"Fra vent'anni avremo un'agricoltura completamente diversa rispetto a quella che abbiamo conosciuto dalla sua nascita, circa 12mila anni fa, fino alla fine del secolo scorso, più o meno intorno al 1994, anno in cui è stato firmato l'accordo di Marrakech, che sancì la nascita dell'Organizzazione mondiale del commercio".

Ne è convinto il professor Luigi Costato, emerito di Diritto comunitario, insigne giurista e profondo conoscitore della Politica agricola comune e della geopolitica.
Il suo pensiero, con una visione proiettata al futuro, ha concluso il pomeriggio di studi organizzato dall'Accademia dei Georgofili con il webinar "Per una Pac al futuro: tra transizione e cambiamento".
 
"Si ridurrà il numero di animali bovini allevati, perché considerati pericolosi per il clima; i territori che l'uomo nei secoli ha disboscato per creare terreni nuovi per l'agricoltura saranno nuovamente rimboscati e, forse, si riuscirà a piantare alberi ad altitudini e latitudini precedentemente non previste" preconizza Luigi Costato. "Mangeremo carne prodotta in laboratorio e l'agricoltura sarà, sostanzialmente, un'attività tesa a produrre commodity, con molti spazi verdi per ridurre la quantità di anidride carbonica".

Un'agricoltura, dunque, meno invasiva e più ambientale, in linea con le nuove tendenze "verdi", che hanno promosso negli anni scorsi il greening e l'agricoltura che non coltiva.
"Siamo di fronte a una metamorfosi radicale, per come è nata l'agricoltura 12mila anni fa - ricorda proprio il professor Costato -, un'attività che ha avuto un'evoluzione in direzione produttivistica, seppure con periodi meno felici come l'Alto Medioevo o le fasi di pestilenza che si sono succedute nella storia, ma pur sempre con la concezione dell'agricoltura come una fabbrica del cibo".

La tendenza a produrre, afferma Costato, "ha avuto il proprio culmine fra il 1961 e il 1994, poi si è cambiato passo e si è deciso di non consentire più la fornitura di generi alimentari a prezzi agevolati da parte dell'Europa e degli Stati Uniti, promuovendo in queste aree una tendenza a scoraggiare gli agricoltori a produrre per il libero mercato". Una visione errata, perché "in agricoltura non c'è coincidenza fra domanda e offerta e non si può fare a meno del cibo. Inoltre, il settore primario, con tutti i propri limiti, dipende dal clima e dai fenomeni naturali". Insomma, un conto è produrre viti e bulloni, un altro mais, soia, cereali o carne.

Tuttavia, sembra chiedersi il professor Costato, "siamo sicuri che sia stato corretto abbandonare la vocazione produttivistica dell'agricoltura? Una risposta potrebbe darla la Fao, che nel 2019 ha evidenziato che la scorta di commodity agricole è pari a circa quattro mesi di vita dell'uomo e di alcuni animali sulla terra. Non è molto, se pensiamo che circa 800 milioni di persone non hanno i soldi per comprare il cibo e vivono in condizioni di malnutrizione".

Una ragione in più per rilanciare politiche agricole impostate sulla produzione di beni primari, con una nuova concezione di food security.