Capita, con troppa frequenza, di sentir lodare la buona agricoltura di un tempo passato e chiederne il ritorno. In contrapposizione viene criticata quella cattiva attuale, inquinante, nemica dell'ambiente e a volte anche della salute dell'uomo. Si auspica il ritorno ad una agricoltura antica senza tener conto degli aumenti della popolazione, della vita media, dei consumi individuali e della necessità di assicurare un reddito decente agli agricoltori.

Per rispondere a tali esigenze, le ovvie soluzioni sono due: o si ottengono produzioni medio-alte per unità di superficie, o si aumentano le superfici coltivate.  La prima soluzione richiede una agricoltura moderna, sempre più basata sulla innovazione derivante dalle tante nuove piccole conoscenze che la scienza continuamente fornisce e fornirà.
L'agricoltura di una volta va benissimo solamente in diverse specifiche situazioni e trova consumatori interessati e disposti a pagarla, ma non può certo essere generalizzata.
La situazione attuale non è nuova. In oltre mezzo secolo non è cambiato niente. I negazionisti dell'agricoltura "moderna", sostenitori dell'agricoltura di "una volta", scettici e spesso contrari all'innovazione, c'erano anche una volta.
Lo dimostrano alcuni ricordi personali di quaranta-sessanta anni fa.

Quando da studente di agraria mio padre, agronomo, mi portò ad una conferenza dell'Accademia di agricoltura sui nuovi frumenti, mi colpì un intervento. Fu detto: "Quei granini lì non si devono coltivare e non si coltiveranno mai; così bassi non producono la paglia necessaria per la stalla". E qualcuno applaudì! Negli anni '60 in azienda producevamo meno di 40 quintali per ettaro col tenero, dopo qualche anno con i granini bassi si raggiungevano gli 80 col duro.
Quando si iniziò a introdurre il frumento duro in Emilia Romagna, il mio maestro Ettore Mancini mi fece fare, nel cesenate, prove di concimazione azotata sulle nuove varietà. Ricordo ancora lo scherno di diversi, anche agricoltori, convinti che "il grano duro al Nord non viene".

Quando introducemmo in bieticoltura il monogerme, prima tecnico poi genetico, e, più tardi, la soia negli avvicendamenti, furono pesanti, e a volte brucianti, le critiche e le derisioni. Erano considerate due innovazioni stupide che non avevano senso. E' ben noto il successo di entrambe.

Sembra sia nella natura dell'uomo una avversione congenita al "nuovo" e all'attuale in contrapposizione all'"antico". I denigratori dell'agricoltura attuale la condannano per gli effetti ambientali (che ci sono!), senza considerare gli aspetti produttivi, però pretendono di mangiare tutti i giorni. Per alcuni era preferibile un mondo bucolico, ma non per quelli che soffrivano per insufficienza di cibo o per gli agricoltori costretti a tremende fatiche per misere produzioni.

Nella seconda metà dello scorso secolo l'agricoltura è stata trasformata. Molto alzato il livello produttivo, molto abbassato il fabbisogno di manodopera. Quando studiavamo come migliorare l'efficienza per ridurre l'uso di fertilizzanti, anticrittogamici, insetticidi e diserbanti, l'obiettivo principale era spendere meno e la difesa dell'ambiente era un obiettivo secondario. Molte ricerche erano dedicate alle interazioni fra tecniche agronomiche e meccanizzazione ricavando una enorme quantità di piccole conoscenze applicative che nell'insieme, come dicevamo spesso, hanno consentito di "ribaltare" l'agricoltura. Già allora si studiavano le variazioni spaziali delle caratteristiche del terreno (in una prova nell'udinese per alcuni elementi chimici risultavano statisticamente significative ogni 14 centimetri), delle malattie e delle malerbe. Però non avevamo le possibilità tecniche di variare le dosi in spazi brevi. Era già un successo in Nord Carolina in campi lunghi un miglio, variare il diserbo aereo ogni qualche centinaia di metri in funzione delle infestanti precedentemente rilevate.

Oggi, sia la valutazione con i droni sia i mezzi di distribuzione consentono interventi sito specifici con risparmio e miglior efficienza di acqua e prodotti distribuiti. L'Intelligenza artificiale comincia a prender piede anche in agricoltura con impiego sempre più ampio di nuove tecnologie informatiche. Fonti di sapere diverse, biologia, fisica, informatica, ingegneria, matematica, ecc, devono incontrarsi sempre più.

Sicuramente  la ricerca multidisciplinare attuale consentirà, per ogni specifica situazione di coltura, innovazioni che ora nemmeno immaginiamo. L'agricoltura attuale, e soprattutto quella futura, dovrà rispondere a requisiti di sostenibilità totale, non limitata e mirata solo a certi aspetti. Non ci si deve limitare a sostenibilità economica rivolta solo ad uno o a pochi anelli della filiera; sostenibilità ambientale considerando solo suolo oppure solo acqua, o aria, o salute dell'uomo: sostenibilità sociale limitata a determinate categorie della popolazione; sostenibilità etica rivolta solo alla eliminazione del criminale caporalato, o al benessere animale o a particolari aspetti religiosi. Si deve invece puntare decisamente ad una sostenibilità totale che può essere raggiunta da una agricoltura che sfrutta tutte le possibilità che solo l'innovazione può assicurare.

Per i prossimi anni si stanno preparando centinaia di progetti con nuovi temi di ricerca: economia circolare e bioeconomia indagheranno su come capire e restaurare ecosistemi terrestri e costali e loro incidenza su quelli marini. Ciò anche alla luce del cambio climatico e della necessità di considerare la qualità del cibo  anche sotto l'aspetto della nutriceutica e della medicina preventiva.

Sapremo produrre di più usando meno risorse. Il buon tempo antico è restato antico, ma intanto l'uomo ha continuato la sua evoluzione da cacciatore-raccoglitore ad agricoltore. Poi anche l'agricoltura si è evoluta in funzione delle esigenze dalla società.
Quindi non dobbiamo rimpiangere ed auspicare il ritorno dell'agricoltura di una volta, ma favorire in ogni modo il passaggio da una buona agricoltura del passato ad una migliore del futuro.
 
Gianpietro Venturi, Accademia nazionale di agricoltura