Si addensano nubi minacciose sul cielo dei maidicoltori italiani. Purtroppo si potrebbe riassumere così la Giornata del Mais 2022 che, come ogni anno, ha organizzato il Crea Centro di Ricerca di Cerealicoltura e Colture Industriali di Bergamo.


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Il professore Dario Frisio dell'Università di Milano, uno dei relatori della giornata, ha avvertito i produttori: "Bisogna tener conto - ha detto a conclusione del suo intervento - che le cose andranno peggio, c'è il rischio di incappare in prezzi crescenti degli input (fertilizzanti in primis) e calanti dei prodotti agricoli".

Il quadro economico della coltura non promette bene per il 2022. Il professore Frisio ha analizzato la situazione partendo dai dati storici per fare previsioni sulla campagna 2021-2022. Dopo una ripresina nel 2019 le superfici a mais sono in calo, nel 2021 si sono attestate su 590mila ettari, concentrati soprattutto al Centro Nord Italia: nel Nord Ovest si concentra il 45% delle superfici, nel Nord Est il 43%, con un calo rispettivamente del 40% e del 45% sul 2011.

Per quanto riguarda produzione e rese, l'annata 2021 non è stata particolarmente fortunata a causa di gelate, periodi di siccità e piogge concentrate. Ecco la situazione: 6,1 milioni di tonnellate prodotte, in calo rispetto all'annata precedente, con una resa di 103 quintali/ettaro, in media, negli ultimi 24 anni le rese medie sono state di 95 quintali/ettaro con forti oscillazioni annuali. C'è stata negli anni una tendenza a salire delle rese ma, ha sottolineato Dario Frisio, "questo dipende dal fatto che le superfici sono calate e, dove non c'erano condizioni favorevoli, la coltura è stata abbandonata".

Contemporaneamente in Spagna è stato segnato un nuovo record di rese con 122,9 quintali/ettaro. "La Spagna, assieme al Portogallo coltiva mais Ogm - ha precisato Frisio - mostra una buona stabilità di rese e oscillazioni di entità contenuta. Riesce a contrastare i fenomeni climatici avversi". A livello europeo si produce mais su 9,9 milioni di ettari, si sono persi altri 150mila ettari rispetto al 2020, ma le produzioni si stanno spostando a Est. Nel 2021 si sono prodotte 70,9 milioni di tonnellate. L'Italia continua a perdere posizioni e ora è quinta in termini di superfici dietro Romania, Francia, Ungheria e Polonia. La Polonia ha visto una crescita del 75% delle superfici in dieci anni e la Bulgaria del 25%.

Se le rese italiane faticano a salire e le superfici calano, inevitabilmente il tasso di autoapprovvigionamento non è soddisfacente. Se nel 2001-2005 il tasso era attorno al 90%, l'ultimo dato, quello del 2020, dice 55,1% con oltre 1 miliardo di valore di importazioni di mais da granella e 5,5 milioni di tonnellate. Per la campagna 2021-2022 c'è il rischio di spendere circa 1 miliardo e mezzo di euro in importazioni. "Così ci giochiamo il valore delle produzioni di pregio", ha avvertito Dario Frisio, seguendo il filo delle previsioni. "Considerando 100mila ettari coltivati per biogas e silomais, la produzione è di 4.994.000 tonnellate, con 6.100.000 tonnellate di importazione di granella. Ipotizzando un prezzo a 240 euro/tonnellta, come nel 2012-2013, si arriva a 1 miliardo e mezzo di valore di import con un tasso di approvvigionamento al 45%". Poi il professore ha aggiunto: "Così alimentiamo i flussi di import che producono inquinanti, l'Ungheria è il principale fornitore e arrivano via treno e via gomma, con produzione di inquinanti".

Le previsioni a livello internazionale dicono che i prezzi resteranno in tensione: "L'aumento di prezzi per il mais è partito a ottobre 2020 - ha spiegato Dario Frisio - quando nelle stime degli Usa è emerso un buco nella produzione, una sovrastima per Romania e Ungheria. Si sono quindi assottigliati gli stock mondiali, nell'anno in corso dovrebbero risalire sopra i 300 milioni di tonnellate".  Si intravede quindi una possibilità che il prezzo della granella di mais scenda, di qui la preoccupazione: da un lato costi di gas e fertilizzanti alle stelle (a novembre 2021 il prezzo dell'urea ha toccato i 900 dollari la tonnellata, sopra il picco del 2008) che potrebbero scendere solo a fine 2022 e dall'altro prezzi della granella che non resteranno così alti come nel 2021. Una situazione non rosea in prospettiva.


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La preoccupazione aumenta per i maidicoltori italiani: se si fanno i conti sulla redditività agricola, i conti rischiano di non tornare, soprattutto dal 2023, con l'arrivo della nuova Pac. Lo dimostrano i calcoli fatti da Enrico Costa, agronomo di Aires, l'Associazione Italiana Essiccatori di Cereali, fra i relatori della Giornata del Mais. Si tratta di una simulazione che non ha pretesa scientifica ma comunque è indicativa. I calcoli sono stati fatti partendo da un report dedicato alla redditività delle aziende maidicole realizzato nel 2019 da Ismea, cui è stata applicata, appunto, una simulazione per gli anni 2021 e 2022.

Nonostante l'aumento dei costi variabili, il 2022 è ancora un anno in cui il risultato aziendale è lievemente positivo. Nel 2021, ipotizzando una resa di 12,08 tonnellate a ettaro e un prezzo di vendita a 230 euro a tonnellata, la Produzione Lorda Vendibile (Plv) era di 2.777,66 euro a ettaro. Al dato sono stati sottratti costi fissi (ammortamenti, previdenza, affitti eccetera) e costi variabili (sementi, fertilizzanti, contoterzismo eccetera), ancora stabili nel 2021 ottenendo un reddito operativo di 594,98 euro a ettaro che sfiorano, con il premio Pac stimato in 363,10 di media, circa mille euro a ettaro. Nel 2022, con l'aumento vertiginoso dei costi variabili (stimato in un +49,5% rispetto al 2019), si ottiene un reddito operativo lordo negativo che diventa positivo per soli 96,44 euro a ettaro grazie al premio Pac.

"Per il 2023 - ha detto Costa - oltre alle incertezze di mercato abbiamo l'incertezza della nuova Pac. Ad oggi si prevede un calo del 50% per i seminativi. La riduzione dei titoli Pac è alle porte, i nuovi ecoschemi sono limitanti. Abbiamo visto che il contributo Pac è fondamentale per avere un reddito operativo finale positivo, se non cambia qualcosa può essere deleterio per le aziende maidicole".


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