L'agricoltura ha bisogno di innovazione. La sfida dei cambiamenti climatici, le richieste della Gdo, i paletti normativi e le turbolenze di mercato hanno reso il lavoro degli agricoltori difficile. E l'innovazione sembra essere l'unica chiave per risolvere la complessa equazione di produrre di più con meno.

Ma innovare è un processo costoso, rischioso e difficile da portare a termine da soli. E così, come confermato anche dal report The stage of global FoodTech, il paradigma di Open innovation si sta ormai diffondendo tra tutte le grandi aziende. E Bayer non è da meno.
 
La multinazionale tedesca, che ha una robusta pipeline di innovazioni sia a livello di sementi, che di agrofarmaci e di digital solutions, ormai da alcuni anni ha creato un vero e proprio 'ecosistema dell'innovazione' grazie a rapporti con startup, Pmi e centri di ricerca.

"Nessuno può farcela da solo e oggi più che mai occorre fare lavoro di squadra per fornire agli agricoltori soluzioni sempre più performanti", racconta Bob Raiter, a capo della Ricerca e sviluppo di Bayer Crop Science, che abbiamo avuto modo di intervistare a margine del ciclo di eventi Future of farming dialogue.

Bayer ha stretto accordi con società come Pairwise, Broad Institute e Meiogenix ad esempio per accelerare l'innovazione dal punto di vista della genetica. E con il suo fondo di investimento Leaps by Bayer ha creato nuove società, come ad esempio Unfold, attiva nello sviluppo di sementi per le vertical farm, o ha investito in startup esistenti, come Rantizo, attiva nell'applicazione di agrofarmaci tramite drone.

Ma che cosa cerca Bayer in una startup o in una azienda?
"Lavoriamo con due tipologie di soggetti. Società che hanno sviluppato tecnologie abilitanti, che ci permettono di fare meglio il nostro lavoro. Oppure aziende che operano in settori in cui ancora noi non lavoriamo ma che possono diventare strategici".

Ci può fare due esempi?
"Sul primo versante lavoriamo ad esempio con OerthBio, che ha messo a punto una piattaforma di degradazione proteica unica nel suo genere che ci permette di sviluppare agrofarmaci di origine biologica che diminuiscono l'impatto ambientale del settore agricolo. Sul secondo versante collaboriamo con Rantizo, una startup specializzata nel trattamento delle colture tramite drone e grazie alla quale stiamo sviluppando nuovi formulati adatti a questo metodo di applicazione".

In che modo lavorate con partner terzi?
"Non c'è un metodo predefinito, ma lo scegliamo di volta in volta a seconda delle esigenze delle parti. Può essere un investimento diretto tramite il nostro fondo Leaps by Bayer, oppure una collaborazione per mettere a fattor comune know-how, tecnologie, dati e così via".

Come si riesce a far collaborare una azienda strutturata e 'tradizionale' come Bayer con startup estremamente innovative e dinamiche?
"Come azienda cerchiamo di mantenerci innovativi, spingendo i nostri dipendenti a guardare al di fuori di Bayer. Ci sono troppe persone sveglie là fuori per pensare che tutta l'innovazione possa avvenire al nostro interno. Inoltre abbiamo dei manager che lavorano specificatamente con le startup e definiscono delle roadmap con obiettivi e ruoli. Dalla mia esperienza posso dire che ci deve essere una gestione attiva della collaborazione perché abbia successo".

In quale ambito di innovazione ritiene che l'Open innovation sia più vincente?
"Credo che l'Open innovation esprima al meglio il suo potenziale con quelle startup che hanno sviluppato tecnologie abilitanti di cui noi siamo in grado di fare uno scale-up e di portarle sul mercato. Le faccio un esempio: una startup che scopre una nuova sostanza attiva è ben lontana dal lanciare sul mercato un nuovo agrofarmaco. Occorrono anni di ricerche e test in laboratorio e in campo. Serve saper presentare un dossier e avere le strutture per produrre l'agrofarmaco. In definitiva ci vogliono anche quindici anni di lavoro e centinaia di milioni di euro. Risorse che una startup di solito non ha".

Quali risorse mettete a disposizione dei vostri partner?
"Dipende da caso a caso. Possono essere know-how, brevetti, risorse finanziarie, tecnologia, accesso al mercato e tanto altro".

Mi può fare l'esempio di un prodotto o servizio nato dalla collaborazione con un soggetto esterno?
"Posso dire che ogni prodotto o servizio lanciato oggi o che sarà lanciato negli anni futuri è frutto di un approccio di Open innovation".

L'innovazione in agricoltura oggi passa sempre di più dal digitale. Ma un ostacolo allo sviluppo di nuovi servizi è la non interoperabilità dei sistemi. Come se ne esce?
"Credo che questa sia un sfida importantissima, gli agricoltori semplicemente non possono avere differenti software per gestire le aziende. Oggi stiamo vivendo un momento di proliferazione di sistemi che però si sta avviando verso un momento di consolidamento, da cui emergeranno poche piattaforme che diventeranno lo standard di mercato. E Bayer con Climate Field View è sicuramente uno degli attori chiave in questo scenario".

Qual è la tecnologia che avrà l'impatto più rivoluzionario nell'agricoltura del futuro?
"Il digitale credo che sia la spina dorsale dell'innovazione, un elemento abilitante e fondamentale. Ma credo che la tecnologia più rivoluzionaria sia il genome editing perché ci permetterà di avere una agricoltura più produttiva e sostenibile".

È preoccupato che le posizioni anti-scientifiche di una certa parte dell'opinione pubblica possano bloccare questa rivoluzione?
"Credo che alle persone vada spiegato quali sono gli immensi benefici che l'impiego di queste tecnologie, assolutamente sicure, possono portare. La nuova generazione di piante potrà coniugare produttività e sostenibilità, rendendo gli agricoltori in grado di gestire i cambiamenti climatici. E anche il Green deal europeo credo che stia rimettendo al centro del dibattito pubblico la genetica come strumento chiave nel raggiungimento degli obiettivi che l'Unione si è data".