bandiera-europea-ott-2021-ok.jpg
Finanziato dal programma IMCAP dell'Unione europea
Le opinioni espresse nel presente articolo sono quelle dell'autore che ne assume la responsabilità esclusiva. La Commissione non è responsabile dell'eventuale uso delle informazioni in esso contenute.

La Sardegna dista dall'Egitto quasi 2.500 chilometri e diversi secoli separano l'invasione delle cavallette nell'anno del Signore 2022 dall'ottava piaga di biblica memoria. L'isola è per il terzo anno consecutivo chiamata a fronteggiare l'invasione delle cavallette, che hanno distrutto nella zona di Planargia, nell'Oristanese, circa 24mila ettari di territorio, anche se i tecnici dell'Agenzia regionale all'Agricoltura della Sardegna e dell'Università di Sassari ritengono che siano addirittura 30mila.

 

Leggi anche

Cavallette, la Sardegna si attiva per prevenire una nuova invasione

 

Partiamo dalla triste cronaca e dalla distruzione di centinaia di campi coltivati a foraggio, mais e ortaggi, che hanno messo in ginocchio gli agricoltori e gli allevatori sardi. Tutta colpa, o per lo meno, buona parte della colpa è attribuibile ai cambiamenti climatici, che hanno anticipato la schiusa delle uova e creato un habitat ideale alla proliferazione delle cavallette in Sardegna.

 

Il cambiamento climatico non è solamente la morte delle mezze stagioni e passare, come avvenuto quest'anno, dal maglione di lana alla maglietta in meno di una settimana.

 

Iscriviti subito alla newsletter di ParteciPAC

 

Prendiamo la viticoltura eroica, il cui significato - facilmente intuibile - una volta si adattava all'attività degli agricoltori intorno ai 700-800 e 900 metri sul livello del mare, mentre oggi la vite si può allevare comodamente intorno ai 1.200-1.300 metri o addirittura a latitudini impensate fino a qualche decennio fa, come nelle terre dell'Inghilterra meridionale.

 

La stessa Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino ha una commissione di esperti per studiare gli effetti dei cambiamenti climatici sulle colture e sulla produzione di vino, considerata dagli operatori una sfida primaria, che già oggi - come detto - mostra i propri segnali, sia in chiave di localizzazione dei vigneti che in termini di qualità del prodotto e di gradazione alcolica dello stesso.

 

Sul tema è intervenuto molto limpidamente alcuni mesi fa, in un talk su Instagram per il canale ufficiale di Vinitaly, un produttore di vino biodinamico particolarmente conosciuto, Hayo Loacker, con aziende fra l'Alto Adige, la Maremma e Montalcino.

"Notiamo i cambiamenti climatici nei gradi alcolici, che continuano ad aumentare. Nel 1996, quando acquistammo Corte Pavone a Montalcino, c'erano in cantina cinque annate, compresa quella del 1990. L'analisi dell'alcol indicava una gradazione alcolica 12,4°" rivela Loacker. "Oggi se voglio fare un Brunello di qualità, con una bella espressione aromatica e una bella maturità tannica, sotto i 14,5° è quasi impossibile rimanere. Le cose sono cambiate. A mio avviso, però, la viticoltura biodinamica aiuta il nostro modo di fare vino a non sentire l'alcol e il vino rimane molto bevibile".

 

Un altro passaggio sul quale gli agronomi, i genetisti e il mondo del vino si stanno concentrando è legato alla ricerca per ottenere vitigni resistenti ai cambiamenti climatici, così da potersi adattare alle nuove condizioni meteoclimatiche e alla scarsità di acqua.

 

Guarda tutti i video della playlist "ParteciPAC: studenti e insegnanti" in questa pagina

 

Adattarsi al cambiamento climatico è uno dei nove obiettivi della nuova Politica Agricola Comune (Pac) e in quest'ottica la coltivazione in serra può rappresentare una soluzione vincente, purché si tenga conto di tutti gli input necessari e del fatto che il sistema colturale non ecceda nelle emissioni di gas climalteranti.

 

Leggi anche

Politica Agricola Comune: tre parole, nove obiettivi

 

Il tema dei cambiamenti climatici in generale e degli effetti legati all'agricoltura è particolarmente complesso ed è facile scivolare in facili sensazionalismi. Per questo, con l'obiettivo cioè di fare informazione scientificamente corretta e soprattutto senza paura di essere talvolta impopolare, è nato alcuni anni fa il sito curato da Stefano Caserini, titolare del Corso di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano.

 

Impossibile negare il fenomeno del climate change, altrettanto superficiale sarebbe addossarlo interamente ai fattori antropici o, peggio, indicare gli agricoltori come gli unici responsabili o i principali responsabili dei cambiamenti climatici.

 

Peraltro, il mondo agricolo dagli anni Novanta ad oggi ha saputo migliorare il proprio impatto ambientale. Una conferma che arriva anche dal Centro Europeo Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc).

Secondo Lucia Perugini, esperta del settore agroforestale proprio del Cmcc, il focus sull'Italia evidenzia che "da un lato abbiamo il comparto agricolo e forestale con ciclo del carbonio che costituisce un assorbitore netto pari all'8% del totale delle emissioni italiane, mentre se guardiamo l'agricoltura come emissione di ossido di azoto e di metano collegata alla zootecnia, vediamo che questa parte costituisce l'8% delle emissioni totali. Quindi, il comparto è formato da due voci che si compensano fra di loro, con un bilancio pari a zero".

 

Ascolta l'intervento di Lucia Perugini e di altri esperti.
Puoi trovare tutti i podcast della playlist "Azzurro Verde e Marrone" in questa pagina

 

Può bastare tutto ciò per dormire sonni tranquilli? Assolutamente no. Ed è per questo che anche la Politica Agricola Comune interviene per indirizzare gli agricoltori e il sistema agroalimentare a contenere le emissioni e a contrastare il fenomeno dei cambiamenti climatici, favorendo l'adozione di tecniche colturali, innovazioni per la gestione delle acque e ricerca genetica per favorire la diffusione di piante resistenti alla siccità e a temperature più elevate.

 

Sul tema delle emissioni e dei cambiamenti climatici si è parlato anche al recente G7 Energia e Ambiente a Berlino. La strategia che i Sette grandi del Mondo hanno condiviso prevede una spinta a decarbonizzare l'economia per rallentare il riscaldamento globale e a produrre la maggior parte dell'elettricità a zero emissioni entro il 2035. Obiettivi ambiziosi, che richiedono politiche attente, condivise e altrettanto lungimiranti, incentrate sul sostegno alle rinnovabili.

 

Un messaggio anche per i giovani, altamente social addicted. Postare meno sui social e, magari, ritrovare la voglia di stare insieme senza i telefonini, abbatterebbe non di poco le emissioni. Con effetti benefici sul riscaldamento globale e sui cambiamenti climatici. Possiamo fare tutti qualcosa, non solo chiedere agli agricoltori di modificare il proprio modello produttivo.

Questo articolo fa parte delle collezioni: