"Vi sono molti motivi per cui un'invasione russa dell’Ucraina dovrebbe essere fermata prima che avvenga. L'interruzione delle consegne alimentari da uno dei più importanti granai del mondo dovrebbe essere in cima a quella lista di motivi. Se un'invasione è inevitabile, i governi del mondo devono essere preparati a reagire rapidamente per evitare l'insicurezza alimentare e una possibile carestia".

A mettere in guardia dai rischi che una invasione russa comporterebbe a livello globale è Alex Smith, del portale Tbsnews. Scrive dal Bangladesh, che è il quinto Paese di destinazione dell'export del frumento coltivato in Ucraina, con circa 850mila tonnellate inviate fra gennaio e novembre del 2021.

Che le tensioni fra Russia e Ucraina siano legate al gas, alla smania dello "zar" Putin di ricreare il dominio e le sfere d'influenza della fu Unione Sovietica, dal desiderio di contribuire a insediare un Governo amico o che siano generate dal desiderio di tenere lontano dai propri confini la Nato è una questione che andrà approfondita e, probabilmente, si scoprirà con maggiore chiarezza nei prossimi mesi.

Ora, incrociando le dita e fatti i debiti scongiuri, affinché la situazione pre bellica possa sciogliersi e riportare una pacifica convivenza, resta aperto il nodo legato all'export di cereali, che vedono tanto l'Ucraina quanto la Russia ai primi posti delle vendite globali. Ciascuno con le proprie sfere d'influenza, che magari celano accordi, intese, mire o semplicemente simpatie di natura geopolitica. Quali potrebbero essere le ripercussioni sui mercati mondiali?

L'Ucraina è il terzo Paese esportatore di cereali a livello mondiale, alle spalle di Stati Uniti e Argentina. Fra gennaio e novembre, dicono i dati sul portale di Teseo.Clal.it, Kiev ha venduto oltre i propri confini quasi 45 milioni di tonnellate di cereali (-5,6% sullo stesso periodo del 2020): 19,8 tonnellate di mais (-18% rispetto allo stesso periodo del 2020, con la Cina primo Paese destinatario, col 32% del market share, seguita dall'Unione Europea al 31%, e poi Egitto, Iran, Turchia, Regno Unito); 18,9 milioni tonnellate di frumento (+7,48% tendenziale, con Egitto, Indonesia, Turchia, Pakistan, Bangladesh e Marocco primi acquirenti); 5,4 milioni di tonnellate di orzo (+7,86% tendenziale, con la Cina che rappresenta il 53% delle quote di mercato, seguita da Turchia, Arabia Saudita, Libia, Giordania e Tunisia).

La Russia nei primi 11 mesi del 2021 ha collocato oltre i propri confini oltre 32,4 milioni di tonnellate di cereali (-19,54% rispetto allo stesso periodo del 2020), dei quali 24,5 milioni sono rappresentati dal grano (-24,8% tendenziale, con Turchia ed Egitto primi destinatari). Una scelta strategica di Putin, quella di ridurre le esportazioni (con l'annuncio di ulteriori riduzioni per i prossimi mesi), per evitare tensioni interne in una fase di difficoltà per il covid-19 e la svalutazione del rublo?

La Federazione Russa esporta anche orzo (3,6 milioni di tonnellate, -19,89% rispetto ai primi 11 mesi del 2020, venduti nell'ordine ad Arabia Saudita, Turchia, Libia e Tunisia) e mais (2,7 milioni di tonnellate, +35% tendenziale, con la Turchia di Erdogan che rappresenta il 38% del market share, davanti a Unione Europea, Corea del Sud, Georgia e Vietnam).

I numeri inquadrano in maniera sufficientemente esaustiva la portata dell'export dei due Paesi oggi contrapposti sul filo della tensione e dall'analisi delle destinazioni dell'export dei cereali emerge in modo nitido che molte delle realtà che acquistano dall'Ucraina o dalla Russia si ritrovano in un frangente di instabilità politica, di insicurezza alimentare e, dunque, sono molto esposti anche al rischio di sommosse interne, agitazioni, rischio di carestie.

