Quando si parla di agricoltura cinese il rischio di cadere nei luoghi comuni è elevato. La forma di governo della Repubblica popolare cinese non ama ingerenze esterne (come qualsiasi Stato), ma molto spesso comunica all'esterno solo parzialmente. Questo vale anche per l'agricoltura, il cui modello produttivo appare per molti aspetti diametralmente opposto a quello occidentale. Ciò non significa che sia migliore o peggiore di altre scelte. Molto semplicemente, è un modello socio-economico e produttivo diverso.

La Cina ha il sistema agricolo più grande del mondo, frutto di oltre 200 milioni di piccole unità agricole. Gli agricoltori, utilizzando appena il 10% della superficie coltivata del pianeta, generano il 20% della produzione alimentare mondiale.

Per orientarsi e comprenderlo meglio è utile leggere il libro Agricoltura e contadini nella Cina d'oggi (Donzelli editore, pagg. 164, euro 28), scritto da Jan Douwe van der Ploeg, professore di Sociologia rurale all'Università di Wageningen e alla China agricultural University di Pechino.
"L'esperienza cinese mette in luce in maniera convincente - scrive l'autore - che è possibile coniugare crescita agricola e riduzione della povertà; è possibile coinvolgere l'intera popolazione rurale in processi di transizione riforme agrarie incluse tali da ottenere aumenti della produzione, redditi più elevati e campagne più vivibili".

L'intensificazione basata sul lavoro può raggiungere risultati produttivi comparabili, se non superiori, a quelli ottenibili tramite l'intensificazione basata sulla tecnologia - si legge nell'analisi di Jan Douwe van der Ploeg -; la migrazione dalle campagne non implica necessariamente un indebolimento dell'agricoltura, a condizione che essa sia inserita in un processo circolare che mette in collegamento l'economia rurale a quella urbana.
La multifunzionalità non è un "lusso" che solo i paesi ricchi possono permettersi e, anzi, nei paesi in via di sviluppo essa può essere un potente veicolo per il rafforzamento dell'agricoltura contadina e dei contadini.

Le metropoli non hanno bisogno necessariamente di grandi aziende agricole per il loro approvvigionamento alimentare - emerge dal modello cinese - ma possono essere rifornite anche da contadini e piccole fattorie, a condizione che esista un'adeguata struttura di marketing.
La presenza di mercati integrati in un'idonea infrastruttura socio-materiale è preferibile rispetto a mercati egemonizzati da catene del valore.
Inoltre, come elemento comune a moltissime altre condizioni umane, "l'aspirazione delle famiglie contadine all'emancipazione è il principale motore per una crescita agricola duratura e per la sicurezza alimentare".

"L'agricoltura contadina non è stagnante" tiene a precisare il professor Jan Douwe van der Ploeg. "Essa si rinnova costantemente. E non è la dimensione dell'attività agricola la questione decisiva, ma è importante ciò che viene fatto con la ricchezza sociale prodotta dall'agricoltura".
Attraverso metodologie di lavoro intensive e sostenibili, infatti, le piccole aziende agricole possono conseguire elevati livelli di produzione e produttività; se le relazioni tra città e campagna sono favorevoli, possono anche generare redditi accettabili.

Insistere sul fatto che determinate aziende agricole siano "troppo piccole", afferma l'autore del libro, è "una posizione meramente ideologica e tale visione ignora la duttilità sia dell'agricoltura sia delle relazioni tra l'agricoltura e il resto dell'economia".
Anche perché, la storia cinese recente dimostra che una iniziale distorsione a vantaggio delle città può essere convertita in una politica di sostegno all'agricoltura.

Titolo: Agricoltura e contadini nella Cina d'oggi
Autore: Jan Douwe van der Ploeg
Editore: Donzelli editore
Pagine: 164
Prezzo: euro 28,00