Contrastare il cambiamento climatico, preservare la biodiversità, ridurre l'impatto ambientale dell'agricoltura: sono tutti obiettivi condivisibili, con una tabella di marcia ben definita dalla Commissione Europea, che l'ha codificata all'interno del Green Deal con le Strategie Farm to Fork e Biodiversity. Perfetto. O forse no, visto che l'ultimo studio commissionato alla Wageningen University & Research da CropLife Europe, insieme a CropLife International e diversi stakeholder della filiera agroalimentare, ha messo nero su bianco alcuni scenari, valutando appunto i potenziali impatti di cinque obiettivi chiave delle Strategie Farm to Fork e Biodiversity.
Il prezzo sarebbe elevato in termini economici, con un impatto negativo di circa 56 miliardi di euro, in termini di perdita di valore aggiunto con l'incremento dei terreni a biologico, e un arretramento di circa 140 miliardi di euro in caso di riduzione dell'uso degli agrofarmaci e dei fertilizzanti e un incremento del 10% del set aside. Per non parlare del calo delle rese in campo e, di conseguenza, delle produzioni, col rischio di dover importare dall'estero, dove i vincoli ambientali sono ben diversi da quelli comunitari.
Procediamo con ordine. Attualmente, a fronte di azioni piuttosto nette da attuare entro il 2030 (riduzione del 50% degli agrofarmaci e del 20% dei fertilizzanti e la crescita al 25% della Superficie Agricola Utile coltivata a biologico) "non è ancora chiaro quali potrebbero essere le implicazioni degli obiettivi proposti per l'agricoltura e il sistema alimentare dell'Ue", scrive l'Università di Wageningen.
Lo studio condotto dal prestigioso ateneo olandese (gli autori sono Johan Bremmer, Ana Gonzalez-Martinez, Roel Jongeneel, Hilfred Huiting, Rob Stokkers) si è concentrato sugli impatti con riferimento a un numero selezionato di colture annuali (frumento, colza, mais, barbabietola da zucchero e pomodori) e colture perenni (mele, olive, uva, agrumi e luppolo).
Quattro scenari di studio
Nello studio sono stati sviluppati quattro scenari in cui si combinano i seguenti obiettivi del Green Deal. Vediamoli.
Scenario uno: riduzione del 50% dell'uso e dei rischi complessivi degli agrofarmaci e riduzione del 50% dell'uso degli agrofarmaci più pericolosi.
Scenario due: riduzione del 50% delle perdite di nutrienti e riduzione del 20% dell'uso di fertilizzanti.
Scenario tre: almeno il 25% della superficie agricola coltivata a produzione biologica.
Scenario quattro: obiettivi degli scenari uno e due combinati con l'obiettivo di collocare almeno il 10% dei terreni agricoli in elementi paesaggistici ad alta diversità. In questo scenario non abbiamo incluso l'effetto dell'aumento della produzione biologica al 25% della superficie agricola.
Produzioni giù con le Strategie Farm to Fork e Biodiversity
Secondo la valutazione a livello macro, l'attuazione degli obiettivi delle Strategie Farm to Fork e Biodiversity comporterà una diminuzione media dei volumi prodotti per coltura nell'intera Ue, che va dal 10 al 20% (scenario quattro). Il volume di produzione può diminuire fino al 30% per alcune colture come le mele, ma ci sono anche colture di cui la produzione risente poco a causa della Strategia Farm to Fork come la barbabietola da zucchero.
Più difficoltà per le colture perenni
Il volume prodotto delle colture perenni diminuirà più di quello delle colture annuali. Aumenteranno i prezzi di prodotti come vino, olive e luppolo. Di conseguenza, il commercio internazionale cambierà in modo significativo: le esportazioni dell'Ue diminuiranno e le importazioni aumenteranno (e potrebbero addirittura raddoppiare).
