Trey Hill è un agricoltore del Maryland, negli Stati Uniti, che produce mais, erba medica, segale e altre colture nell'area di Chesapeake Bay. Lo scorso anno ha guadagnato 115mila dollari vendendo sul mercato crediti di carbonio equivalenti ad 8mila tonnellate di anidride carbonica, con un prezzo medio ad azione di 16,5 dollari.

Kelly Garrett è un altro agricoltore statunitense, questa volta dell'Iowa, che ha guadagnato oltre 341mila dollari vendendo crediti di carbonio generati nella propria azienda agricola. Nei terreni aziendali Garrett ha infatti sequestrato circa 23mila tonnellate di anidride carbonica. Per dare un termine di paragone un automobilista medio immette in atmosfera circa 26 tonnellate di anidride carbonica all'anno (130 grammi/chilometro per 20mila chilometri/anno).

I ricavi della vendita dei crediti serviranno agli agricoltori per ritornare degli investimenti fatti e acquistare nuove attrezzature, nonché a generare un interessante margine di profitto che oggi è sempre più difficile da ottenere con le attività agricole.


Il carbon market, cos'è e come funziona

L'adozione di alcune tecniche colturali, come l'agricoltura blu, è in grado di arricchire i terreni agricoli di anidride carbonica sequestrata dall'atmosfera e immobilizzata nel sottosuolo sotto forma di biomassa. Minore CO2 nell'aria significa una riduzione dell'effetto serra con ricadute positive a livello globale.

I crediti di carbonio non rappresentano altro che l'anidride carbonica sequestrata dagli agricoltori nei propri terreni aziendali e vengono venduti sul mercato come delle azioni, comprate da quelle aziende che vogliono mitigare la propria impronta ambientale.

Ma come fare a generare e a vendere i crediti? Negli Stati Uniti si stanno moltiplicando le startup che sviluppano piattaforme proprio a questo scopo. Trey Hill si è ad esempio affidato a Indigo, una startup con sede a Boston che ha messo a punto uno standard per misurare il sequestro di carbonio nel suolo. Lo stesso ha fatto Nori, startup basata a Seattle a cui si è rivolto Kelly Garrett, che a sua volta ha identificato una metodologia per misurare la CO2 gestita dagli agricoltori.

Fornendo dati alle rispettive piattaforme Hill e Garrett si sono visti riconoscere dei crediti di carbonio che poi hanno venduto, sempre attraverso le startup, ad aziende interessate. Colossi del calibro di Barclays, JPMorgan Chase, Shopify, Ibm, Boston Consulting Group e altri ancora.


Il digitale al centro della svolta

In questo contesto è indubbio che le piattaforme digitali giocano un ruolo importante in quanto da un lato mettono gli agricoltori nelle condizioni di calcolare il carbonio sequestrato e dall'altro costruiscono rapporti di fiducia con le aziende che devono aprire il portafogli per mitigare la propria impronta ambientale.

Si tratta di un business miliardario che sta attirando investitori da più parti e nel quale potrebbe entrare anche l'amministrazione Biden, che sta pianificando la realizzazione di una Banca del carbonio per gestire il mercato e porsi come ente pubblico a garanzia di tutto il processo, dalla certificazione alla vendita dei crediti.
 
Le esperienze di Hill e Garrett tuttavia rappresentano un'eccezione perché come sottolineato dal report Transformative investment in climate-smart agriculture, pubblicato da US Farmers & ranchers in action (una associazione di categoria americana), nella maggior parte dei casi gli agricoltori non hanno né le conoscenze né gli strumenti, né tantomeno la disponibilità economica per avventurarsi in questo nuovo business.


Le barriere all'ingresso nel mercato del carbonio

Prima di tutto occorre considerare che per sequestrare carbonio nel suolo occorre adottare pratiche colturali che richiedono l'acquisto, nella maggior parte dei casi, di nuove attrezzature e che spesso portano ad un calo della produttività dell'azienda.

È il caso ad esempio della semina su sodo che da un lato rispetta il terreno, non invertendo gli strati di suolo, dall'altro però richiede seminatrici particolari e quantomeno nei primi anni di adozione porta ad un calo della produzione. Ogni azienda agricola è unica e deve dunque valutare il costo-opportunità di intraprendere questo nuovo business, considerando anche l'indirizzo aziendale e la tipologia di suoli che caratterizza i propri terreni.

C'è poi un tema di investimento. Oggi le aziende agricole statunitensi sono fortemente indebitate e strutturarsi per entrare nel mercato dei crediti di carbonio richiede nuovi investimenti che non sempre sono possibili. Da qui l'idea dell'amministrazione Biden di sviluppare una banca che sia in grado di anticipare agli agricoltori i fondi necessari a rendere più agevole la transizione verso un'agricoltura sostenibile.

C'è infine il tema della digitalizzazione delle aziende agricole. La stima del carbonio sequestrato nel terreno (su cui è in corso un acceso dibattito) viene fatta sulla base di dati raccolti da sensori al suolo e sulle attrezzature. Dati che devono essere immagazzinati e trasmessi dagli agricoltori alle piattaforme digitali che si occupano dei calcoli e dell'emissione dei crediti. Si tratta dunque di un mercato aperto ad aziende agricole innovative, digitalizzate e connesse che tuttavia rappresentano solo una piccola percentuale delle aziende americane.

Le piattaforme di digital farming si stanno già muovendo in questo senso. La canadese FarmersEdge ha annunciato di stare lavorando su un tool per calcolare il carbonio sequestrato. Mentre la statunitense Farmer business network si sta focalizzando sul calcolo delle emissioni relative alle varie attività colturali. E ogni giorno nascono nuove startup pronte a guadagnare su questo emergente mercato.