Lo sappiamo, l'agricoltura deve diventare più sostenibile e garantire cibo sano e a basso prezzo ad una popolazione in aumento. Per vincere questa sfida spesso viene invocato l'impiego di due strumenti a disposizione degli agricoltori: il precision farming e il digital farming. Insieme queste due tecnologie (l'agricoltura 4.0) sarebbero in grado di ottimizzare l'impiego degli input produttivi, consentendo un aumento delle produzioni e una maggiore sostenibilità del settore primario.

Ma è davvero così? In un interessante paper dal titolo "Digital agriculture to design sustainable agricultural systems" (scritto dal professore Bruno Basso della Michigan State University) apparso su Nature sustainability si conferma che l'innovazione tecnologica è in grado di rendere effettivamente l'agricoltura più sostenibile e produttiva, a patto che venga utilizzata in maniera corretta.
 


Precision farming e sprechi

Il principio cardine su cui si basa l'agricoltura di precisione è la gestione della variabilità in campo. Campo che non viene più considerato come omogeneo ma composto da aree di suolo differenti e come tali da gestire grazie all'impiego di mappe di prescrizione e attrezzature a rateo variabile.

Un esempio classico riguarda la semina del mais. Nelle aree di campo fertili l'agricoltore "preciso" seminerà più piante al m2, sette-otto e perfino dieci se l'ibrido lo consente. In quelle scarsamente fertili, magari a causa di una vena di ghiaia, la densità scenderà a quattro-cinque piante per m2.

Lo stesso vale per la fertilizzazione. Dove ho seminato ad alte densità dovrò sostenere la produttività concimando adeguatamente, dove invece la densità è bassa dovrò usare meno fertilizzante, accettando di non poter avere produzioni elevate. Alcuni agricoltori tuttavia fanno l'esatto contrario, aumentando le dosi nelle aree a bassa vigorìa nella speranza di aumentare la produttività.

Il risultato è che a fronte di un aumento trascurabile della granella raccolta si hanno impatti ambientali negativi elevati, visto che l'azoto scarsamente impiegato dalla coltura e non trattenuto dal suolo percola finendo nella falda o viene trascinato via dalle piogge contaminando le acque superficiali.

Quando si parla di ottimizzare l'uso degli input produttivi grazie all'agricoltura di precisione ci si riferisce proprio a questo. In quale porzione di suolo il rapporto tra azoto impiegato e biomassa prodotta sarà massimo? In quelle aree l'agricoltore dovrà investire, tenendo sempre conto dei vincoli massimi di produttività.

Come sanno bene gli agricoltori l'obiettivo non deve essere massimizzare le rese, quanto il profitto. E impiegare fertilizzanti in aree in cui il rapporto suolo-ibrido è poco performante significa investire male i propri soldi, specialmente se si considera l'impatto ambientale.


Genotipo-ambiente, il ruolo dell'agricoltura digitale

Ogni varietà coltivata, come ad esempio un ibrido di mais, risponde in maniera unica al contesto ambientale in cui si sviluppa. La tipologia di suolo, i nutrienti che contiene, l'andamento climatico, la disponibilità di acqua, la gestione agronomica e altre variabili influenzano in maniera sensibile la produttività della coltura.

Grazie all'impiego delle immagini satellitari, alla sempre maggiore diffusione delle attrezzature smart e di tutti i sensori in grado di raccogliere dati in campo, la relazione genotipo-ambiente è sempre più definita e questo può avere ripercussioni interessanti sulla gestione dei campi.

Grazie all'intelligenza artificiale si è oggi in grado di analizzare questa mole enorme di dati (big data) che mettono in relazione genotipo e ambiente per suggerire ad ogni agricoltore, date le caratteristiche del proprio campo, qual è la coltura e la varietà più adatta al singolo appezzamento e la modalità più corretta di gestione.

La giusta coltura (e varietà) per il giusto campo. Ma gli agricoltori devono essere pronti anche a cambiare radicalmente il proprio indirizzo colturale. Già, perché non è detto che in un campo dove si è sempre fatto mais convenga continuare a coltivare granturco. Magari è più sostenibile dal punto di vista economico e ambientale dedicarsi ad altro. Nei campi a bassa produttività ad esempio potrebbe rivelarsi vincente produrre biomassa per la produzione di energia.

È ovvio che in questo nuovo scenario, reso possibile dal paradigma 4.0, occorre che l'agricoltore modifichi il suo approccio al campo, ma è anche necessario che la politica incentivi l'adozione di pratiche virtuose e scoraggi quelle attività che producono esternalità negative non giustificabili.