Il ministro delle Politiche agricole lancia un primo segnale sulla questione della eventuale revisione dei criteri di riparto del Fondo europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale e del Next generation EU sui Programmi di sviluppo rurale 2014-2020 protratti al 2021-2022, e sembra essere a favore delle regioni del Sud. "Nell'incontro conclusosi poco fa il ministro Stefano Patuanelli ha lanciato un chiaro segnale di disponibilità e di apertura alla collaborazione. Si è trattato di un confronto franco e decisamente positivo". Così ieri sera l'assessore all'Agricoltura, allo sviluppo rurale e alla pesca mediterranea della Regione Siciliana, Toni Scilla, al termine della prima riunione conoscitiva convocata dal neoministro Patuanelli in modalità videoconferenza, alla quale Scilla ha partecipato con i direttori Dario Cartabellotta e Alberto Pulizzi. "Diversi i temi posti all'attenzione del ministro, primo fra tutti la questione dell'applicazione del regime transitorio per gli anni 2021 e 2022 rispetto al Programma di sviluppo rurale" ha aggiunto Scilla.

Si tratta di un segnale importante, poiché il riparto delle risorse dovrà essere deciso con un accordo in Conferenza Stato-Regioni tra il Mipaaf e i presidenti degli enti territoriali e c'è a questo punto un contraente di peso contro la soluzione proposta dalle regioni del Nord di una sostanziale riduzione delle risorse del Feasr per i Psr del Sud.

Il tentativo delle regioni del Centro-Nord Italia di ottenere molti più fondi Ue per i Psr nel periodo transitorio 2021-2022 dal Feasr e dal NgEU - una torta da circa 3,9 miliardi di euro - aveva subito una prima battuta d'arresto il 26 gennaio scorso nella Commissione politiche agricole della Conferenza Stato-Regioni.

Non era passata la proposta dell'assessore alle Politiche agricole della Regione Campania, Nicola Caputo, formulata a nome delle regioni del Sud, ma le regioni del Centro-Nord, finite sotto il fitto fuoco di sbarramento di Basilicata, Campania, Puglia, Sicilia e Calabria con l'appoggio della Regione Umbria, pur in maggioranza, non erano pervenute al voto. Le proposte di riparto erano state poste poi al vaglio della Conferenza dei presidenti di Regione, senza che si fosse poi deciso alcunché per effetto della crisi di Governo.

Le cinque regioni meno sviluppate, che avevano sottoscritto un documento, dove propongono di rinviare la decisione sui criteri di riparto del Feasr al periodo di programmazione 2023-2027, nel quadro di una ampia ridiscussione di tutta la regolamentazione nazionale della Politica agricola comune, con l'applicazione del criterio basato sul principio di competitività proposto da Veneto ed Emilia-Romagna, perderebbero la metà dei fondi europei rispetto all'applicazione del criterio storico corretto del 2014. Con l'aggravante che in tal caso rimarrebbero alle regioni del Nord anche possibili congrue quote di cofinanziamento nazionale - di Stato e regioni - pensate nel 2014 per compensare parzialmente la maggiore generosità del Feasr verso le regioni del Sud.

Un trasferimento netto delle future risorse di Feasr e NgEU da Sud a Nord contrario non solo all'invarianza normativa del Regolamento (Ue) 2013/1305 - che fissa precisi tetti massimi di partecipazione del Feasr alla spesa pubblica dei Psr - stabilita nel Regolamento della transizione (Ue) 2020/2220. Ma in netto contrasto anche all'obiettivo del 34% di fondi pubblici da destinare al Sud fissato dalla legge 27 febbraio 2017 n 18, avente per oggetto gli "Interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento a situazioni critiche in alcune aree del Mezzogiorno". Attualmente le regioni meno sviluppate totalizzano il 40,1% delle risorse tra Feasr e cofinanziamento nazionale, in virtù proprio dei vigenti principi di riequilibrio territoriale della spesa pubblica.