È guerra. Nella notte, alle 4:00 ora italiana, il presidente russo Vladimir Putin ha lanciato "un'operazione militare speciale", una definizione apparentemente asettica, che sta già costando centinaia, se non migliaia, di vittime. Il presidente dell'Ucraina, in un appello in lingua russa "da cittadino", aveva invocato ancora una volta il dialogo, concludendo il proprio discorso affermando: "Gli ucraini non vogliono la guerra, ma se saremo attaccati ci difenderemo". Che cosa accadrà ora è solo in parte intuibile e porterà in ogni caso con sé un carico di devastazione e dolore che non risparmieranno né il popolo ucraino né quello russo.

L'Unione Europea mostra la propria fragilità di Nazione - sarebbe meglio dire coalizione - incompiuta, con i singoli Stati membri che dovranno fare singolarmente i conti con la dipendenza dal gas russo (l'Italia è particolarmente esposta), con la Bce in procinto ad alzare i tassi (lo farà, ora?) e con il rischio che la guerra scoppiata oggi, 24 febbraio 2022, inneschi una crescita inflazionistica pericolosa per la crescita, tanto che le stime di JP Morgan sul Prodotto Interno Lordo (Pil) dell'Eurozona hanno ridimensionato le prospettive di crescita del Pil del primo semestre dal +1,5% al +1%.

Per l'Unione Europea e per l'Italia c'è anche il nodo dell'import di cereali, alla luce del fatto che tanto l'Ucraina quanto la Russia sono degli importanti partner commerciali. Solo per effetto dell'embargo imposto dall'Unione Europea alla Russia e le conseguenti contromisure con i divieti all'export agroalimentare comunitario, le esportazioni made in Italy hanno perso 1,5 miliardi negli ultimi sette anni e mezzo (elaborazioni Coldiretti).

È prevedibile, ora, un rialzo pressoché immediato di molte materie prime (il greggio è schizzato sopra i 100 dollari al barile, non accadeva dal 2014, all'epoca dell'invasione russa della Crimea), non soltanto gas e cereali ed è ipotizzabile che le stime fin qui elaborate debbano essere riviste (su Teseo.Clal.it un quadro aggiornato sugli input delle imprese agricole e su import/export di cereali). Intanto, il rublo è crollato e le Borse Mondiali sono nel caos.

Secondo le elaborazioni Ismea su dati Comtrade, "le esportazioni agroalimentari dell'Ucraina verso la Ue-27 sono state pari a 5,4 miliardi di euro nel 2020, facendo del mercato comunitario - con una quota del 28% - una delle principali destinazioni delle derrate provenienti da Kiev".

L'Italia acquista dall'Ucraina soprattutto oli grezzi di girasole, mais e frumento tenero e, prosegue Ismea, "relativamente al mais, è da segnalare che l'Ucraina è il nostro secondo fornitore dopo l'Ungheria, con una quota di poco superiore al 20% sia in volume che in valore; una situazione, questa, che suscita qualche preoccupazione vista la consistente riduzione della produzione interna di mais (-30% negli ultimi dieci anni) e la ormai strutturale dipendenza degli allevamenti dal prodotto di provenienza estera (tasso autoapprovvigionamento italiano pari al 53% contro il 79% nel 2011)".

Nei primi dieci mesi del 2021, le importazioni complessive italiane di mais si sono ridotte in volume del 13% annuo, per un totale di circa 4 milioni di tonnellate, con una flessione del 15% per quello di provenienza ucraina (466mila tonnellate), prosegue il comunicato di Ismea.

Gli effetti sui prezzi non si sono fatti attendere. Il quadro tracciato da Consorzi Agrari d'Italia, alla luce delle rilevazioni odierne del Matif di Parigi e delle prime quotazioni delle Borse Merci Italiane, è rialzista, con incrementi consecutivi tanto per il grano tenero (+1,25%) quanto per il mais (+1,24%) e - ipotizziamo - anche in proiezione nei giorni successivi.
"A Parigi, alle 15:30 di oggi (di ieri, Ndr) - spiegano a Consorzi Agrari d'Italia - il grano tenero è stato quotato 3,5 euro in più a tonnellata (+1,25%) rispetto a ieri, mentre il mais è in rialzo di 3,25 euro a tonnellata (+1,24%)".

Il rischio è che a farne le spese, in questa fase, siano soprattutto le stalle, come ricorda la Coldiretti. "Il mais è la componente principale dell'alimentazione degli animali negli allevamenti con l'Italia che è costretta ad importare oltre la metà del fabbisogno (53%) a seguito della riduzione di quasi un terzo della produzione interna negli ultimi dieci anni a causa delle speculazioni a danno degli agricoltori. In Lombardia-– precisa la Coldiretti regionale sulla base dei dati Istat - la riduzione in un decennio è stata di oltre il 40%, in un territorio dove si allevano oltre la metà dei maiali italiani e viene munto più del 44% di tutto il latte made in Italy".

La crisi in atto, rimarca Cia Agricoltori Italiani, "andrebbe a pesare su un prodotto che ha già subìto nell'ultimo biennio un forte rialzo dei prezzi, che attualmente si attestano sui 186 euro alla tonnellata, in aumento del 24,35% rispetto al 2021. Per frenare il trend, Cia auspica un maggior impegno da parte del Governo ad incentivare i contratti di filiera per un mais di filiera italiana certificata".

A preoccupare - sottolinea la Coldiretti - è il fatto che il conflitto possa danneggiare le infrastrutture e bloccare le spedizioni dai porti del Mar Nero con un crollo delle disponibilità sui mercati mondiali ed il rischio concreto di carestie e tensioni sociali.

Confagricoltura teme che la nuova crisi diplomatica - ora i Paesi del Patto Atlantico dovranno prendere una posizione più esplicita nei confronti di Putin - possa "allungare l'elenco dei settori di punta del made in Italy colpiti come quello vitivinicolo, secondo in Ue per export verso la Russia, e il comparto della pasta ad uso alimentare". Con molta angoscia per le ripercussioni che potrebbe subìre l'Italia sul piano energetico.

In tutto ciò si aggiunge la tensione in Italia che ha innescato in alcune zone il blocco dei trasporti per i rincari del gasolio, che rischia di complicare ancora di più la situazione di molte aziende alimentari, come denuncia il presidente di Federalimentare, Ivano Vacondio. "La conseguenza di questi blocchi potrebbe essere molto seria - prosegue Vacondio -: se non si trova un accordo tra i trasportatori e il Governo, il pericolo è che la materia prima non arrivi più alle aziende alimentari che devono lavorarla e che, quindi, torni la paura degli scaffali vuoti nei supermercati. È necessario che i blocchi lascino passare chi trasporta i prodotti alimentari deperibili e indispensabili per alimentare le famiglie".


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