L'olivicoltura italiana si trova in una fase di transizione e deve fare i conti con diversi fattori di cambiamento. Da un lato il dilagare della Xylella fastidiosa ha messo in ginocchio una parte importante del territorio pugliese e minaccia l'intero comparto del Sud Italia. Dall'altro modelli di produzione antiquati rendono i costi di produzione italiani non competitivi rispetto a quelli di altri Paesi, europei e non.

Certo, la qualità dell'olio extravergine di oliva italiano è mediamente superiore rispetto a quella dei competitor internazionali, ma se l'olio non è valorizzato sul mercato e quindi pagato di più dal consumatore finale, la qualità non basta a mantenere in attivo i conti aziendali. Il lato positivo è che i consumi domestici superano di gran lunga la produzione nazionale e questo significa che il mercato c'è, come anche quello estero, che ogni anno cresce di qualche punto percentuale.

Tutte le notizie sull'olivo


I fattori di debolezza dell'olivicoltura italiana

Il report di Ismea "La competitività della filiera olivicola" pubblicato a dicembre 2020 identifica alcuni elementi di debolezza del comparto olivicolo italiano.
Tra i quali:
  • Frammentazione delle aziende olivicole la cui dimensione media è di 1,8 ettari. Superfici ridotte significano meno capacità di investire e una incidenza più elevata degli ammortamenti. Un conto ad esempio è ammortizzare l'acquisto di un trattore su 20 ettari, altra cosa è farlo su 2.
  • Invecchiamento dell'età del conducente. Per ogni olivicoltore sotto quaranta anni ce ne sono undici che ne hanno più di sessantacinque. E come si legge nel report le aziende guidate da giovani sono più redditizie.
  • Elevato numero di olivicoltori hobbisti, pari alla metà delle aziende agricole, che producendo per autoconsumo o per un ristretto numero di clienti non sono incentivati a migliorare la produttività. Spesso si tratta infatti di aziende in perdita, in cui l'aspetto ricreativo e culturale sovrasta quello produttivo.
  • Un numero elevatissimo di frantoi. In Italia sono 4.800 contro i 1.700 della Spagna che pure produce più olio.
  • Scarsa produttività degli impianti, spesso gestiti non in irriguo e con metodologie antiquate.

Tutti questi fattori fanno sì che l'olivicoltura italiana sia poco competitiva a livello internazionale e che gli olivicoltori italiani lavorino sul filo del pareggio di bilancio e che in annate di scarica vadano addirittura in rosso. Bisogna dunque aumentare la produttività degli oliveti, abbassare i costi di produzione e cercare di spuntare prezzi migliori sul mercato.


Cinque modi per aumentare la produttività dell'oliveto

Il report di Ismea prende in considerazione cinquanta aziende olivicole sparse per tutta Italia e rappresentative del tessuto produttivo nostrano. Per quanto riguarda l'analisi dei costi rimandiamo a questo articolo in cui si analizzano i vari fattori di produzione. Nel presente invece ci vogliamo soffermare su quali sono gli elementi su cui intervenire per aumentare i margini di guadagno.

Ecco dunque cinque modi per abbattere i costi di produzione, aumentare la produttività di olive e spuntare un prezzo migliore sul mercato.


Irrigazione

Irrigare le piante di olivo ha un costo che riguarda principalmente la realizzazione dell'impianto e il reperimento della risorsa idrica tramite pozzi o accedendo alla rete idrica. Tuttavia irrigare permette di avere produzioni costanti anche in annate in cui le precipitazioni atmosferiche sono scarse e consente di adottare la tecnica della fertirrigazione, che diminuisce i costi di applicazione dei fertilizzanti e permette un uso mirato dei concimi.

Dal report Ismea risulta che le aziende irrigue dichiarano un ricavo medio derivante dalla vendita delle olive e dell'olio di 3.968 euro/ettaro, mentre le imprese che non effettuano l'irrigazione dichiarano ricavi lievemente inferiori, pari in media a 3.617 euro/ettaro.

Se invece si vanno a guardare i costi negli oliveti non irrigui, i costi variabili ammontano a 2.911 euro/ettaro, contro i 2.244 di quelli irrigui. Questi ultimi spendono meno in gasolio (non dovendo usare il trattore per concimare) e in manodopera, nonché in contoterzismo (vendendo di solito le olive al frantoio senza molirle).
 
Tabella: Campagna olivicola 2019-2020 non irriguo e irriguo

Risulta dunque evidente che fare un investimento su un impianto di irrigazione è una delle strade per aumentare e stabilizzare la produttività dell'oliveto, contenendo al contempo i costi di produzione.


Olio bio e Igp

L'Italia conta quarantotto oli riconosciuti dall'Unione europea: quarantadue Dop e sei Igp. Nonostante questo nel complesso le denominazioni protette pesano appena il 2-3% della produzione nazionale. Inoltre solo il 7% delle aziende (con il 18% delle superfici) è condotto in regime di biologico.

