"Di necessità abbiamo fatto virtù", Giuseppe Goio, risicoltore bio della Baraggia, zona a cavallo fra le province di Vercelli e Biella, in Piemonte, riassume così le scelte degli ultimi anni del gruppo di agricoltori che ha costituito il Biodistretto del Riso Piemontese. Il Biodistretto, che conta sette aziende agricole per un totale di circa 600 ettari, è nato nel 2021 ed è in fase di riconoscimento. Il gruppo di risicoltori è certificato biologico da anni.

 

La necessità cui Goio accennava è quella di dover convivere con un terreno pesante, argilloso, di essere al limite Nord della zona a risicoltura, con acqua più fredda rispetto ad aree del pavese e con inverni più freddi. "Qui le rese - hanno raccontato i risicoltori del Biodistretto in occasione dell'evento di presentazione organizzato da GoodLand, a Rovasenda (Vc) - sono più basse anche quando si lavora con la chimica, riuscire a portare a casa 5 tonnellate e mezzo a ettaro di riso, in convenzionale, è già un risultato ottimo". Le particolari condizioni ambientali della Baraggia, il desiderio di provare a coltivare in maniera diversa, hanno convinto il gruppo ad abbracciare il biologico. E lavorando secondo i dettami del biologico è risultato conveniente dal punto di vista economico e soddisfacente per i risultati ambientali raggiunti.

 

"Per quanto riguarda la redditività aziendale - ha raccontato ancora Goio, titolare dell'Azienda agricola omonima, erede di una dinastia di risicoltori - bisogna considerare che noi seguiamo le rotazioni e quindi coltiviamo a riso solo la metà della superficie a stagione, il resto dei terreni è coltivato con altre colture, per esempio leguminose. Il riso biologico però, in media, è pagato il doppio, quindi, anche producendo il 40%, realizzi l'80% del fatturato che avresti avuto lavorando in maniera tradizionale. Il biologico ci permette poi di accedere alle relative misure del Psr, con un ulteriore margine. E ci sono da considerare i risparmi in fattori di produzione: risparmiamo il 70% di quello che avremmo speso, fra fertilizzanti, fitofarmaci, gasolio. Essicchiamo ogni anno la metà del riso che avremmo prodotto in convenzionale e lì c'è un grande risparmio di energia. Risparmiamo poi anche acqua perché, con la tecnica della pacciamatura verde, allaghiamo solo due volte le risaie".

 

In un'annata come quella 2022 che resterà famosa per l'estrema siccità, il risparmio di acqua non è da sottovalutare, tanto che il raccolto di quest'anno non ha sofferto. "Qui comunque l'acqua non manca - ha continuato Goio - abbiamo le sorgenti vicine e ci sono tre dighe che permettono l'accumulo. Le piogge dell'autunno 2021 ci sono bastate proprio grazie agli invasi".

 

I protagonisti del Biodistretto del Riso Piemontese

 

Certo, se oggi il vantaggio è evidente, i primi anni sono stati difficili. "Noi - ha detto Marco Ducco di Cascina Angiolina, 130 ettari di cui 100 a riso - abbiamo iniziato subito lavorando in biologico, non avendo esperienza come agricoltori. Vengo infatti dal mondo dell'edilizia. I primi anni, quelli della conversione, nonostante il raccolto fosse buono, abbiamo fatto fatica, non potevamo infatti vendere il riso con il marchio biologico. Non avendo poi esperienza non è facile, se lavori in biologico e sbagli, non c'è niente per correggere. Devo dire però che essere qui, in Baraggia, ed essere circondato da risicoltori amici, con esperienza, fa la differenza. È come avere una banca dati d'esperienza, se ti trovi in difficoltà c'è chi ci è passato prima di te. Questa è la forza della rete".

 

Se i conti tornano, c'è anche da considerare la soddisfazione e il ritorno d'immagine di un ambiente che è stato recuperato e ha ritrovato una biodiversità che era andata perduta. Un risultato ottenuto non solo grazie alla risicoltura biologica, ma grazie a pratiche di agroforestazione e agroecologia. A dare il via alla tecnica della pacciamatura verde, in Baraggia, è stata l'Azienda risicola Una Garlanda, 135 ettari di estensione. L'Azienda è a biologico da fine Anni Novanta. "Prima siamo stati fra i pionieri del biologico, sperimentando sui nostri campi, poi, negli ultimi anni, abbiamo introdotto in azienda l'agroforestazione. Per quanto riguarda la tecnica della pacciamatura verde in risaia - ha raccontato Manuele Mussa, uno dei titolari - questa ci permette di controllare le infestanti".

 

La tecnica, affinata anche grazie alla partecipazione al progetto Riso Biosystem, finanziato dal Mipaaf e coordinato dal Crea, prevede la preparazione di un erbaio nell'autunno precedente la stagione risicola. "Seminiamo direttamente a spaglio il riso su sodo, su un erbario preparato l'anno prima, sui terreni in rotazione. Uno volta che il riso è seminato, si alletta o si trincia l'erbaio e si immette acqua in risaia. Immettendo acqua, queste erbe muoiono, creando una coltre sopra il terreno. Ciò inibisce le erbe spontanee. Oltre al vantaggio economico c'è da considerare il vantaggio per la salute, non veniamo infatti più a contatto con i prodotti fitosanitari", ha detto con soddisfazione Mussa.

 

Anche Daniele Cozzi, di Cascina Carolina (50 ettari di riso in rotazione), utilizza, come tutti i componenti del Biodistretto risicolo, la tecnica della pacciamatura verde. "Va considerato anche - ha raccontato - che noi abbiamo un terreno argilloso. Quest'anno, con la siccità che c'è stata, ho notato nelle mie risaie che dove c'era la paglia delle pacciamature il terreno si manteneva umido".

 

Manuele Mussa di Una Garlanda negli ultimi anni si è dedicato all'agroforestazione. "Abbiamo iniziato nel 2012 inserendo siepi ai bordi dei campi, per evitare il fenomeno della deriva. Oggi abbiamo 35 chilometri di filari in agroforestazione, dentro le camere di risaia. Sono tutte piante autoctone, farnie, betulle, pioppi. Abbiamo messo filari a 20 metri di distanza e puntiamo ad avere una rete diffusa di piante per ricreare un bioequilibrio nei campi", ha raccontato.

E la biodiversità è già tornata. "Il risultato si nota - ha testimoniato Giuseppe Goio - sono arrivati insetti, piccoli mammiferi, le rane che crescono e si riproducono. La fertilità del terreno è aumentata di molto, in risaia ci sono i lombrichi nel terreno". "Noi - ha aggiunto Mussa - facciamo periodicamente analisi per valutare la sostanza organica. Siamo al 2,4%, che per i terreni argillosi è un buon risultato. In più in azienda, grazie ad indagini di ricercatori, sappiamo che ci sono farfalle e libellule rare".

 

Il vantaggio di vedere cambiare il paesaggio e di poter vantare di una agrobiodiversità diffusa è anche economico. "Una Garlanda non punta più solo sulla coltivazione, ma sui servizi ecosistemici. Le persone possono godere di un paesaggio diverso, facciamo visite guidate, lavoriamo con le scuole e valorizziamo il nostro prodotto, applicando un plusvalore nella vendita diretta. Le persone non hanno problemi ad accettare una maggiorazione di prezzo, il ritorno di immagine è evidente", ha concluso Manuele Mussa.