Se è vero che il futuro dell'agricoltura sarà 4.0, allora i dati diventeranno un asset strategico indispensabile alle aziende agricole per produrre in maniera profittevole e sostenibile. I dati possono provenire da diverse fonti, come ad esempio i satelliti, oppure dalle centraline meteo o ancora dai sensori montati su trattori e attrezzature. Ma saranno sempre più necessari sensori distribuiti al suolo e sulle piante che siano in grado di raccogliere dati puntuali e costanti, in modo da permettere all'agricoltore di prendere decisioni consapevoli e tempestive.

Oggi esistono già molteplici sensori da applicare in campo, eppure si tratta di apparecchiature di non sempre facile utilizzo, che devono essere tarate, controllate periodicamente e che necessitano di batterie per funzionare, nonché di un sistema di comunicazione per trasmettere i dati. Il futuro però potrebbe riservare innovazioni sorprendenti.

Un gruppo di ricerca internazionale, guidato dall'Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova, sta infatti mettendo a punto dei sensori ispirati ai semi delle piante. Quindi di piccolissime dimensioni, biodegradabili e capaci di disperdersi in maniera autonoma all'interno dell'ambiente. Il progetto è coordinato da Barbara Mazzolai, dell'Iit, e coinvolgerà cinque partner europei provenienti da Italia, Germania, Paesi Bassi e Cipro. Sul fronte italiano sono coinvolti anche l'Istituto di biorobotica della Scuola superiore Sant'Anna e l'Istituto sull'inquinamento atmosferico (Iia) del Cnr.


Sensori come semi

Maggiore è il numero di sensori presenti in campo più puntuale e quindi affidabile è il dato su cui si basano poi le decisioni agronomiche. Ma oggi avere molti sensori è dispendioso nonché logisticamente impraticabile. L'idea è dunque quella di creare tanti piccoli sensori di dimensioni minuscole che possano essere sparsi sui campi o in aree naturali, attraverso l'utilizzo del drone. E a fine vita queste micro sentinelle verranno degradate dai batteri presenti nell'ambiente e non lasceranno alcun tipo di inquinante.

I ricercatori stanno lavorando su due tipologie di robot: I-Seed Ero e I-Seed Sam, ispirati ai semi di due differenti piante, Erodium cicutarium e l'olmo (il cui frutto è una samara). Il primo è un sensore di forma elicoidale, come un cavatappi insomma, che una volta rilasciato al suolo riesce a penetrare nel terreno proprio come fosse la punta di un trapano e da lì invia dati su temperatura, umidità, presenza di inquinanti oppure di sostanze nutritive. La pianta a cui si spira infatti produce dei semi che quando cadono al suolo ruotano su se stessi e penetrano nel terreno per garantire le migliori condizioni di sviluppo della plantula.


I-Seed Sam è invece un robot ispirato all'olmo, un albero i cui semi sono capaci di percorrere grandi distanze "volando" nell'aria grazie ad una piccola ala. Anche in questo caso i mini sensori raccoglieranno dati su temperatura, umidità, presenza di gas inquinanti nell'atmosfera e li invieranno ad un gateway in grado di raccogliere flussi di dati da diverse fonti e di caricarli in cloud.

Si tratta, è bene dirlo, di un progetto sperimentale, che dovrà affrontare un gran numero di incognite e di difficoltà. Ma è certo che in futuro l'agricoltura avrà sempre più bisogno di dati e quindi di sensori e l'Italia, con questa ricerca, potrà godere di importanti basi scientifiche su cui poi sviluppare servizi innovativi per gli agricoltori.

A guidare il team di ricerca c'è una ricercatrice italiana di fama internazionale, Barbara Mazzolai, che avevamo incontrato durante una passata edizione del Mantova Food and science festival. In quell'occasione Barbara Mazzolai aveva presentato il Plantoide, un robot in grado di costruire la propria struttura imitando il comportamento delle radici delle piante. Un robot quindi in grado di allungarsi all'interno di un substrato e di raccogliere informazioni. Un robot che potrebbe essere impiegato in medicina in quanto potenzialmente in grado di svilupparsi in tessuti molto delicati, com'è il cervello umano, per raccogliere informazioni o per effettuare degli interventi di microchirurgia.

In fondo, come disse in quell’occasione Barbara Mazzolai, la natura può essere di grande ispirazione per sviluppare nuove tecnologie proprio perché le piante hanno affrontato milioni di anni di durissima selezione naturale.