Nel comparto vitivinicolo il tema della sostenibilità è molto sentito rispetto ad altri settori dell'agricoltura. I consumatori vogliono vini che siano buoni e che siano prodotti con un impatto sociale e ambientale minimo, se non positivo. E altrettanto fa l'Unione Europea, che spinge per una viticoltura che faccia meno ricorso agli agrofarmaci di sintesi e che abbia una impronta ambientale neutra.

Il concetto di sostenibilità tuttavia si presta a differenti interpretazioni. La sostenibilità può significare usare meno agrofarmaci di sintesi, ma, posto che le viti in qualche modo vanno difese, si deve anche valutare se un prodotto è più sostenibile di un altro. Essere sostenibili significa anche consumare pochi combustibili fossili, il che talvolta configge con l'obiettivo precedente.

Ci sono poi elementi condivisi: la sostenibilità passa da un uso oculato dell'acqua, sia in vigna che in cantina. Dall'adozione di pratiche di economica circolare, dalla tutela della biodiversità e della fertilità dei suoli. Per alcuni poi essere sostenibili significa anche avere un impatto positivo sul territorio e nei confronti dei lavoratori.


Definire la sostenibilità

A livello europeo ed italiano non c'è una definizione di vino o di viticoltura sostenibile. Ci sono delle certificazioni, come il Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata (Sqnpi) rilasciate a quelle aziende agricole che seguono i Disciplinari di Produzione Integrata. C'è poi la certificazione di agricoltura biologica, regolamentata da norme comunitarie, che dovrebbe essere maggiormente sostenibile a livello ambientale di quella convenzionale. Ma anche i produttori di vini "naturali" o biodinamici avocano a sé il primato della sostenibilità.

La vitivinicoltura sostenibile è definita dall'Oiv (Risoluzione OIV CST 1/2004) come "l'approccio globale alla scala dei sistemi di produzione e di lavorazione delle uve, associando contemporaneamente la sostenibilità economica delle strutture e dei territori, la produzione di prodotti di qualità, considerando i requisiti specifici della viticoltura sostenibile, dei rischi legati all'ambiente, la sicurezza dei prodotti e la salute dei consumatori e la valorizzazione degli aspetti patrimoniali, storici, culturali, ecologici e paesaggistici".

In Italia non c'è una normativa che inquadri la viticoltura sostenibile. Ci sono tuttavia due certificazioni che vanno in questa direzione. La prima è Viva, promossa dal Ministero della Transizione Ecologica, e la seconda è Equalitas, ispirata da Federdoc.


La certificazione Viva

La certificazione Viva ha le sue origini in un progetto lanciato nel 2011 su iniziativa del Ministero dell'Ambiente con la collaborazione scientifica del Centro di Ricerca Opera (Osservatorio dell'Università Cattolica) e AgroInnova dell'Università di Torino, che aveva proprio come obiettivo quello di valutare l'impronta ambientale del vino. Dopo anni di lavoro si è arrivati alla definizione di un protocollo che prende in considerazione quattro indicatori: Aria, Acqua, Territorio e Vigneto definendo delle azioni da compiere per migliorare la sostenibilità dell'azienda.

 

Viva la sostenibilità del vino

 

L'indicatore Aria misura l'impatto della produzione sul clima (ad esempio a livello di emissione di gas climalteranti). L'indicatore Acqua misura invece il consumo di acqua e premia la sua gestione consapevole e il riutilizzo. L'indicatore Vigneto valuta le pratiche agronomiche adottate, l'impiego di agrofarmaci, la tutela della biodiversità e della fertilità del suolo. L'indicatore Territorio invece valuta gli impatti sul paesaggio e sulle comunità locali, sia a livello economico sia di tutela dell'ambiente.

L'aspetto interessante è che ogni azienda agricola può inserire in maniera autonoma i dati sulla piattaforma Viva e valutare la propria sostenibilità. Solo successivamente, per ottenere la certificazione, è richiesto l'intervento di un soggetto terzo che certifichi i dati inseriti. In questo caso alla cantina viene data la possibilità di apporre sulle proprie bottiglie l'etichetta Viva. Ad oggi le aziende che hanno aderito al progetto sono un centinaio.


La certificazione Equalitas

L'altra principale certificazione è Equalitas, promossa da Federdoc, insieme a Csqa Certificazioni, Valoritalia, Gambero Rosso e 3AVino, Società specializzata nella finanza vitivinicola.

 

Certificazione Equalitas

 

Equalitas è un disciplinare volontario, specifico per il settore vitivinicolo, che valuta la sostenibilità secondo tre indicatori: l'impresa, il prodotto finale e il territorio. Tali indicatori prendono in considerazione la sostenibilità a livello ambientale, sociale ed economico. Vengono ad esempio valutate le pratiche agronomiche, la tutela dei lavoratori, la correttezza verso i fornitori, la trasparenza e altro ancora. Ad oggi sono circa ottanta le aziende agricole certificate.


E altre certificazioni ancora...

Mentre ministeri e associazioni di categoria dialogano per trovare la quadra e definire una certificazione condivisa, aziende e associazioni locali vanno in ordine sparso. Molte si affidano ad enti certificatori esteri (soprattutto ai fini dell'export), altre hanno costruito dei propri protocolli.

