Nel mentre si accende la discussione sugli obiettivi del Green Deal, vi è qualcosa di molto peggio dell'agricoltura e della zootecnia intensiva che continua a erodere territori e l'ambiente, a tutto danno non solo delle produzioni agricole nazionali, bensì anche delle tanto reclamate biodiversità e riduzioni delle emissioni di CO2

È la cementificazione, altrimenti censita come "consumo di suolo", causa diretta dell'impermeabilizzazione del medesimo con tutte le disastrose conseguenze del dissesto idrogeologico.

Visti i tempi, chi scrive ha pensato di ribattezzare tale fenomeno come "Grey deal", ovvero "Affari grigi", nel senso del cemento, però, non della terza età come avviene in America.

Un battesimo nato spontaneo, visto quanto apparso su La Repubblica in tal senso, con dati decisamente sconfortanti sulla perdita di superfici agricole a vantaggio dell'urbanizzazione. Sempre che di vantaggio si possa poi parlare, vista la troppo frequente mancanza di pianificazione territoriale che oltre a coprire crescenti porzioni di suolo ne induce anche l'abbandono quando alla fine dello scempio restino piccoli fazzoletti di terra lasciati nel bel mezzo di aree ormai urbanizzate. Cioè impossibili da coltivare, oppure talmente dispendiosi che il gioco non vale la candela. Meglio quindi aspettare che vengano resi edificabili anch'essi e chi s'è visto s'è visto.

Secondo Confagricoltura Piemonte, in soli trent'anni sarebbe andato perso il 20% delle superfici agricole. Su scala nazionale, fra terreni agricoli e territori selvatici sarebbero andati persi 21.400 chilometri quadrati (oltre due milioni di ettari), impermeabilizzati al ritmo di 2 metri quadrati al secondo. Questo secondo il recente Report di Ispra

Per esprimere il disastro in modo comprensibile a tutti, il direttore di Confagricoltura Piemonte, Ercole Zuccaro, ha tradotto in campi da calcio la superficie andata irrimediabilmente perduta in Piemonte nel solo 2019 e la somma arriva a 311. E magari fossero davvero campi da calcio, perché almeno vi crescerebbe l'erba. Invece sono asfalto, cemento e tutte quelle aree ferite dalla sempre più fitta rete di infrastrutture accessorie che le attraversano.
 
E quando si dice "irrimediabilmente" perdute vuol dire proprio "irrimediabilmente". Perché se un prato spontaneo viene convertito in un campo di mais, si perde sì biodiversità, ma il terreno può ancora ospitare molteplici forme di vita, assorbire acqua, assorbire anidride carbonica, nonché produrre cibo per l'uomo e per tutti gli organismi che in quell'area comunque vivano. Se la si copre con un parcheggio dell'ennesimo centro commerciale, no. Di quel terreno non resterà che dichiarare l'ora del decesso. Nulla tornerà infatti mai come prima. 

Difficile pensare che in un siffatto scenario possano trovare spazio ulteriori restrizioni da imporre al comparto agricolo, già gravemente saccheggiato dalla componente urbana e industriale della società moderna. Cioè quella che, sfacciatamente, chiede proprio all'agricoltura di fare di più per l'ambiente dopo essere stata lei a causare i danni maggiori e per giunta insanabili

Per quanto il progresso sia sempre fenomeno auspicabile, meglio sarebbe ripensare in modo più ampio alla pianificazione delle attività umane nella loro interezza, rivisitando l'espansione urbanistica e, magari, lasciando in pace l'agricoltura, anziché coprirla d'infamia dai comodi salotti di case appena costruite su campi che, ormai, non li potrà coltivare più nessuno.