Mentre le autorità turche informano che nella mattinata dello scorso primo agosto è partita da Odessa la prima spedizione di grano ucraino, i numeri ci dicono che è l'Europa, accanto alla dinamica Turchia, che ha in parte sopperito al blocco dell'export ucraino, sostenendo la commercializzazione verso alcuni Stati africani, così da ridurre i fabbisogni e le pressioni che spingono verso una crisi alimentare globale.

 

Si disegnano, o meglio si intensificano, anche solo provvisoriamente, nuove rotte commerciali. In Africa, in particolare, anche sull'agricoltura si sta delineando una nuova guerra fredda, col ritorno di politiche alimentari che si intrecciano con ambizioni di influenza politica e dove Russia e Cina si contendono aree geografiche in contrapposizione al blocco europeo ed occidentale.

 

I dati di Teseo.Clal.it, dai quali abbiamo attinto salva diversa indicazione, ci dicono che, pur in un contesto di rallentamento dell'export dei cereali dall'Ue nel periodo gennaio-maggio 2022 (-7,68% rispetto allo stesso periodo del 2021), sono cresciute le vendite verso il Marocco (+29,5%), l'Egitto (+92,7%), la Tunisia (+89,3%). In controtendenza, invece, l'Algeria, che segna un arretramento del 21,9% rispetto ai primi cinque mesi del 2021. Giù anche la vendita di cereali verso la Cina, che perde un 37% in quantità sul periodo gennaio-maggio 2022.

 

Il mese di maggio ha segnato un'accelerazione per l'export di cereali dall'Ue-27, in particolare per il frumento, che ha messo a segno maggiori vendite nell'ordine del +13,78%, proiettando i volumi a 2,23 milioni di tonnellate, per un valore di 878,8 milioni di euro, in crescita del 91,37% rispetto al periodo gennaio-maggio 2021, grazie a un incremento dei listini del 68,2%.

 

Le destinazioni del grano Ue

Prendendo in considerazione sempre il solo mese di maggio 2022, l'export dell'Ue-27 ha avuto fra i primi dieci destinatari di frumento ben otto Paesi dell'Africa, tutti con percentuali di ritiro in crescita, ad eccezione della Nigeria, che frena rispetto a maggio 2021 (-16,39%).

 

Al primo posto si colloca l'export verso l'Algeria, che riveste una quota di mercato del 31% e che accelera con gli acquisti, comprando quasi 690mila tonnellate, in crescita del 21,96% su base tendenziale.

Alle sue spalle si colloca l'export comunitario verso Egitto (+131,53%) e Marocco (+626,07%). Seguono Nigeria, Tunisia (+208,16%), Regno Unito (+31,73%), Iran (+1,37%), Guinea (+86,59%), Senegal (+362,17%) e Svizzera (+35,47%).

 

La Romania

Del blocco alle esportazioni dal Mar Nero ha beneficiato la Romania, che fra gennaio e aprile ha incrementato le vendite del 41,6% al confronto col primo quadrimestre del 2021. Ai trader rumeni si sono rivolti per acquistare oltre 707mila tonnellate di frumento l'Egitto (+24,84), ma anche l'Unione Europea (373.492 tonnellate ritirate, +162,34%).

 

L'Italia ha importato quasi 124mila tonnellate di frumento dalla Romania (+719,52% tendenziale) e oltre 215mila tonnellate di mais (+48,63%).

Una sorta di corsa ai ripari con le frontiere accidentate in Ucraina, sebbene l'Italia acquisti solamente una piccola percentuale di frumento e mais dal Paese invaso lo scorso 24 febbraio dalla Russia.

 

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La Francia

Con un tasso di autosufficienza per il frumento superiore al 188% e una produzione che nel 2021 è stata di oltre 30,1 milioni di tonnellate, la Francia è il primo produttore dell'Unione Europea.

 

Quest'anno, secondo le prime elaborazioni di FranceAgriMer il raccolto dovrebbe attestarsi intorno ai 30,5 milioni di tonnellate. L'Istituto di Ricerca prevede, in particolare, un netto aumento dell'export di grano tenero al di fuori dell'Unione Europea, che potrebbe toccare 10,3 milioni di tonnellate, in aumento del 17% rispetto alla campagna precedente.