L'effetto del bio
Quale sarà l'impatto dell'incremento della Sau a biologico? Il dossier elaborato dall'Università di Wageningen ipotizza che l'attuazione dell'obiettivo di aumentare la superficie a produzione biologica al 25% comporterà un calo della produzione inferiore al 10% e andrà di pari passo con un aumento dei prezzi di poco inferiore al 13%.
Certamente l'incremento della Sau biologica potrebbe contribuire alla riduzione dell'uso e del rischio complessivi degli agrofarmaci e alla riduzione delle perdite di nutrienti, dato che è effettivamente così per le colture annuali considerate. Tuttavia, per alcune colture perenni sarebbe vero il contrario, con la conseguenza che, in tali casi, mancherebbe un incentivo a passare alla produzione biologica da un punto di vista della sostenibilità.
Altri risultati
Lo studio giunge alla conclusione che gli obiettivi di ridurre del 50% il rischio e l'uso degli agrofarmaci e di ridurre le perdite di nutrienti (50%) hanno un impatto significativo sui livelli di resa.
Le perdite di rendimento stimate per caso di studio variano: da 0 a 30% nello scenario uno (riduzione dell'uso e del rischio degli agrofarmaci); dal 2 al 25% nello scenario due (riduzione dell'uso di fertilizzanti); dal 7 al 50% nello scenario quattro (obiettivi dello scenario 1 e 2 e 10% del settore agricolo con terreni caratterizzati da caratteristiche paesaggistiche ad alta diversità).
Inoltre, il livello di resa stimato della produzione biologica è dal 7% al 54% inferiore rispetto alla produzione convenzionale presentata nello scenario di riferimento, recita il report.
A subire maggiormente l'impatto degli obiettivi Farm to Fork sono le colture permanenti come uva, mele, olive, agrumi, maggiore rispetto a colture annuali come semi oleosi, colza, frumento, mais e barbabietola da zucchero.
Il caso Italia
Per l'Italia, secondo quanto riportato nei giorni scorsi dal Il Sole 24 Ore, l'impatto sarebbe tutt'altro che lieve. "La produzione di pomodori e quella di mele calerà del 20%, quella di uva da vino addirittura del 24%, mentre per l'olio d'oliva si potrebbe profilare un catastrofico crollo del 40%", si legge.
E non andrà meglio in Francia, dove "la vendemmia subirà perdite del 28%". La Germania "produrrà il 26% di luppolo in meno per fare la birra e il 15% in meno di grano. La Spagna dovrà rinunciare al 20% delle sue olive e al 30% dei suoi agrumi. Mentre la Polonia dovrà dire addio alla metà del suo raccolto", specifica il quotidiano.
Le conseguenze sul mercato
Il calo delle rese in campo trascina verso il basso la produzione e gli effetti di una minore disponibilità nel mercato interno dell'Unione Europea avrà un impatto rialzista sui prezzi delle materie prime.
Con importazioni previste in aumento, almeno per mais e colza, ed esportazioni comunitarie in frenata nei settori del grano, delle olive e dell'olio (queste ultime due colture che caratterizzano fortemente l'agricoltura italiana), potrebbero risentire i redditi degli agricoltori, vittime di ricavi che potrebbero imboccare la strada della diminuzione "probabilmente a un ritmo più rapido rispetto a quello che normalmente accadrebbe in caso di calo dei costi", scrive l'Università di Wageningen.
L'allarme dell'Alleanza Cooperative Agroalimentari
Lo studio è stato divulgato in una riunione del Copa Cogeca e commentato da Davide Vernocchi, coordinatore Ortofrutticolo dell'Alleanza Cooperative Agroalimentari. "Oltre al calo dei quantitativi - ha dichiarato - rischiamo di perdere tutta la ricchezza delle biodiversità produttive tipiche dell'area mediterranea. Non solo, molte aziende italiane saranno costrette a non coltivare più le loro mele, mentre vedremo arrivare sulle nostre tavole prodotti provenienti dall'Egitto o dalla Turchia, con requisiti qualitativi decisamente inferiori agli standard europei".