In Sicilia ad esempio è nato SOStain, una certificazione e un'Associazione (dal nome Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile in Viticoltura) aperta a tutte le aziende vitivinicole siciliane che oggi conta 17 soci. Il progetto è nato su iniziativa di quattro cantine supportate dall'Università Cattolica di Piacenza. La certificazione, rilasciata da un ente terzo, viene data se si seguono alcuni principi. Solo per citarne alcuni: l'utilizzo di massimo 0,6 kWh a litro di vino, l'uso di bottiglie "leggere" (dal peso inferiore a 485,8 grammi) e l'impiego per l'80% di dipendenti locali.

 

SOStain

 

C'è stata poi l'esperienza di Vino Libero, una certificazione nata da un'Associazione composta da 13 produttori e una distilleria. Il vino viene definito Libero poiché in vigna non vengono usati erbicidi o concimi di sintesi. Inoltre il vino deve avere una dose massima di solfiti inferiore al 40% rispetto ai limiti di legge. 12 le cantine associate.

 

 

In Alto Adige c'è poi la certificazione CasaClima Wine, promossa dalla locale Agenzia per l'Energia. La certificazione ha un focus specifico sul risparmio energetico e la gestione delle risorse lungo tutto il percorso di produzione del vino (acqua, vetro, imballaggi, etc.). Sono otto le cantine certificate.

Ma ci sono anche certificazioni promosse da singole aziende particolarmente attente alla propria sostenibilità. È il caso di Vini 3S, promosso dall'Azienda Biologica Trebotti di Castiglione in Teverina (Vt), oppure di New Green Revolution, promosso da Arnaldo Caprai, protocollo antesignano delle successive iniziative.

Il protocollo è nato su iniziativa dell'Associazione Grandi Cru di Montefalco (nata nel 2008 dall'unione di sette cantine dell'area del Sagrantino di Montefalco Docg) e grazie al contributo dell'Università degli Studi di Milano e di altri soggetti. Nel 2013 Csqa ha certificato il protocollo, che è diventato il primo protocollo italiano di sostenibilità territoriale in ambito vitivinicolo. Il progetto è stato poi inglobato in Equalitas.


Certificarsi, ma perché?

La domanda che molti si pongono è se la certificazione di sostenibilità ha poi ricadute economiche positive per l'azienda oppure se soddisfa semplicemente il desiderio della cantina di essere "green". "Non c'è una risposta univoca", spiega Ludovica Calselli, consulente nel Settore della Sostenibilità, che ha svolto ricerche anche a livello accademico su questo tema.

"Se guardiamo all'aspetto di marketing elemento centrale è il livello di riconoscibilità che ha il certificato tra i consumatori. Se l'acquirente riconosce il marchio, come quello di Viva o di Equalitas, e sa che cosa significa, allora è disposto anche a spendere qualcosa di più per acquistare una bottiglia sostenibile".

Il quid in più è molto variabile, ma secondo diverse ricerche si aggira attorno ad un 10-15%, anche se poi la volontà espressa in un questionario non sempre si traduce in un'azione concreta al momento dell'acquisto. "L'elemento da sottolineare è che la certificazione di sostenibilità può dare una marcia in più ad una bottiglia a parità di qualità, che è sempre l'elemento centrale che orienta la scelta del consumatore".

Come leva di marketing la certificazione di sostenibilità non può dunque prescindere da una comunicazione robusta fatta dalla cantina e dall'organizzazione che promuove la certificazione stessa. "Le singole aziende vitivinicole sono spesso troppo piccole per poter adottare piani di comunicazioni di ampio respiro, chi promuove la certificazione dovrebbe dunque essere in prima linea per darne visibilità ai consumatori".

Lo stesso vale anche nel commercio internazionale. "Per entrare in alcuni mercati, come quelli monopolistici di Canada, Svezia o Norvegia, vengono richieste alle aziende alcune certificazioni ed essere certificati come sostenibili permette di guadagnare punti e aver accesso con maggiore facilità al mercato. In questo caso serve un'attività di lobbying per spiegare ai decisori pubblici locali il valore della certificazione", spiega Ludovica Calselli.

Nella scelta se certificarsi o meno elemento chiave è guardare al futuro. L'acquisto di vino in Italia è in contrazione e si sta andando verso un consumo più consapevole e con un prezzo medio alla bottiglia più alto. In questa tendenza si inseriscono i consumatori del futuro, i Millennials e la Generazione X, che beve e berrà poco, ma opterà per bottiglie di qualità e che siano sostenibili.

Le cantine devono dunque guardare al mercato del futuro e non dimenticarsi che oggi tutte le politiche di sostegno al settore, siano europee, nazionali o regionali, stanno ponendo l'accento sul tema della sostenibilità. Ed è prevedibile che in futuro gli aiuti saranno concessi prioritariamente a quelle aziende che danno prova di essere sostenibili.

 


Questo articolo è stato modificato dopo la pubblicazione nella parte riguardante le informazioni sulla certificazione Equalitas e in quella riguardante l'esperienza di Vino Libero