A volte, soprattutto quando si condividono appieno delle opinioni, bisogna prestarsi a fare da cassa di risonanza.
L'opportunità ci è offerta da un articolo dell'amico Andrea Sisti, grande agronomo e grande esperto di tematiche legate all'olio di oliva. In un recente intervento su Teatro Naturale, Andrea si interroga sugli obiettivi da realizzare nei prossimi dieci anni per l'Italia olivicola. Il nostro paese vede nell'olivo uno straordinario elemento competitivo – non parliamo di prodotto ma anche di un elemento caratterizzante il paesaggio e soprattutto il marketing territoriale –quindi qualche cosa che vale molto di più.

E' necessario vedere il settore olivicolo come un settore strategico secondo un concetto molto ben ribadito dall'autore: "non si deve vendere olio ma vendere la cultura dell'olio". Questo si guardi bene è un concetto italiano. Chi ha visitato nuovi impianti in California o in Australia può capire quanto l'Italia sia imitata, talvolta scimmiottata. L'approccio proposto parte dal vivaismo, che va rilanciato sostenendo una stagione di rinnovamento degli oliveti, quindi pensare a operazioni di estirpazione e reimpianto. E poi passare a una olivicoltura 4.0, favorendo nel contempo il ruolo paesaggistico dell'olivo, aumentare gli oliveti biologici (l'obiettivo, non certo impossibile, è il 40% della produzione) e nuove tecniche culturali che favoriscano la biodiversità (inerbimenti, consociazioni…).

Last but not least: i frantoi. Che devono essere centri di innovazione, attivi non solo due mesi all'anno. Infine puntare sull'oleoturismo, cercando di effettuare operazioni integrate di marketing territoriale e agroalimentare soprattutto su scala internazionale. Non dimentichiamo che consumatori di tutto il mondo cercano l'elisir di lunga vita. E noi lo abbiamo.