 

Particolarmente vivace l'export francese verso l'Africa subsahariana, lo Yemen, l'Egitto e il Maghreb, zone in cerca di grano panificabile e storicamente acquirenti dalla Francia. L'orgoglio transalpino di riconquistare mercati in cui Parigi ha sempre esercitato una leadership potrebbe contare su due elementi vincenti, in questa fase: i costi di trasporto più economici rispetto ad altre rotte più lunghe sul piano geografico e l'indebolimento del dollaro, che restituisce competitività all'euro.

 

Il ruolo della Turchia

Grande negoziatore e forse proprio per questo con atteggiamenti molto in bilico e in parte ambivalenti, la Turchia gioca un ruolo anche nel commercio di cereali in questa fase di particolare incertezza per la sicurezza alimentare globale.

 

Fra gennaio e maggio di quest'anno la Turchia ha importato oltre 3 milioni di tonnellate di frumento (+19,33% rispetto allo stesso periodo del 2021), con la Russia primo fornitore per una quota di mercato del 72% (+2,03% tendenziale). In crescita del 20,82% anche gli acquisti di mais, con l'Ucraina primo fornitore nei primi cinque mesi del 2022 (+53,85%), seguita dalla Russia, che però rallenta le vendite, in diminuzione del 18,75% rispetto al periodo gennaio-maggio del 2021.

 

Formidabile l'accelerazione delle importazioni turche di cereali nel mese di maggio di quest'anno, che evidenzia un vero e proprio boom per frumento (+568,17%), orzo (+851,36%), mais (+181,37%), riso (+271,23%).

 

Primi Paesi di destinazione dei cereali provenienti dalla Turchia sono l'Iraq (+256,9% nei primi cinque mesi del 2022 sullo stesso periodo dell'anno precedente), la Siria (+124%) e l'Unione Europea (+37,3%).

 

Dinamiche anche le esportazioni di frumento dalla Turchia, che superano le 176mila tonnellate nel periodo gennaio-maggio 2022, con una crescita del 112,33%. Primi Paesi di destinazione sono l'Iraq (41% della quota di mercato), l'Unione Europea (25% del market share), il Libano (12%) e la Libia (7%), con le vendite verso Iraq e Libano su livelli esponenziali.

 

E l'Africa?

Intanto, in Africa si è aperto il dibattito legato allo sviluppo di semi geneticamente modificati, aspetto che fino a qualche anno fa non era certo considerato come una soluzione adeguata alle esigenze della popolazione.

 

Lo aveva dichiarato - in una intervista esclusiva proprio ad AgroNotizie - Josefa Sacko, commissario del Dipartimento di Economia Rurale ed Agricoltura dell'Unione Africana, un organismo continentale composto dai 55 Stati membri del continente africano. Aveva risposto specificando di parlare a titolo personale e non come commissario, "per non influenzare alcuno", ma le sue parole erano state chiare: "Se scegli Ogm devi sapere, in fin dei conti, quali sono gli effetti sulla salute. Personalmente sono anch'io scettica. Mi chiedo però questo: Perché gli africani dovrebbero coltivare gli Ogm? Solo perché la popolazione africana è in crescita? E come mai, quando vengo in Europa, vedo che il consumatore è orientato verso il biologico? È una scelta opposta".

 

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Era il mese di luglio del 2019, prima del covid-19 e della guerra in Ucraina, due fattori dirompenti che probabilmente hanno convinto molti rappresentanti o personalità degli Stati africani, a cercare nuove soluzioni per produrre di più, anche in condizioni di estremi disagi meteoclimatici.

 

Solo in Marocco ogni anno la siccità e lo stress idrico, unito alla desertificazione e alla perdita di aree verdi, provocano la perdita di circa 22mila ettari di terreno coltivabile. E lo scenario negli altri Stati dell'Africa si presenta egualmente critico, tanto che molti leader del continente africano chiedono l'impiego delle tecnologie per introdurre opportunità produttive. Non importa se geneticamente modificate, purché diano speranza di incremento produttivo a un'area gigantesca, alle prese con un aumento della popolazione e una crisi climatica senza precedenti.

 

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