Un fallimento? Un successo? Un passo avanti? Un evento storico per il riavvicinamento di Cina e Usa in un momento particolarmente complesso e vicino a quella che si può definire "Guerra fredda"? Ai posteri l'ardua sentenza sul Glasgow Climate Pact, l'intesa conclusiva della Conferenza Onu sul Clima, che ha tentato di mettere d'accordo oltre duecento Paesi con l'obiettivo di ridurre l'impatto sul clima, articolando le strategie su alcuni punti.

Li ricordiamo rapidamente. La Conferenza Onu sul Clima di Glasgow recepisce l'impegno a contenere l'aumento delle temperature medie ben al di sotto della soglia critica di 2° il più vicino possibile a 1,5° come previsto dall'accordo di Parigi del 2015 e come raccomandato in decine di report scientifici di agenzie internazionali.
L'accordo prevede anche di tagliare le emissioni nette di anidride carbonica del 45% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2010, per arrivare allo zero netto attorno alla metà del secolo. Si tratta di un compromesso perché punta al 2060 come Cina, Russia e Arabia Saudita o al 2070 come l'India.
La cover decision chiede di accelerare verso la riduzione graduale dell'utilizzo del carbone come fonte di energia, se non accompagnato da tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 emessa. Si è trattato, per la resistenza di Paesi come la Russia, l'India o la Cina di uno dei punti più sofferti del summit di Glasgow.

Viene ribadito l'impegno a favore delle economie a basso reddito, che avrebbero dovuto essere sostenute dai Paesi più avanzati secondo la strategia adottata nel 2009 e che prevedeva di mobilitare 100 miliardi di dollari l'anno a favore delle economie meno progredite. L'obiettivo avrebbe dovuto essere raggiunto nel 2020, ma ci si è fermati sotto i 90 miliardi di dollari l'anno.
Alcune resistenze anche per adeguare i piani climatici agli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti.

Ma i moniti dovrebbero essere degli efficaci deterrenti a proseguire sulla strada fino a qui percorsa e uno dei più accesi sostenitori di una svolta verde è il vicepresidente della Commissione Europea e responsabile del Green Deal, Frans Timmermans, fustigatore dei cattivi costumi al punto che, se potesse, ridimensionerebbe fortemente la Politica Agricola Comune, soggiogandola a vincoli produttivi virtuosi al limite della decrescita.

Fra il "bla bla bla" e la storia, il vertice di Glasgow sul clima menziona solo marginalmente l'agricoltura e non si capisce bene se è perché in chiave di impatto ambientale e aumento delle temperature globali - già aumentate di 1,1° rispetto ai livelli preindustriali, secondo il Panel Intergovernativo degli scienziati Onu sul Clima - sia stato finalmente riconosciuto che l'agricoltura ha minori responsabilità rispetto alle centrali a carbone, all'industria e ai trasporti oppure se è una "dimenticanza", che verrà saldata poi con misure specifiche contro il sistema rurale e la zootecnia in particolare.

C'è da augurarsi di no, ma è innegabile che anche l'agricoltura debba operare per fare la propria parte, a partire da una maggiore forestazione gestita direttamente dagli imprenditori agricoli (la lotta alla deforestazione è uno degli obiettivi, anche se fissato al 2030, mentre il rischio concreto è la perdita di biodiversità con una varietà su tre in pericolo).


Leggi anche
Dalla Cop26 uno stop alla deforestazione


Fra le pieghe del vertice Onu sul clima è emerso che 45 governi, guidati dal Regno Unito, si impegneranno ad investire complessivamente 4 miliardi di dollari in azioni per proteggere la natura e passare a sistemi agricoli più sostenibili.
Circa un quarto delle emissioni mondiali di gas serra viene dall'agricoltura, dalle foreste e da altri usi del terreno, e questo comporta la necessità di una riforma urgente del modo in cui si coltiva e si consuma il cibo, per fronteggiare il cambiamento climatico.

