Il decreto Ristori non basta. Il decreto Ristori bis neanche. Serve altro. Molto di più. La pensano allo stesso modo le associazioni agricole - e quelle che riuniscono anche gli agriturismi - sugli effetti economici e sociali imposti dal nuovo decreto del presidente del Consiglio dei ministri (dpcm) per contenere l'emergenza sanitaria da coronavirus che divide l'Italia in tre zone colorate, con la sostanziale chiusura di chi si trova in zona rossa - più di 5mila aziende - il rischio di non sopravvivere, e un danno economico di oltre un miliardo di euro.
 
Per Agriturist - che tiene insieme le imprese agrituristiche di Confagricoltura - "questo mini lockdown ha imposto un brusco stop all'agriturismo e il decreto Ristori non basterà, purtroppo, nemmeno ad attenuare i pesanti problemi economici. Servono interventi strutturali". Sono state infatti colpite dallo stop forzato le fattorie didattiche, la vendita diretta dei prodotti e la ristorazione; sono crollate le vendite nel canale Horeca, tutti gli eventi, e le cerimonie. Ora "la paura - spiega Agriturist - combinata con le attuali restrizioni, mettono in forse anche Natale e capodanno".

Le imprese agricole sono preoccupate: 24mila agriturismi italiani, quelli senza ristorazione sono convenzionati con strutture rurali vicine; 10mila offrono pasti e quasi 12mila propongono attività ricreative, culturali e didattiche. Una preoccupazione che viene amplificata "per le aziende agrituristiche. Abbiamo investito per ottemperare alle normative sanitarie contando che proprio la caratteristica delle nostre strutture, con gli ampi spazi che offrono un distanziamento naturale, ci permettesse di chiudere la stagione salvando in qualche modo i bilanci aziendali". Per Agriturist servirebbe "indirizzare le risorse non spese del bonus vacanza verso operatori turistici e agrituristici, attivare casse integrazioni rapide per i dipendenti, intervenire sulle tasse e sull'interesse dei mutui".

E poi il nodo delle zone rosse. Secondo i calcoli della Coldiretti oltre 5mila agriturismi vengono costretti alla chiusura perché ricadono in queste aree. Dall'analisi della Coldiretti, gli impatti del dpcm rappresentano un colpo drammatico a più di un'azienda agrituristica su cinque attiva livello nazionale, con la cancellazione di oltre 140mila posti a tavola. Nelle zone critiche rosse e arancioni - viene spiegato - c'è di fatto la chiusura; oltre la metà, il 57% per la precisione, degli agriturismi costretti alla serrata si trova tra Lombardia e Piemonte e il resto tra Puglia, Calabria, Sicilia e Valle d'Aosta. Gli agriturismi in aperta campagna - osserva la Coldiretti - sono luoghi più sicuri in cui le distanze si misurano in ettari e non in metri. Pur di resistere molti agriturismi di Terranostra "si stanno organizzando per non far mancare i menù tradizionali della cucina contadina sulle tavole degli italiani con consegne a domicilio e asporto". Per questo quello che serve sono due cose: "ristori immediati e un Piano nazionale con tutte le azioni necessarie per non far chiudere per sempre attività che rappresentano un modello di turismo sostenibile grazie ai primati nazionali sul piano ambientale ed enogastronomico".

Il buco di denaro che si prospetta - avverte la Coldiretti – è di oltre un miliardo, per un settore chiave dell'agroalimentare nazionale che in tutto conta 253mila posti letto e quasi 442mila posti a tavola; numeri che ci portano a piazzarci al primo posto in Europa. Ed anche dalla Fapi (la Federazione autonoma piccole imprese) arriva un vero e proprio grido d'allarme. "Il settore del turismo in Italia rischia di scomparire; gli agriturismi sono sul lastrico. E' necessario che i ristori stanziati con i vari decreti legge arrivino al più presto sui conti corrente delle imprese turistiche, diversamente tante chiuderanno entro l'anno. Le aziende turistiche ci segnalano il 90% delle perdite di fatturato rispetto al 2019; sono numeri disarmanti".

Un appello particolare arriva dal presidente degli imprenditori agricoli di Confagricoltura Emilia Romagna, Marcello Bonvicini, un Sos che viene lanciato in cerca di un sostegno. "Non ci siamo mai fermati dall'inizio dell'emergenza sanitaria e adesso servono misure urgenti. In questo momento dell'anno si semina per il 2021". Inoltre, i dati di Unioncamere Emilia Romagna sullo stato dell'agricoltura regionale hanno dato il colpo di grazia: nell'era Covid-19 viene sancita la chiusura di 1.066 aziende agricole nel terzo trimestre dell'anno (-1,9% rispetto allo stesso periodo del 2019). Il pericolo si estende alla tenuta del sistema agrituristico dell'Emilia Romagna che era ritenuto un comparto in crescita del 2,7% nel periodo compreso tra il 2018 e il 2019, con 1.200 strutture e un fatturato annuale pari a 171,5 milioni di euro. E che ora è a rischio di sopravvivenza.