Non fermate quel grano

Il blocco delle esportazioni di cereali da Kiev e da Mosca sta creando, come già alcuni osservatori avevano anticipato, forti preoccupazioni per l'approvvigionamento di alimenti in alcune aree, in particolare in Nord Africa e nei Paesi più poveri.
Aumenta la fame e di conseguenza l'instabilità politica, come scrive Cristiana Mangani sulle pagine de Il Messaggero in edicola il 9 maggio.
Sono numerosi i paesi in via di sviluppo che dipendono dalle esportazioni da Russia e Ucraina e fra questi Egitto, Congo, Burkina Faso, Marocco, Libano e Libia, per citarne alcuni.
Per questo dalla Fao arriva un forte appello a sbloccare le partite di grano ferme nei porti, dove si contano circa 25 milioni di tonnellate di grano fermi nei silos di stoccaggio.


Analogo appello è arrivato dalla riunione del G7, che insieme alle Nazioni Unite ha chiesto di togliere il blocco.
La crescente insicurezza alimentare potrebbe essere l'innesco per tensioni sociali, come ha ricordato il vice presidente della Fao, Maurizio Martina, ed episodi già si registrano in Libia e Kenia.
Se i porti non verranno aperti, sollecita l'Agenzia Onu, potrebbe non esserci spazio per lo stoccaggio del prossimo raccolto di giugno, con il rischio di perdere enormi quantità di cereali e di grano in particolare.
Intanto i prezzi continuano a salire e l'articolo si conclude sottolineando l'aumento medio del prezzo dei prodotti alimentari, salito in aprile del 30% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.


Allarme peste (suina)

Aumentano, come era prevedibile, i casi di peste suina africana riscontrati nei cinghiali a Roma.
Gli esemplari sui quali è stato evidenziato il virus sono saliti a tre, come si apprende da Avvenire del 10 maggio, dove Alessia Guerrieri firma un articolo nel quale sottolinea gli aspetti di questa emergenza che ora si tenta di circoscrivere con un piano di contenimento di questi selvatici.


Solo nell'area della provincia di Roma è stimata la presenza di 20mila esemplari di cinghiali, che rappresentano un pericoloso veicolo dell'infezione nei suini.
Si procederà con l'installazione di reti per contenere gli spostamenti dei cinghiali e al contempo partirà un programma di abbattimenti selettivi per arginare la diffusione del virus. 


Non toccate quegli ulivi

Nella lotta alla Xylella si torna indietro di anni, afferma il presidente di Copagri Puglia, Tommaso Battista.
Un'affermazione che prende le mosse dalla recente sentenza del Tar della Regione Puglia, che ha sospeso l'eradicazione di 37 ulivi colpiti dal patogeno in provincia di Ostuni.
Come spiega Micaela Cappellini dalle pagine de Il Sole 24 Ore dell'11 maggio, la sentenza fa seguito al ricorso dei proprietari degli ulivi ammalati, che ora avranno tempo sino al 30 giugno per attuare misure alternative all'eradicazione.


L'ordinanza non è una novità, analoghe decisioni erano già state prese anni fa.
Con il risultato che per non sacrificare qualche decina di ulivi, ne sono andati persi migliaia a causa della Xylella.
Dall'ottobre del 2013, continua l'articolo, quando fu scoperto il primo caso della malattia, la Xylella ha coinvolto ottomila ettari di ulivi, infettandone circa 21 milioni, compresi quelli "monumentali".
A dispetto di questi enormi danni, nessun agricoltore ha ricevuto un solo euro dei 300 milioni stanziati nel 2020, come denuncia il presidente di Coldiretti Puglia, Savino Muraglia.
L'articolo si conclude ricordando che ancora non è stato approvato il programma per finanziare la ricerca per il contrasto a questa patologia.


Aspettando la nuova Pac

Dalle pagine de Il Quotidiano del Sud del 12 maggio Annamaria Capparelli commenta le dichiarazioni del Ministro per le politiche agricole, Stefano Patuanelli, che in occasione dell'audizione alle Commissioni agricoltura di Camera e Senato ha ricordato come questa crisi geopolitica incida pesantemente sull'agricoltura. Per questi motivi, ha chiesto una maggiore flessibilità nell'applicazione della riforma della Politica Agricola Comune (Pac).
Fra le ipotesi anche quella di un rinvio al 2024, per allineare le scelte al nuovo scenario innescato dal conflitto tra Russia e Ucraina.


Nel frattempo sono allo studio iniziative atte a risolvere la crisi negli approvvigionamenti di cereali.
Il Commissario europeo all'agricoltura punta ad agevolare i trasporti per ferrovia e su gomma per superare il blocco di quelli marittimi.
Altra soluzione all'esame è quella di utilizzare i porti polacchi sul baltico.
L'articolo prosegue ricordando che l'impatto dei prodotti agricoli ucraini è comunque modesto, tenuto conto che l'Unione Europea produce per il fabbisogno interno il 93% di mais, l'82% del frumento duro e il 142% di quello tenero.
Una situazione di forte deficit riguarda i semi oleosi, la cui produzione interna soddisfa poco più della metà del fabbisogno.
La ricaduta sui prezzi e sugli andamenti di mercato è tuttavia fortissima, come pure sono gravi le ricadute per l'approvvigionamento di alcuni paesi, in particolare del continente africano.


