Il Governo introduce nel disegno di Legge di Bilancio 2023 il ritorno dei voucher e riparte il dibattito sul tema della manodopera, un argomento sempre delicatissimo e potenzialmente a rischio di polemiche o di prese di posizione ideologiche.

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Non ci addentreremo, naturalmente, nella disamina di un disegno di legge, non ancora definitivo, che vede tendenzialmente i sindacati degli agricoltori favorevoli, purché si mantenga una semplificazione dell'iter burocratico e di utilizzo, e un dissenso da parte dei sindacati dei lavoratori, che temono ricadute negative per una platea di operai agricoli, in particolare stagionali.

 

Qualche riflessione sulla carenza di manodopera, che si è forse acuita negli ultimi due anni - complici le restrizioni causate dal covid-19, con il ricorso di urgenza alla creazione di corridoi verdi europei per far entrare la manodopera dall'estero - è probabilmente necessaria.

 

L'agricoltura è un settore che vive di stagionalità. Nelle fasi di raccolta, dalla frutta agli ortaggi alla vendemmia, è innegabile che vi siano dei picchi di richiesta per attività che, tendenzialmente, sono manuali, anche se progressivamente la meccanizzazione sta conquistando spazi.

 

I nuovi vigneti, spesso, vengono impiantati in modo da favorire il passaggio delle macchine da raccolta, col vantaggio di poter sempre più meccanizzare le varie operazioni in campo, dal diserbo alla vendemmia. La qualità, secondo gli studi effettuati, sarebbe addirittura migliore rispetto alle operazioni manuali, perché svolte in poco tempo, con controlli riconducibili a sensori, molto più precisi rispetto all'occhio umano. E con notevole risparmio di costi. Certo, addio alla vendemmia intesa come festa o come momento di socializzazione che poteva coinvolgere un intero Paese, ma ormai da tempo la raccolta manuale si traduce in una presenza di diverse nazionalità che, magari, hanno anche pochissimi aspetti culturali in comune.

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I voucher (poi non torneremo più sull'argomento), secondo i viticoltori risponderebbero alla finalità di poter assoldare rapidamente e senza troppe procedure d'ufficio, la manodopera necessaria per il fabbisogno momentaneo.

 

In verità, sarebbe opportuno spostare l'attenzione su un altro aspetto: non si capisce, in tutta sincerità, per quale motivo alcuni consorzi vietino sostanzialmente l'uso di macchine operatrici automatiche per la raccolta. Dove sta il senso, soprattutto se si impiega meno tempo e si spende meno?

 

All'ultima Fiera Agricola Zootecnica Italiana di Montichiari, nel cuore della Bassa Bresciana dove tra vacche da latte, suini, avicoli e bovini da carne c'è un discreto bisogno di manodopera, si è levato forte il grido di allarme per le difficoltà a reperire soprattutto manodopera qualificata.

 

Oggi nelle stalle da latte un gran numero di mungitori è indiano, pagato peraltro bene. Chi sostiene che non vi siano mungitori disponibili e addetti alle operazioni di stalla perché lo stipendio entrerebbe in competizione con il reddito di cittadinanza, probabilmente è fuori strada. Anche questa è una considerazione raccolta direttamente dagli operatori, che assicurano che la paga base di un addetto alla mungitura è molto più alta rispetto al reddito di cittadinanza.

 

Certo, i turni in stalla non sono agevoli, l'orario di lavoro non è eccessivo in termini di ore, ma scomodo, con tre ore e mezzo di attività all'alba, quando si svolge la prima mungitura, e altre tre ore al pomeriggio. Senza contare che gli animali vanno monitorati. Per farla breve: le giovani generazioni non vogliono più fare questo lavoro.

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La soluzione? Si stanno diffondendo sempre di più i robot di mungitura, che consentono un monitoraggio più capillare della mandria grazie alla raccolta ed elaborazione dei dati, e allo stesso tempo permettono di ridurre la manodopera in stalla.

 

All'ultima edizione di Interpoma erano visibili tecnologie per la raccolta meccanizzata delle mele, perché le difficoltà di trovare stagionali ci sono anche nel settore della frutta. Per non parlare dei contoterzisti, che talvolta non trovano trattoristi per guidare le macchine, una mansione che fra aria condizionata e riscaldamento non può essere minimamente paragonata a quella di venti o trenta anni fa. Semmai, quello che oggi è necessario è una elevata dose di formazione, perché se non si conoscono i funzionamenti dell'Agricoltura 4.0, tutte le potenzialità dei mezzi non vengono sfruttate. Potenzialità che significano minori costi, maggiore competitività, maggiori guadagni.

 

Ci salveranno dunque le nuove tecnologie? Sarà la meccanizzazione spinta a sollevarci da un tema particolarmente complesso? In parte, sicuramente, sì. Ma guai a pensare che il rapporto uomo macchina sia solamente conflittuale o che la seconda sia l'unica risposta alla carenza di manodopera.

 

Nasceranno nuove figure professionali, altrettanto indispensabili per utilizzare i mezzi ultra moderni che rendono meno duro il lavoro nei campi. Saranno necessari professionisti adeguatamente formati (a proposito, la Politica Agricola Comune prevede fondi tramite il cosiddetto Akis, per la formazione), che abbiano dimestichezza col campo e con le mappe digitali, con la veterinaria, con l'economia.

 

Parlare di manodopera, se guardiamo al prossimo futuro, significa anche condizionalità sociale, il Terzo Pilastro della Politica Agricola Comune che subordina ogni e qualsiasi finanziamento al rispetto delle regole in materia di lavoro. Qualcosa non ci torna, almeno a dirla così. Vale a dire: come possiamo paragonare le norme, ma anche i costi, di un lavoratore in Italia con uno in Francia o in Bulgaria? E il tema non è solo legato agli emolumenti, ma anche alle opportunità, alle agevolazioni, alle esenzioni, ai diversi approcci e vincoli che ogni contesto nazionale inevitabilmente ha. Sarebbe davvero utile avviare un ragionamento per una riforma europea del lavoro in agricoltura. Non pensate che possa essere utile?