E la memoria di un estensore accorto come Alex Smith ricorda alcuni episodi vicini e lontani connessi a situazioni esplosive legate alle crisi agricole e alle tensioni sui prezzi. È il caso, ad esempio, delle rivolte della Primavera Araba avvenute una decina di anni fa, "nelle quali l'aumento dei prezzi dei generi alimentari è stato la scintilla che ha acceso la miccia della rivoluzione in Tunisia e in Egitto". O, ancora, ai milioni di morti (tra i 4 e i 7) registrati proprio in Ucraina negli Anni Trenta del secolo scorso, a causa di una carestia accompagnata da programmi di collettivizzazione a tappe forzate e quote esagerate di consegne cerealicole imposte ai produttori agricoli ucraini da parte di Mosca.

Il tema non è sfuggito anche al mondo agricolo italiano, dal momento che l'Italia, ricorda Coldiretti, ha importato oltre 120 milioni di chili di grano dall'Ucraina e circa 100 milioni di chili di grano dalla Russia.
Fatto sta che la crisi Ucraina - rileva Coldiretti - con il rischio dell'invasione russa fa balzare di quasi il 10% in una sola settimana il prezzo internazionale del grano, con tensioni sul mercato alimentare e il rischio di carestie.

Una situazione che va ad innescare ulteriore preoccupazione dal momento che con la pandemia si è aperto infatti uno scenario di accaparramenti, speculazioni e incertezza per gli effetti dei cambiamenti climatici che spinge la corsa dei singoli Stati ai beni essenziali per garantire l'alimentazione delle popolazioni.

Potrebbe tutto questo rappresentare un pericolo per l'Unione Europea? Per il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, "le crescenti e preoccupanti tensioni tra Federazione Russa e Ucraina possono destabilizzare il mercato internazionale dei cereali, ma l'Unione Europea sarebbe al riparo grazie all'abbondanza della produzione interna".
Secondo le ultime stime della Commissione, aggiunge Giansanti, "nella campagna di commercializzazione 2021-2022 la produzione di cereali si attesterà nella Ue ad oltre 290 milioni di tonnellate. Un quantitativo sufficiente a coprire il fabbisogno interno e ad alimentare un importante flusso di vendite fuori dall'Unione".

Resta il nodo dei prezzi. Le tensioni geopolitiche dove spingeranno i listini e con quali effetti per le aziende zootecniche non autosufficienti nella razione alimentare o per i costi di produzione di pane, pasta e simili? Eventuali difficoltà o chiusure all'export da parte di Russia e Ucraina, ancora, quale impatto potrebbero avere sui fenomeni migratori dall'Africa verso l'Europa?

Accanto allo scenario che vede la Russia esibire la propria aggressività muscolare, non si può non tener conto delle variabili climatiche. Secondo l'ultimo Rapporto dell'Unione Europea sul Monitoraggio delle Colture (Mars), siamo di fronte a un inverno temperato, che di per sé è favorevole alle colture invernali in Europa e nell'area del Mar Nero, dove si stanno concentrando le truppe navali della Nato per dare supporto in caso di attacco russo.

Allo stresso tempo, "un inverno relativamente mite continua a lasciare le colture più esposte ai danni del gelo, se le temperature scendono", che potrebbero compromettere o danneggiare colture che sono descritte nel report "in condizioni da discrete a buone o molto buone".
Ad oggi le previsioni sono di produzioni nel 2022-2023 in ripresa, aprendo a prospettive di mercato leggermente ribassiste in una proiezione di qui a sei mesi.
Questa settimana e la prossima saranno cruciali per scongiurare i rischi di gelate, alla luce di previsioni meteo che non escludono repentini abbassamenti di temperatura proprio sui territorio di Ucraina e Russia.