Con oltre 4,6 milioni di ettari coltivati in Ue, l'olivo è una delle colture simbolo dell'agricoltura e della dieta mediterranea. È una delle coltivazioni più esposte ai cambiamenti climatici e alle malattie (come la Xylella fastidiosa), ma che ha interessanti prospettive di crescita nel prossimo decennio. I consumi di olio di oliva sono previsti in aumento, più nelle aree del Centro e Nord Europa, dove l'utilizzo è sempre più associato a un'alimentazione sana, che nei territori tradizionalmente legati alla sua produzione, dove i giovani sembrano più freddi rispetto al suo utilizzo in cucina.


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Efficienza e valore guidano la crescita della produzione di olio d'oliva. La ripresa dei prezzi dell'olio d'oliva in Ue nel 2020-2021 ha stimolato gli investimenti in nuove piantagioni di ulivi. Dietro questo, la creazione di valore in termini più ampi rimane significativa, portando a una migliore redditività soprattutto nei sistemi super intensivi.

Questi sistemi - puntualizza l'Agricultural Outlook della Commissione Europea al 2031, presentato alla fine dello scorso anno - sono caratterizzati da un rapido ingresso in produzione (solitamente il secondo o il terzo anno) e contribuiscono a una produzione di alta qualità con perdite minime, grazie a un ciclo produttivo completamente meccanizzato dalla semina, alla potatura alla raccolta.

L'aumento della produzione di olio d'oliva biologico e dei regimi di qualità sono altri esempi di come apportare valore alla crescita della produzione di olio d'oliva dell'Ue.


La sfida dei cambiamenti climatici

I cambiamenti climatici in atto comporteranno variazioni annuali delle rese e della qualità dell'olio non prevedibili, anche se per gestire il fenomeno in atto sarebbe opportuno che le varietà resistenti sostituiscano quelle attuali.

Nel frattempo, la scarsità d'acqua e la concorrenza con altri usi potrebbero rimanere una sfida per lo sviluppo futuro della resa, che dovrebbe aumentare dell'1% all'anno fino al 2031. Pur mantenendo lo sviluppo dell'area relativamente stabile (con nuove piantagioni che sostituiscono quelle vecchie), la produzione europea di olio d'oliva potrebbe raggiungere 2,5 milioni di tonnellate entro il 2031 (+22% rispetto al 2020).


Export in aumento

Le esportazioni dell'Ue cresceranno con l'aumento della produzione (dal 35% nel 2020 al 44% nel 2031), con la proiezione di raggiungere 1 milione di tonnellate entro il prossimo decennio, grazie tanto alla qualità del prodotto che alla sua immagine strettamente connessa alla dieta mediterranea e alla salute. Anche il biologico dovrebbe contribuire a garantire ai produttori un adeguato valore aggiunto.

Sul fronte dell'import, le quantità ritirate dall'Europa potrebbero rimanere elevate, riflettendo l'aumento della produzione nei Paesi terzi.


Consumo in crescita nei Paesi non produttori

La crescita dei consumi interni dovrebbe essere trainata dai Paesi non produttori (dal 21% nel 2020 al 32% nel 2031, raggiungendo 1,5 chilogrammi per persona), mentre il consumo pro capite nei principali Paesi produttori dell'Unione Europea, storicamente elevato, potrebbe segnare un declino, anche se non così marcato come nel decennio precedente (-0,6% annuo, rispetto al -3% nel 2010-2021).

La flessione, secondo il report, riflette sia la maturità del mercato che i diversi stili di consumo delle giovani generazioni.


Per la produzione crescite differenziate

Gli analisti prevedono che la produzione di olio d'oliva seguirà un modello eterogeneo in tutta l'Ue: in Spagna, Italia e Portogallo sono previsti aumenti della produzione media annua compresi tra il 2,5% e il 5%, principalmente per effetto di aumenti della resa. Al contrario, in Grecia si prevede un calo limitato della produzione, che riflette una combinazione di un piccolo calo della superficie con uno sviluppo ritardato della resa.

Malattie come la Xylella fastidiosa ed eventi meteorologici e climatici (come ad esempio ondate di calore e siccità) sono le principali situazioni di incertezza, che potrebbero impedire la realizzazione degli incrementi produttivi previsti.


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Bene export per Spagna, Portogallo e Grecia

Entro il 2031, Portogallo e Spagna dovrebbero aumentare la loro posizione netta di esportazione (rispetto alla media 2016-2020, con un incremento delle vendite rispettivamente del 3% e del 9% all'anno. Anche la Grecia manterrà la propria posizione di Paese esportatore netto, sebbene con un calo medio annuo di circa il -2,5% all'anno entro il 2031.


Produzione italiana di olio in aumento

La dipendenza netta dell'Italia dalle importazioni di olio d'oliva dovrebbe diminuire a causa dell'aumento della sua produzione di quasi il 3% nel 2031 rispetto al periodo di riferimento 2016-2020. Nel complesso, la Spagna resterà fra i big player del mercato e si candida a soddisfare la domanda emergente dall'Asia (in particolare dalla regione del Pacifico).


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Olive da tavola: produzione in aumento, incognita climate change

La produzione di olive da tavola nei principali Paesi produttori dell'Unione Europea dovrebbe aumentare nei prossimi anni, riflettendo l'andamento positivo della resa e un'espansione della superficie, in particolare in Spagna, Italia e Portogallo (mentre la superficie è in lieve calo in Grecia).
Lo sviluppo di varietà di olivo più resistenti alle condizioni meteorologiche estreme e alla siccità (oltre a parassiti e malattie) svolgerà un ruolo importante nello sviluppo della produzione previsto.

In Spagna, il consumo pro capite di olive da tavola dovrebbe rimanere intorno al livello attuale nel 2031 (quasi 3 chilogrammi), con aumenti in Italia, Grecia e Portogallo.
Dovrebbero aumentare le esportazioni nette in Spagna, Grecia e Portogallo, con un tasso di crescita annuo di circa l'1-2%. In Italia, le importazioni nette di olive da tavola dovrebbero invece diminuire (da 71.600 tonnellate nel 2020 a circa 54mila tonnellate nel 2031).

Entro il 2031 i principali Paesi produttori comunitari manterranno la loro forte posizione commerciale tanto all'interno del mercato Ue che extra Ue (con crescenti esportazioni negli Stati Uniti), ma dovranno fare i conti con la concorrenza di Egitto, Algeria e Turchia, dove il costo del lavoro inferiore potrebbe rappresentare un elemento di maggiore competitività.