Paradossalmente, la consegna del Piano Strategico Nazionale (Psn) della Pac - rinviato al Ministero delle Politiche Agricole alla fine di marzo dalla Commissione Agricoltura dell'Ue con una quarantina di pagine di osservazioni, che non sono altro che inviti a migliorare il documento che declina in salsa italiana l'impianto comune europeo per le politiche agricole nel periodo 2023-2027 - è meno urgente rispetto a tanti altri interventi che ci saremmo attesi dal duplex Draghi-Patuanelli.

 

Le dimissioni rassegnate dal premier Mario Draghi e le elezioni fissate per il prossimo 25 settembre dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che avrebbe preferito un epilogo diverso, aprono a scenari inediti. Restano molte le emergenze in corso e il Governo uscente potrà, fino alla designazione del successore, con un Parlamento ridotto nei numeri, occuparsi solamente dell'ordinaria amministrazione.

 

In mezzo alle grandi incertezze, la stessa agricoltura non può dichiararsi tranquilla, trovandosi in piena emergenza siccità e con il rischio di dover conteggiare danni per oltre 6 miliardi di euro, secondo le prime stime di Coldiretti (per Confagricoltura il conto sarebbe per ora meno salato, ma egualmente preoccupante). Per non parlare dell'inflazione in corso e del rischio che i rincari influiscano sui consumi alimentari, innescando spirali di recessione.

 

Vediamo, in maniera sommaria, le cose da fare per il comparto primario in questa "how to do list" sicuramente incompleta.

 

Del Piano Strategico Nazionale abbiamo in parte già detto. Inutile dire che siamo in ritardo e che entro lo scorso 30 giugno avremmo dovuto consegnare una nuova versione del Psn, con un approccio più allineato alle rilevazioni sollevate da Bruxelles.

 

A livello europeo gli stanziamenti per la Pac per il periodo 2023-2027 valgono 386,6 miliardi di euro, con un plafond nazionale lordo per i pagamenti diretti pari a 3,628 miliardi di euro. Non poco. Ma ad oggi non abbiamo evidenza sullo stato di revisione del Psn e agosto è sempre un mese complicato per elaborare nuove linee interne.

 

Forse possono dirsi più urgenti gli interventi per contrastare la siccità, a partire dalla dichiarazione di stato d'emergenza con relativa nomina di un commissario ad acta. Sulla carta non c'è chiaramente solo un Piano Ristori, ammesso che vi siano disponibili risorse specifiche e che non siano in contrasto con le normative sulla mutualità.

 

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Se il rischio è che l'estate che stiamo trascorrendo si tradurrà nella meno calda dei prossimi anni, diventa impellente predisporre un Piano Invasi (sul tema c'è una proposta di Anbi, l'Associazione Nazionale delle Bonifiche Italiane) e soluzioni per frenare la risalita del cuneo salino dal delta del Po. Studiare, costruire e mettere a regime dei bacini per l'accumulo di acqua non è semplice, anche perché dovrebbero essere operativi almeno per la fine dell'inverno, con la speranza di contenere poi le precipitazioni primaverili. Farli entrare nella fase operativa d'estate, quando l'acqua potrebbe non essere disponibile, significherebbe rinviare il problema al 2024. Con quali rischi e con quali danni per l'agricoltura?

 

Cia-Agricoltori Italiani ha posto l'attenzione anche sul cosiddetto Decreto Flussi, utile per l'assunzione temporanea di manodopera nelle campagne dall'estero. Era stato calendarizzato per settembre, che è ancora una fase clou per alcune colture in campo, dal vigneto all'ortofrutta, per non parlare del turismo, una risorsa anche per le nostre aziende agricole sempre più multifunzionali e aperte alla ricettività. Non si potrà perdere il colpo, essendo particolarmente pressante in queste fasi la carenza di manodopera.

 

Dovrebbero essere attesi anche provvedimenti per ridurre l'impatto del caro carburanti, che sta pesando sui bilanci delle imprese agricole e agromeccaniche. Ma per intervenire sul credito d'imposta e per limare le accise è necessario un decreto governativo, che il mondo agricolo si augura venga messo in Agenda quanto prima.

 

Poi c’è la partita ancora da chiudere legata al Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che per il sistema agroalimentare ha messo a disposizione fondi per circa 5,7 miliardi di euro, dall'agrovoltaico al biogas e biometano fino all'agricoltura di precisione, al miglioramento della rete e della funzionalità irrigua, alle comunità energetiche, alle blockchain.

 

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A livello comunitario, poi, l'Italia non può permettersi di arrivare in ritardo nella discussione - già iniziata - sulla riforma delle Indicazioni Geografiche, che in Europa arrivano a 3.302. Con un patrimonio di 877 prodotti classificati come Ig (di cui 526 vini Dop e Igp) e un valore alla produzione di oltre 16,7 miliardi di euro, l'Italia non può assolutamente permettersi di rivestire un ruolo marginale su un tema in cui il made in Italy è tutt'altro che comprimario a livello europeo. La partita si riapre il prossimo autunno.

 

Fronti caldi, che meritano l'attenzione di un Governo a tempo pieno. Nell'attesa, c'è da augurarsi che da Palazzo Chigi a via XX Settembre continuino a fare i compiti con disciplina e celerità.