

 

Inutile cercare colpevoli, parlare di opere non progettate o mai cantierate, di fondi mancanti o, peggio, disponibili e non spesi. L'agricoltura, nel suo insieme, purtroppo sempre più dovrà costruire il proprio futuro tenendo conto della possibilità di accedere ai fondi mutualistici, per poter fronteggiare le incertezze dei cambiamenti climatici. La prima cosa da fare, però, è pianificare interventi urgenti e infrastrutturali per evitare che eventi simili, per quanto estremi, possano ripetersi con tale violenza e con impatti così distruttivi.

 

La frutta, dicevamo, alle soglie dell'estate climatica e sul calendario. Gli eventi in Romagna molto probabilmente porteranno il mercato a fare i conti con un calo di produzione, perdita totale (o quasi) del reddito da parte degli agricoltori, prezzi di vendita in salita.

 

In vista degli espianti, il primo augurio è che il sistema agricolo produttivo, costituito anche da una rete di cooperative efficienti, voglia scommettere di nuovo sulla frutta e, magari, possa puntare su varietà più resistenti agli eventi climatici (tenendo presente che di fronte a un'alluvione di tale portata tutto è complicato) e all'attacco di patogeni. Il miglior attacco è la difesa.

 

La raccomandazione è d'obbligo: nel progettare il futuro, salvaguardiamo - con razionalità - appunto, la diversità di offerta. Ciascun imprenditore agricolo saprà cosa fare, in base anche all'esperienza vissuta, ma non lasciamo che sia solo il mercato ad orientare verso la standardizzazione produttiva. Facciamo in modo che ricerca e sviluppo portino benefici per mantenere un arcobaleno di prodotti e, magari, la filiera spinga con azioni di marketing per migliorare la redditività di ogni singolo anello.
Il settore rasenta, infatti, il paradosso. Frutta e verdura sono riconosciute come essenziali nell'alimentazione di ogni fascia e categoria di età, eppure i consumi non decollano e, anzi, le continue fiammate dell'inflazione stanno minando la stabilità del settore e tagliano la spesa (almeno in volume).

 

Servirebbe un grande piano di rilancio dei consumi, attraverso campagne di educazione alimentare e un'alleanza con mercati, istituzioni, mense, per privilegiare la produzione italiana, puntando sui giovani, sempre meno sensibili all'appeal della nostra frutta. Abbiamo imprenditori brillanti, in grado di fare la differenza. Le istituzioni li aiutino e promuovano le loro produzioni a chilometro zero e lo stesso facciano i diversi canali distributivi, garantendo la giusta redditività anche agli agricoltori e puntando più sulla qualità che sull'aspetto visivo della frutta. Forma e colore sono importanti, ci mancherebbe, ma una delle missioni della catena agroalimentare è quella di ridurre gli sprechi, non di incentivarli.

 

Con questo non si vuole banalizzare la perfezione di certi frutti, che coniugano bontà e aspetto estetico. Lo sanno bene in Giappone, Paese all'avanguardia tecnologica, che ha saputo saggiamente tenere viva la tradizione rituale del dono della frutta con i connotati del lusso.

 

Il futuro della frutticoltura passa anche da altri fattori. Il primo è la manodopera. In Italia è carente, spesso straniera e altrettanto spesso - è ora di dirlo - sottopagata. In qualche caso la robotica può venire incontro agli agricoltori, in altri frangenti è impossibile o non si è ancora individuata la soluzione meccanizzata idonea alla coltura. Bisogna trovare nuove formule di cooperazione fra mondo della ricerca e mondo agricolo, per poter ovviare a una carenza ormai strutturale.

 

L'altro aspetto sul quale la frutta italiana deve puntare è l'export. Esportare, esportare, esportare. Offrendo un prodotto fresco, garantito, di qualità. Facendo magari leva su una crescita della logistica e delle infrastrutture, migliorando la shelf life dei prodotti, puntando su filiere più efficienti, trasporti più veloci e non, come talvolta accade, spostando la competizione sul prezzo. Non siamo vincenti sul campo dei costi, possiamo esserlo sulla qualità. Che Dio ci assista.

 

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