Il Parco della Reggia di Caserta si estende su una superficie di circa 120 ettari. Dal 1753 al 1773 la sua realizzazione vide la sistemazione, da parte dell'architetto Luigi Vanvitelli, della parte in piano più prossima al Palazzo costituita dal parterre, la prateria prospiciente la controfacciata del Palazzo circondata dai boschetti, e da quello che oggi viene chiamato "Bosco vecchio", un bosco di lecci che troviamo sulla sinistra della prateria. Inizia contemporaneamente anche la realizzazione dell'imponente Acquedotto carolino, infrastruttura di ingegneria idraulica necessaria all'approviggionamento idrico della Reggia e della nuova capitale del Regno di Napoli.
 
La parte in piano comprende oltre la prateria ed i boschetti circostanti, una peschiera grande, ampia vasca ellittica realizzata nel 1769. Dopo la morte di Luigi Vanvitelli avvenuta il 1° marzo 1773 la direzione dei lavori passò al figlio Carlo nel 1777. Il progetto di Carlo Vanvitelli era ridimensionato rispetto a quello paterno per sopraggiunte difficoltà economiche ed il numero delle fontane, ricche di gruppi scultorei, passò da 19 a sei. Fu conservato il lungo canale, previsto nel progetto originale, che si snoda ancora oggi per 3,3 chilometri chiamato "Via d'acqua".
 
La Via d'acqua nel Parco della Reggia di Caserta
La "Via d'acqua" nel Parco della Reggia di Caserta
(Fonte foto: Addolorata Ines Peduto - Pubblici Giardini)

 
Questo canale alterna grandi vasche, fontane e cascatelle ad ampi tratti di prato. Tale espediente, insieme alla pendenza del terreno, crea un artificio ottico per cui la strada appare più breve della sua effettiva lunghezza. Lungo la "Via d'acqua", salendo verso la monumentale cascata, in questo periodo dell'anno, alcuni arbusti regalano una fioritura abbondante e duratura. E' possibile ammirare già dall'inizio del mese di gennaio le infiorescenze dei viburni.

Il viburno tino (Viburnum tinus) o lentaggine, come viene chiamato comunemente, è una specie mediterranea, il cui areale è limitato alle coste del Mediterraneo, nell'area dell'olivo.
  Quando il mio sguardo si posa sulle infiorescenze, composte da piccoli fiorellini dalle corolle bianche o rosa, se devono ancora aprirsi, pregusto il momento in cui quelle infiorescenze diventeranno tanti minuscoli frutti di un colore insolito e cangiante, un blu metallico. Il viburno, affiancato al lauro e ad altri arbusti come lauroceraso, mirto, lentisco, fillirea, alaterno, corbezzolo, adorna molti giardini storici, posizionato vicino a statue o manufatti artistici.

Il nome viburno deriva dal latino viere, che significa legare o intrecciare perché un tempo erano realizzate ceste o fruste con i suoi rami flessibili. Nei giardini romani il viburno era messo a dimora perché pianta sacra e di buon augurio, come racconta una collega scomparsa alcuni anni fa, la biologa Annamaria Ciarallo, in Flora pompeiana antica - Guida all'Orto botanico della Casa Editrice Electa. Infatti lo ritroviamo raffigurato a Pompei nel bellissimo affresco della "Casa del bracciale d'oro", identificato proprio dalla Ciarallo nel 2006, grazie alle infiorescenze dalle corolle bianche, rosa ed ai frutti blu.
 
Il viburno nell’affresco della “Casa del bracciale d'oro” di Pompei
Il viburno nell'affresco della "Casa del bracciale d’oro" di Pompei
(Fonte foto:  Flora pompeiana antica - Guida all'Orto botanico, di Annamaria Ciarallo, Casa Editrice Electa)

Anche il poeta romano Virgilio, nel suo poema le Georgiche incentrato sulle attività agricole, parla del viburno e consiglia di piantare timo e viburno, piante che producono abbondante nettare, vicino agli alveari per attirare le api. Il viburno in natura è diffuso ai margini dei boschi di latifoglie, come quelli di leccio (Quercus ilex), molto comuni nella foresta mediterranea.
 
Addolorata Ines Peduto
Associazione Pubblici Giardini
Delegazione Regione Campania

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