Parlare di geopolitica del cibo di questi tempi par d'obbligo. Qualcuno ha addirittura parlato del profilarsi di una carestia: termine sicuramente improprio per tutti i Paesi Europei e Occidentali - ma non per altri Paesi che potrebbero veder compromessa non solo la propria sicurezza alimentare ma addirittura gli equilibri sociale e politici.

 

Vi sono Paesi già in guerra come la Libia e lo Yemen e Paesi da sempre in precario equilibrio come il Libano e il Bangladesh: tutti netti importatori di grano e grandi clienti di Russia ed Ucraina. Fra i grandissimi importatori di grano russo e ucraino si annoverano anche Egitto e Turchia, i più popolosi Paesi nel bacino del Mediterraneo, entrambi in gravi difficoltà economiche, con la Turchia addirittura sull'orlo del default economico (l'inflazione ha raggiunto recentemente il 50%). Qui una crisi alimentare avrebbe gravissime conseguenze non solo sul fronte interno ma anche sul delicato scacchiere internazionale.

 

È per questo che Ursula Von Der Leyen ha annunciato un grande piano di aiuti dedicato ai Paesi più penalizzati dall'aumento delle commodity agricole, con un budget di 2,5 miliardi di euro entro il 2024.
Denaro ma anche cibo. L'Unione Europea si deve preparare non solo ad aumentare la propria sovranità alimentare ma anche a sfamare Paesi che possono ben ricambiare con i loro i prodotti: è per esempio il caso dell'Algeria, partner energetico strategico e sempre più prezioso per l'Italia e l'Ue, ma anche Paese grande importatore di beni alimentari. Guardando in avanti la situazione dei mercato agricoli pare continuerà ad essere assai turbolenta in tutto il mondo, anche a prescindere dalla crisi ucraina.

 

Il Fao Food Price Index, a marzo, ha raggiunto il record assoluto di 159,3 punti - nello stesso mese i prezzi delle commodity agricole sono aumentati del 13%. Le turbolenze producono effetti a volte paradossali: per esempio l'Indonesia, il maggiore produttore mondiale di olio di palma, si trova a fronteggiare una crisi alimentare per via dei formidabili prezzi raggiunti sul mercato interno dall'olio alimentare (a base di olio di palma e fondamentale nell'alimentazione indonesiana) - inarrivabili per buona parte dei 273 milioni di abitanti dell'arcipelago.

 

Gli analisti internazionali puntano oggi l'indice sulla Cina, che quest'anno sta immagazzinando quante più riserve di cibo possibile. Il 60% delle scorte mondiali di riso e il 51% di quelle di grano sono oggi in mano cinese; forse un'esagerazione se si pensa che la Cina rappresenta il 18% della popolazione mondiale.

 

Sia quel che sia: questo pare l'anno giusto per produrre. Rimbocchiamoci le maniche.