Mangiare meglio per inquinare meno. Sembra essere questo il filo rosso alla base dello studio presentato nell'appuntamento della Commissione Agricoltura dell'Ue dedicato all'Outlook 2031. La raccomandazione, che nella due giorni di approfondimento viene espressa dal vicedirettore della Fao Beth Bechdol, invita ad un approccio sistemico e dal fatto che "3 miliardi di persone nel mondo non possono permettersi una dieta sana", con conseguenze che gravano sui sistemi sanitari, sulla malnutrizione, denutrizione, obesità, ma hanno anche un impatto negativo sull'ambiente.

Un eccesso di grassi, dunque, fa male alla singola persona, ma pesa anche sulla collettività. Come migliorare? E quale impatto avrà una dieta meno satura di grassi sull'economia e sui sistemi agricoli? L'Outlook al 2031 parte dall'assunto che i grassi, come raccomandato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), "non devono superare il 30% dell'apporto calorico totale per prevenire un malsano aumento di peso nella popolazione adulta".

Lo scenario descritto esamina gli impatti sul mercato di una riduzione modellata del consumo totale di grassi nell'Ue da una situazione di base (2022-2031) al livello raccomandato dall'Oms. Il modello considerato ha previsto un calo della domanda alimentare per le materie prime che contribuiscono maggiormente all'apporto di grassi: olio di girasole, palma, soia e colza, burro, formaggio, latticini freschi e carne suina.

Gli alimenti più grassi diventeranno meno popolari; le calorie perse, e successivamente le proteine oi carboidrati persi, sono compensate parzialmente e solo attraverso aggiustamenti endogeni di mercato; non si presume che una domanda o un cambiamento dietetico simili si verifichino nel resto del mondo; quest'ultimo, tuttavia, si adegua agli shock della domanda dell'Ue imposti attraverso il commercio.

Il calo del consumo pro capite di burro, formaggio, carne suina, oli vegetali e latticini freschi comporta uno shock anche sui prezzi di mercato, mentre - secondo il report - l'elevata domanda di importazioni dal resto del mondo porta a un miglioramento dei saldi commerciali dell'Unione Europea in tutto. L'interscambio netto di tutti gli oli vegetali aumenta del 60%, pur rimanendo negativo. Le importazioni scendono dal 23% (olio di palma) al 60% (olio di colza) e le esportazioni aumentano del 40% (olio di semi di soia) fino all'incredibile 80% (olio di girasole), quest'ultimo presumibilmente trainato dalla crescente domanda di importazione dall'Asia e dal Medio Oriente.

Nello scenario, il consumo di carne suina cala del 19% (-3,5 milioni di tonnellate), un minimo storico, in parte compensato secondo le elaborazioni comunitarie dall'aumento delle esportazioni (+2,9 milioni di tonnellate, +78% rispetto al riferimento di base), grazie a prezzi competitivi su scala mondiale e a quote di mercato conquistate in Asia.
Tale scenario dovrebbe trascinare al ribasso (-3%) le produzioni Ue di carne suina, rispetto al livello di riferimento di 21,7 milioni di tonnellate.


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Più complesso il paniere lattiero caseario, che vedrà un aumento delle esportazioni di burro e formaggio particolarmente sensibile, stimato in termini assoluti su volumi nove volte maggiori rispetto alla diminuzione delle importazioni.
Giù anche le produzioni di latte (-2%) per una contrazione della domanda, che andrà a determinare una diminuzione della mandria (-2,5%).
Per la Polvere di Latte Scremato (Smp) si presume in diminuzione il consumo interno, la produzione e le esportazioni per effetto dell'aumento dei prezzi, con le principali aree di destinazione dell'export europeo (Africa e Medio Oriente) che sembrano più orientate a importare latte intero in polvere dai mercati globali.


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Gli impatti più importanti sui prezzi alla produzione dell'Ue si possono notare per il burro (-32%) e la carne suina (-15%), ma sono previsti in discesa anche i prezzi del latte (-6%) in conseguenza della minore domanda di prodotti lattiero caseari.

Giù anche i prezzi delle colture di semi oleosi del 5% per una minore domanda alimentare di oli e prezzi dei cereali in diminuzione del 3% per una minore domanda di mangimi.


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Uno spostamento potenziale e graduale verso un minor consumo di grassi nell'Ue, insomma, potrebbe portare a prezzi interni più bassi e a migliori saldi commerciali per le materie prime più grasse con un impatto piuttosto basso sulla produzione nazionale (fino a -13% nel caso del formaggio) e sulle calorie totali.
Allo stesso tempo, la riduzione del numero di capi da latte e di maiali potrebbe stimolare un calo delle emissioni totali di gas serra agricoli di 4 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (-1,2% rispetto al valore di riferimento).

Alcune precisazioni doverose. Innanzitutto, la potenziale crescente popolarità di diete più sane - e i relativi cambiamenti della domanda - potrebbe portare a un adattamento qualitativo del lato dell'offerta qui non previsto (ad esempio, gli animali possono essere allevati con più muscoli e meno grasso).
In secondo luogo, una potenziale scomposizione dei grassi totali in grassi saturi e insaturi potrebbe alterare l'entità degli shock della domanda e, quindi, i relativi impatti sul mercato.
Infine, se i grandi mercati di esportazione o di importazione seguissero un simile cambiamento nella dieta, le esportazioni comunitarie dei prodotti esaminati potrebbero essere inferiori rispetto a quanto ipotizzato nello studio.

La simulazione, è da chiarire, non riflette necessariamente l'opinione ufficiale della Commissione Europea (utente del modello Aglink-Cosimo) o dell'Ocse e della Fao (sviluppatori del modello).