Se guardiamo alle Indicazioni geografiche protette i motivi di questa scarsa diffusione vanno ricercati nei prezzi. A parte l'olio Igp Toscano e quello Siciliano le altre denominazioni non spuntano prezzi superiori all'olio extravergine di oliva normale. Da questo punto di vista dunque un aumento dei ricavi nel breve periodo per chi intendesse percorrere questa strada è improbabile, a meno di investimenti importanti sul fronte della comunicazione e del marketing.

Un'opportunità più facile da cogliere riguarda il biologico. Oggi tutti i Psr incentivano la conversione all'agricoltura biologica e regioni come la Calabria sono molto generose nel sostenerla. E anche i prezzi di vendita di olio e olive sono superiori in media: si pensi ad esempio che l'olio bio è pari all'11% delle produzioni nazionali, ma pesa per il 15% del valore.
 
Tabella: Campagna olivicola 2019-2020 delle aziende bio e convenzionali

Se si guarda però ai costi di produzione risulta che i costi variabili pesano sui ricavi di vendita delle aziende olivicole biologiche per il 74%, determinando un margine operativo lordo di circa 1.041 euro/ettaro. Nelle imprese convenzionali, invece, il totale dei costi variabili incide sui ricavi per il 63% e il Mol, Margine operativo lordo, è pari a 1.327 euro/ettaro.

La produzione di olio bio risulta quindi non conveniente se non si considerano gli aiuti Pac. Ma ogni azienda dovrebbe fare i propri calcoli perché i prezzi di vendita delle olive e dell'olio bio sono molto variabili a seconda dell'areale. In Sicilia ad esempio le olive bio arrivano a 0,90 euro al chilo, contro i neppure 50 centesimi della Puglia.


Densità di impianto

L'Italia è caratterizzata da due tipologie di impianto: tradizionale, con meno di 250 piante ad ettaro, e intensivo, con oltre 250 piante. E' invece scarsamente rappresentato il superintensivo, che prevede 600-800 piante ad ettaro.
 
Le aziende con impianto intensivo hanno un ricavo medio dalla vendita delle olive e dell'olio pari a 4.413 euro/ettaro, mentre chi ha impianti tradizionali si ferma a 3.328. E' vero però che i costi di gestione degli impianti intensivi sono maggiori, soprattutto a livello di manodopera (2.004 contro 1.567) ed energia (383 contro 182). In ogni caso gli impianti intensivi sono più redditizi, in media, di circa 180 euro/ettaro.

Tabella: Campagna olivicola 2019-2020 delle aziende con impianti di tipo intensivo e tradizionale

Rinnovare l'impianto in un'ottica intensiva o superintensiva può dunque rappresentare una opportunità. Soprattutto se si considera che il 61% della superficie investita a olivi, pari a oltre 652mila ettari, ha un'età pari a cinquanta anni o più. All'opposto, solo il 3% della superficie ha una età inferiore a undici anni.


Vendere le olive o l'olio?

E' più conveniente vendere le olive al frantoio oppure l'olio d'oliva? A questa domanda non è facile dare una risposta perché le variabili in gioco sono molte. Chi vende direttamente le olive incassa meno, ma non deve sobbarcarsi i costi di molitura e di stoccaggio dell'olio, inoltre incassa prima i soldi. Chi invece vende il prodotto olio ha maggiori chance di guadagno, ma solo se è in grado di piazzare sul mercato l'olio nel breve periodo e ad un pezzo remunerativo.

Tabella: Campagna olivicola 2019-2020delle aziende che vendono prevalentemente olio o prevalentemente olive

In Puglia ad esempio agli olivicoltori conviene vendere direttamente le olive e incassare subito il corrispettivo, mentre in Toscana o in Veneto l'alto valore aggiunto dell'olio e la relativa scarsità di prodotto sul mercato portano gli olivicoltori a prediligere la vendita del prodotto finito.

Il totale dei costi variabili incide sui ricavi di vendita delle aziende che commercializzano prevalentemente olio extravergine di oliva per il 72%, determinando un Margine operativo lordo di circa 1.142 euro/ettaro, mentre in quelle che vendono principalmente olive i costi variabili pesano sui ricavi per il 62% e il Mol è pari a 1.257 euro/ettaro.


La meccanizzazione delle operazioni colturali

La manodopera è il costo che incide maggiormente sul bilancio delle aziende olivicole. Le attività che assorbono la maggior parte di ore sono la potatura degli olivi e la raccolta delle olive. Sul primo fronte si può fare poco, a meno di non avere un impianto superintensivo, dove anche la potatura è meccanizzata.
Sul fronte della raccolta delle olive invece i dati ci mostrano come le imprese che effettuano una raccolta completamente meccanizzata (con scuotitori) in media ricavano dalla vendita 3.589 euro/ettaro, il 13% in meno delle aziende che utilizzano strumenti agevolatori (4.103 euro/ettaro).

Ma se si vanno a guardare i costi di produzione il meccanizzato vince sul manuale. Nel primo caso infatti la manodopera costa 1.319 euro, nel secondo 2.146. Ecco così che a fine anno nell'azienda meccanizzata rimangono in cassa 1.421 euro ad ettaro, nella manuale 1.009 euro.