Le vie del grano

Una possibile soluzione al blocco delle esportazioni di cereali dall'Ucraina appare possibile.
Un risultato che si potrebbe raggiungere con le vie d'acqua utilizzando le chiatte oppure le ferrovie, ma occorre superare alcune difficoltà.
Prima del conflitto, scrive Giovanni Maria del Re su Avvenire del 13 maggio, l'Ucraina esportava dai porti sul Mar Nero il 90% della sua produzione di cereali, oltre all'olio di girasole per il quale questo paese è il primo esportatore al mondo.
I flussi verso l'Italia riguardano soprattutto il mais, per una quota del 13%, mentre le nostre importazioni di grano provenienti dall'Ucraina sono modeste, soltanto il 3%.
il problema è però grave per i paesi in via di sviluppo che dipendono da Russia e Ucraina per i propri approvvigionamenti. 


Riaprire i canali di esportazione è importante anche per liberare gli spazi di stoccaggio ai nuovi raccolti.
La commissaria europea ai trasporti, Adina Valean, spiega che utilizzando la via fluviale (il Danubio unisce Ucraina e Romania), per trasportare 20 milioni di tonnellate di cereali sarebbero necessarie circa 10.000 chiatte e oltre 300 grandi navi.
Importanti, oltre alle vie fluviali, anche i trasporti su treno, ma occorre superare la difficoltà creata dal diverso scartamento dei binari fra Ucraina e Europa.
Dopo i problemi tecnici, vanno risolti anche quelli di carattere burocratico, superando i lunghi tempi di attesa per le questioni doganali.
Per il medio e lungo termine, conclude l'articolo, potranno essere risolutivi i fondi della Connecting Europe Facility, che si potranno utilizzare per finanziare collegamenti tra Ucraina e Unione europea.


 Pratiche sleali, si cambia

Qualche giorno fa si era parlato su alcuni giornali delle criticità ancora da risolvere per una corretta applicazione delle norme sulle pratiche commerciali sleali.
In particolare era segnalato l'allungamento dei tempi, da 30 a 60 giorni, dei pagamenti per alcuni salumi e la complessità di fissare prezzi per il latte senza incorrere nel pericolo che questi siano inferiori ai costi di produzione.
Ora questi problemi sembrano risolti con l'approvazione di un emendamento al "decreto Ucraina", appena approvato dal Senato.
Ne riferisce Giorgio dell'Orefice sulle pagine de Il Sole 24 Ore in edicola il 14 maggio, ricordando che nella categoria freschissimi (con pagamento entro i 30 giorni) erano esclusi fra gli altri i salumi, gli Yogurt, le mozzarelle, per via della loro maggiore durata di conservabilità.
La conseguenza, spiega il presidente di Assica, Ruggero Lenti, era quella di allungare i tempi di pagamento da 30 a 60 giorni, costringendo le aziende ad aumentare il ricorso al credito bancario


Con l'emendamento ora approvato, spiega l'europarlamentare Paolo De Castro, si ripristina la condizione precedente, già normata da una legge italiana del 2012, che già aveva fissato a 30 giorni i pagamenti per questi prodotti.
Sul fronte del latte e di un eventuale prezzo inferiore al costo di produzione, spiega ancora De Castro, la procedura di infrazione non è immediata, ma scatta solo dopo ripetute segnalazioni e l'eventuale indagine dell'Ispettorato controllo qualità non potrà che tenere contro dell'attuale difficile congiuntura.


Anche il riso nella tempesta

Dopo il grano è il turno del riso, anch'esso coinvolto nella fiammata dei prezzi che travolge tutti i cereali e gran parte delle materie prime.
A dare il via è la decisione presa dall'India di bloccare le esportazioni, scelta che giunge proprio ora che sta aumentando la domanda di questo cereale. 
L'aumento del prezzo del riso, scrive Gianni di Capua sulle pagine de Il Tempo del 15 maggio, rischia di pesare sulle fasce più deboli della popolazione mondiale, già alle prese con i rincari degli altri alimenti.
Alcune stime di Coldiretti anticipano che il consumo di riso è destinato nel corso del 2022 a raggiungere nuovi record, collocandosi a livello mondiale a 521 milioni di tonnellate, con un aumento di 9 milioni rispetto all'anno precedente.


Il timore è quello di un aumento della povertà alimentare nel mondo, dove già si contano 193 milioni di persone alle prese con la difficoltà nell'avere cibo a sufficienza.
La corsa dei prezzi sta mettendo in difficoltà anche la produzione nazionale di riso, già alle prese con i problemi della siccità.
Situazione che ha portato a una sensibile riduzione delle superfici coltivate a riso, che scenderanno a 217mila ettari, con un calo di circa diecimila ettari.
Per aiutare il settore, conclude l'articolo citando le dichiarazioni del presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, si rende necessario sviluppare gli accordi di filiera, grazie ai quali è possibile ottenere una più equa distribuzione del valore lungo la catena produttiva.


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