I 4 miliardi di dollari in investimenti pubblici che gli Stati si impegnano a mobilitare nell'innovazione agricola saranno spesi nello sviluppo di sementi resistenti al cambiamento climatico e in soluzioni per migliorare la salute del suolo, oltre che nel rendere disponibili queste innovazioni agli agricoltori di tutto il mondo.

Per Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, i risultati della Cop26 sono stati "inferiori alle aspettative dell'Unione Europea, ma non è stato un fallimento".
"L'accordo di Parigi non è stato rimesso in discussione - ha specificato Giansanti - ed è stato trattato in modo formale il problema della riduzione indispensabile delle energie fossili. Inoltre, non vanno sottovalutate le decisioni specifiche assunte da gruppi di Paesi, come nel caso del blocco della deforestazione".

"Le discussioni alla Cop26 hanno ribadito la funzione fondamentale delle energie rinnovabili e della cattura e trattenimento al suolo del carbonio. Il nostro settore è chiamato direttamente in causa per incrementare la produzione di biogas e biometano, facendo anche ricorso alle biomasse leggere e alle deiezioni animali" ha aggiunto il presidente di Confagricoltura. "Vanno accelerate le procedure per realizzare il piano del Governo che prevede l'aumento della capacità di energie da fonti rinnovabili in misura di 70 gigawatt nei prossimi nove anni, in cui l'agricoltura potrà svolgere un importante ruolo anche con lo sviluppo dell'agrisolare, sugli edifici ad uso produttivo, con l'agrivoltaico attraverso soluzioni innovative che prevedono sinergie positive tra la produzione agricola ed energetica e le comunità energetiche".

Per effetto del surriscaldamento "la temperatura nell'ultimo anno è già risultata superiore di oltre 1,1 gradi rispetto al periodo 1850-1900, considerato come rappresentativo del livello preindustriale a cui fa riferimento l'accordo". Lo ha affermato la Coldiretti sulla base dell'ultimo rapporto del Copernicus Climate Change Service C3S per il periodo da settembre 2020 ad ottobre 2021, in riferimento all'accordo raggiunto alla Cop26 sul contenimento del riscaldamento globale a 1,5 gradi.

La situazione non è migliore a livello nazionale dove il 2021 - ha sottolineato la Coldiretti - si classifica fino ad ora in Italia al dodicesimo posto tra i più caldi mai registrati con la temperatura superiore di 0,69 gradi rispetto alla media storica (1981-2010) secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Isac Cnr relativi ai primi dieci mesi dell'anno. Peraltro in Italia la classifica degli anni più caldi negli ultimi due secoli si concentra nell'ultimo periodo e comprende nell'ordine - precisa la Coldiretti - anche il 2018, il 2015, il 2014, il 2019 e il 2020.

"Siamo di fronte - sottolinea la Coldiretti - alle conseguenze dei cambiamenti climatici anche in Italia dove l'eccezionalità degli eventi atmosferici è ormai la norma, con una tendenza alla tropicalizzazione che si manifesta con una più elevata frequenza di manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi e intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo, che compromettono anche le coltivazioni nei campi con costi stimati che hanno già superato i 14 miliardi negli ultimi dieci anni tra perdite della produzione agricola nazionale e danni alle strutture e alle infrastrutture nelle campagne".

Un vertice in chiaroscuro per Cia-Agricoltori Italiani. A Glasgow sono state tradite molte speranze, ma anche compiuti passi importanti. Non è stato tutto un fallimento, ma occorreva fare di più anche sul fronte dei finanziamenti, ha detto Cia-Agricoltori Italiani.
"Il Glasgow Climate Pact - sottolinea Cia - non manca di incertezze, eppure contiene anche risultati forti, se si pensa alle differenze tra i 197 Paesi e alla complessità dell'accordo i cui lavori continueranno fino al prossimo incontro, a fine 2022 in Egitto. Di positivo, c'è l'attuazione dell'articolo 6 denominato 'Rule Book', cassetta degli attrezzi per realizzare i progressi dell'accordo sul clima e, rispetto al target, l'obiettivo confermato di mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi".


Leggi anche
Cop26, è tempo di passare dalle parole ai fatti